Prosegue da una settimana l’occupazione simbolica di una aula della sede del Cnr di Roma a Piazzale Aldo Moro. Una protesta cominciata giovedì scorso dopo una partecipatissima assemblea, a cui hanno partecipato 4.000 precari, quasi un terzo del totale dei lavoratori del massimo ente di ricerca italiano. I ricercatori a rischio del contratto protestano contro il blocco del turnover (fissato al 75% del totale delle uscite previste) e per il bassissimo investimento che l’Italia affida alla ricerca di base (circa 5 miliardi) e in generale alla ricerca (appena l’1,3% del Pil contro il 2,8% della media Ocse e contro i campioni come Usa e Germania sopra il 3%). Solo l’iniezione di risorse del Pnrr ha permesso di invertire il trend negativo, ma solo temporaneamente.

Ed è questo il motivo della mobilitazione: moltissimi progetti di ricerca sono potuti partire solo grazie a queste risorse, senza che poi ne venissero messe a sistema di nuove e ora il rischio è che il già asfittico sistema della ricerca italiano – asfittico nei numeri e nelle risorse, ma tutt’altro nei risultati, l’Italia è al top in moltissimi settori – sia messo ancora più in difficoltà dall’espulsione o – nel migliore dei casi – della precarietà perenne di migliaia di ricercatori. Un problema del Cnr e anche dell’Università nel suo complesso.

Ma torniamo ai ricercatori in occupazione che hanno ricevuto, in questi giorni la visita e la solidarietà del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, che ha assicurato il sindacato insieme alla Uil di Pierpaolo Bombardieri si farà carico delle istanze del mondo della ricerca, in particolare sulla questione del blocco del turnover e sui tagli alla spesa sociale.

Oltre al sindacato si è affacciato anche il mondo politico dell’opposizione: Elly Schlein (Pd) assieme a Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni (Avs) si sono impegnati a portare all’attenzione dei media la questione. Oggi anche Giuseppe Conte (M5S) è andato dai precari per promettere emendamenti alla Finanziaria per risolvere la situazione, dai fondi necessari allo sblocco del turnover nella pubblica amministrazione.

Antonio Sanguinetti del coordinamento dei precari del CNR, ricercatore a tempo determinato nell’ambito della ricerca sociale, spiega che dalle forze della maggioranza al momento non è giunto alcun feedback: «Continuiamo l’occupazione, siamo sempre in presidio permanente, dormiamo qua la notte, ci alterniamo con colleghi che vengono da tutta Italia ad aiutare».

«Con la naturale conclusione dei progetti – spiega Sanguinetti – anche i contratti scadranno nei prossimi mesi del 2025, quindi la questione si fa sempre più urgente e sempre più grave. «Molto spesso i gruppi di ricerca, non avendo soldi sufficienti, utilizzano questi contratti, che non sono contratti, sono forme di collaborazione, come le borse di studio, che sono opache. Se fossi in un altro ambito di lavoro li chiamerei lavoro grigio, nel senso che non sono lavoro nero ma non sono neanche lavoro regolare». Perché questo avviene? «Perché la mole di lavoro che c'è non può essere sostenuta dal personale a tempo indeterminato, perché sottodimensionato, per cui c'è necessità di persone, ma non ci sono i fondi necessari per assumerle e quindi si ricorre a queste forme estreme di precariato».

I prossimi passi per cercare di fare pressione sul governo e sulla maggioranza sono un flash mob lunedì a Piazza del Popolo a Roma e una conferenza stampa alla Camera il 20 dicembre. Intanto la ricognizione promessa dalla presidente del Cnr, Maria Chiara Carrozza, premessa per accogliere una delegazione dei precari, tarda ad arrivare. Ma il tempo stringe e già si pensa a nuove e più incisive iniziative.

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