Il primo contraddice il motivo della morte, il suicidio per down da cocaina. Il secondo apre uno scenario finora mai esplorato dalla Procura: tracce di dna sconosciuto sulle unghie di Simone. La famiglia Mattarelli ha raccolto due pareri tecnici che spera possano portare a far riaprire il caso della morte del 28enne di Birago, in Brianza, ritrovato senza vita all'interno di una fabbrica il 3 gennaio di tre anni fa.

Secondo l'indagine svolta dalla Procura di Busto Arsizio nel 2021, Mattarelli si è impiccato con la sua cintura a un macchinario industriale, all'interno di una fabbrica che ricicla vetro, dopo un inseguimento durato oltre tre ore, con un totale di quattordici carabinieri coinvolti. Lo stabilimento dista un centinaio di metri da dove i militari la notte prima lo avevano smesso di cercare. La famiglia è convinta che questo sia uno dei tanti fatti che non tornano, il primo di una lunga serie.

I documenti dell'indagine analizzati da Domani raccontano che quella notte le macchine dei carabinieri gli sono state dietro fino alle 2.35 circa, quando il ragazzo si è impantanato nelle campagne. Davanti a lui c'erano alcuni campi incolti, un boschetto e la Eurovetro, la fabbrica del vetro di Origgio, in provincia di Varese, dove poi è stato ritrovato morto. Lui è sceso a piedi, due militari lo hanno inseguito. La bodycam di uno dei due era accesa.

I carabinieri lo hanno cercato per 10 minuti nei campi, in contatto con gli altri colleghi, poi alle 2.45 la telecamera è stata spenta. Secondo i verbali dei carabinieri le ricerche finiscono di lì a poco, e dopo tre ore di inseguimento le macchine tornano nelle rispettive caserme.

«Non era in down da cocaina»

Secondo i legali della famiglia Mattarelli, il fatto principale non rilevato dalla Procura è il modo in cui è morto Simone. Le foto lo mostrano appoggiato di schiena a un macchinario, piedi a terra, appeso alla cintura con un nodo frontale, semplice, da accappatoio. «Se avesse stretto», ha detto l'avvocato Minotti, «ad un certo punto avrebbe perso i sensi. Sarebbe caduto in avanti e si sarebbe svegliato».

È il modo in cui è stato ritrovato a far dubitare di più l'avvocato Minotti e la criminologa Roberta Bruzzone. L'ipotesi del suicidio non è credibile, dicono, e un altro indizio che lo fa pensare è la cintura. Il giovane è stato ritrovato con diversi tagli freschi sulle mani, ma pur avendo dovuto tirare forte per strangolarsi non ha lasciato segni sulla cintura: l'analisi non ha riscontrato tracce ematiche.

Alla lista dei fatti contestati si aggiunge adesso la cocaina. Nel sangue della vittima ne è stata trovata un'alta concentrazione (266 nanogrammi per millilitro). Luca Morini, l'esperto chimico chiamato dalla Procura, nella sua relazione aveva scritto che quando un essere umano assume cocaina sperimenta tre fasi distinte: «Una prima fase, di euforia ed eccitamento; una seconda fase, caratterizzata da agitazione sia psichica che motoria, seguita da uno stato confusionale; infine, c'è una terza fase, depressiva», si legge nella sua consulenza.

È questa la fase che sarebbe stata fatale per Simone. Il cosiddetto down lo avrebbe portato ad impiccarsi: la dinamica degli eventi «è suggestiva di un quadro depressivo/maniacale sofferto dal Mattarelli», secondo Morini.

Ora sulla cocaina c'è un altro parere. Per le indagini difensive l'avvocato Minotti ha chiesto Oscar Ghizzoni, consulente chimico per diverse Procure del Nord Italia, ex carabiniere. Nel suo rapporto Ghizzoni conferma che nel terzo stadio, quello depressivo, possono comparire «idee suicidarie».

Ma Mattarelli non era in quella fase: «La presenza di cocaina nel sangue», scrive Ghizzoni, lo colloca «in una fase intermedia tra quella di eccitazione e quella di agitazione psicomotoria e confusionale...Si può quindi escludere che il sig. Mattarelli potesse trovarsi in una fase depressiva poco prima del decesso». Per il consulente chimico della famiglia, Simone non era dunque in down da cocaina quando ha perso la vita.

Il dna di Mister X

Questa consulenza tecnica si aggiunge a quella biologica, realizzata dal genetista Pasquale Linarello. In questo caso ad essere analizzato è stato il dna rimasto sulle unghie del cadavere. Il risultato è che sui campioni prelevati, in due casi è presente, oltre al dna di Mattarelli, anche quello di qualcun altro. Su due dita, scrive Linarello, «è distinguibile una componente minoritaria diversa dal Mattarelli, che può essere quindi utilizzata per comparazione, al fine di identificare il possibile contributore». Due unghie su cui è rimasto, in quantità distinguibili, il dna di un'altra persona.

Il 2 e il 3 gennaio di tre anni fa, la fabbrica dove è stato ritrovato il corpo di Simone non era deserta. Alla Eurovetro di Origgio, 80 dipendenti, oltre al personale della vigilanza le immagini delle telecamere di sorveglianza mostrano di tanto in tanto mezzi e persone che si spostano. Gli spazi dell'azienda sono grandi, i macchinari macinano vetro a ciclo continuo.

Nessuno vede il cadavere fino alle 3 e mezzo del pomeriggio. I verbali dei carabinieri raccontano che Mattarelli è stato ritrovato senza vita dal figlio del titolare della Eurovetro, quando i carabinieri erano già entrati nella fabbrica e lo avevano chiamato. Contattati, né lui né un altro manager dell'azienda presente al ritrovamento del cadavere ci hanno voluto dire se qualcuno quella notte stava lavorando in azienda. L'informazione sarebbe utile alla famiglia Mattarelli per togliersi dubbi su come sono andate le cose.

Dopo il ritrovamento del cadavere i carabinieri hanno sequestrato le immagini registrate dalla Eurovetro. Non tutte, però. Hanno acquisito i filmati di 11 delle 15 telecamere disponibili, così si legge nel verbale, evitandone quattro perché erano relative ai tornelli e agli altri punti in cui accedono i dipendenti.

Questione di privacy. Dopo 24 ore le immagini si sovrascrivono, dunque ora è impossibile andarle a rivedere. Visto il dna sconosciuto trovato sulle unghie di Simone, sarebbe stato d'aiuto per capire se qualcuno, oltre a lui, quella notte fatale è entrato alla Eurovetro.

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