Il bonus previsto dal governo per disincentivare i pagamenti in contanti, combattere l’evasione e sostenere il settore dei pagamenti digitali è un esempio di come si possono sprecare soldi senza ottenere i risultati sperati
- Per il piano Cashless il Def prevede infatti di spendere 4,7 miliardi nel biennio 2021/2022 (una gran bella mancia). L’efficienza vorrebbe che in due anni si recuperasse il doppio di evasione, circa 8/9 miliardi, dal reddito autonomo e da lavoro dipendente.
- Del piano ne beneficia anche chi avrebbe comunque utilizzato la carta e questo è un evidente spreco di risorse.
- Inoltre l’acquirente di un bene o un servizio che vuole eludere l’Iva del 22 per cento non sarà certo dissuaso dallo sconto del 10 per cento.
Questo governo ha sviluppato una vera affezione per i bonus. L’ultimo della serie va sotto il nome di piano cashback: lo Stato rimborsa, fino a un importo massimo e nel rispetto di alcuni requisiti, gli acquisti pagati con carte bancarie. Anche questo, come altri in precedenza, rischia di diventare un costoso quanto inutile spreco di risorse pubbliche che potrebbero essere più efficacemente utilizzate altrimenti, come vedremo.
L’obiettivo è combattere l’evasione facendo la guerra al contante: intenti nobili e condivisibili, ma che il governo non riuscirà certo a vincere a colpi di bonus che somigliano molto a mance.
La super mancia
Per il piano cashback il Def prevede infatti di spendere 4,7 miliardi nel biennio 2021/2022 (una gran bella mancia). L’efficienza vorrebbe che in due anni si recuperasse il doppio di evasione, circa 8/9 miliardi, dal reddito autonomo e da lavoro dipendente, che è l’evidente obiettivo del piano.
Obiettivo oltremodo ambizioso visto che la Relazione sull’evasione allegata al Def indica in 30 miliardi l’evasione a questa voce (al netto degli errori, mancati versamenti e contributi evasi) nel 2018 (ultimo anno disponibile), che è più o meno lo stesso ammontare degli ultimi cinque anni; e visto che l’evasione totale recuperata nel 2018 (sempre al netto di contributi, errori e mancati di versamenti) è stata di 3,3 miliardi, quasi interamente derivanti dal maggior gettito Iva grazie a fattura elettronica, split payment, reverse charge, eccetera.
Come per tutti i precedenti bonus, il sistema è terribilmente complicato da monitorare e controllare: evidentemente, non si è fatta ancora ammenda del solito vizio di fare le leggi senza preoccuparsi troppo della loro implementazione.
Lo spreco a pioggia
Un incentivo è efficace se riesce a modificare i comportamenti degli individui al margine: il piano quindi dovrebbe incentivare l’uso della carta solo da parte di chi altrimenti userebbe il contante.
Il piano invece necessariamente è per tutti, quindi ne beneficia anche chi avrebbe comunque utilizzato la carta e questo è un evidente spreco di risorse. Inoltre l’acquirente di un bene o un servizio che vuole eludere l’Iva del 22 per cento non sarà certo dissuaso dallo sconto del 10 per cento.
Il vero modo per abbattere l’evasione è il controllo sistematico dei dati finanziari: che lo si prelevi o lo si versi, il contante prima o poi deve passare da un circuito finanziario e lascia una traccia, perché oggigiorno poche transazioni e pochi redditi possono essere pagate in moneta sonante.
Poiché l’Agenzia delle Entrate può accedere a tutti i dati finanziari e misura esattamente l’evasione di ogni singola imposta (la quantificazione del tax gap), non si capisce perché non bastino gli strumenti informatici disponibili e si debba ricorrere ai bonus.
I buchi nella rete
La criminalità, grande utilizzatrice del contante, continuerebbe a sfuggire alla tracciabilità grazie alla sua capacità di trovare sempre nuove strade per riciclare, ma questo è un grave problema anche nei paesi dove l’applicazione della legge è molto più severa, basti vedere Ozark e Breaking Bad, le due serie televisive Netflix.
Ma proprio per questo, la maggiore critica che muovo al piano Cashless è quella di associare l’uso del contante all’evasione. Ci si dimentica che le banconote sono ancora oggi utilizzate prevalentemente per una questione di comodità e convenienza, soprattutto da segmenti di popolazione che hanno poca dimestichezza con il mondo digitale (fra i quali molti anziani), o troppo poveri ed emarginati per avere un conto bancario, indispensabile per accedere ai pagamenti elettronici.
Il sussidio mascherato
Manca ancora l’infrastruttura per avere con le carte la stessa velocità e facilità del contante nei piccoli pagamenti: è capitato a tutti di aspettare invano il collegamento del pos con la banca o di avere difficoltà con il contactless; ma anche quando tutto va bene ci sono i tempi per l’inserimento del pin (e quello di estrarre gli occhiali da vista per inserirlo, o di firmare lo scontrino delle carte di credito che ancora lo richiedono), e la mancanza di copertura per pagare il taxi o l’idraulico che viene a casa con il pos portatile.
Così il piano cashback diventa anche un sussidio alle banche e al nuovo gruppo Nexi/Sia, nel quale lo Stato avrà una partecipazione rilevante, e una fetta dei suoi lauti profitti grazia alla posizione dominante che si verrà a creare.
Il costo eccessivo per i micro pagamenti e la non inclusione delle fasce più deboli della popolazione sarebbero risolvibili con infrastrutture di pagamenti digitali (le cinesi AliPay e WeChat le più famose) che raccolgono “depositi” sotto forma di “ricariche” su cellulari da un conto bancario o in contante, per poi permettere di effettuare pagamenti e incassi tramite la scansione di codici QR o i trasferimenti istantanei ad altro conto.
Secondo uno studio di Gavekal, in Cina il sistema è ormai utilizzato dal 82 per cento della popolazione (72 per cento nelle campagne), per un ammontare pari al 20 per cento di tutte le transazioni. Ed è in forte crescita.
Arriva la moneta privata
L’avvento di questi sistemi di pagamento e delle criptovalute (registri contabili digitali gestiti in autonomia) ha fatto capire che la moneta privata è ormai realtà, uno sviluppo dirompente per il sistema di pagamenti contante/depositi bancari come lo conosciamo e che rimane immutato da un secolo.
Così le Banche Centrali hanno capito che devono emettere una propria moneta digitale (Central Bank Digital Currency, CBDC) se vogliono mantenere il controllo sulla moneta e rendere il sistema dei pagamenti meno costoso e più rapido; una scelta che, da noi, risolverebbe definitivamente l’annoso problema del contante senza bisogno di bonus.
La Banca Centrale Cinese è prossima ad emettere la sua CBDC, e la Banca dei Regolamenti Internazionali ha appena rilasciato le linee guida per l’emissione, concordate tra le principali banche centrali. La CBDC è una passività diretta della banca centrale, e pertanto in tutto equivalente a una banconota, ma dal costo di emissione infinitesimo.
Rispetto a una moneta digitale privata la CBDC ha il vantaggio di essere sicura, pienamente convertibile in contanti e depositi (a differenza delle criptovalute) e trasferibile istantaneamente con un click. Di fatto un conto che ciascun individuo detiene direttamente presso la banca centrale. In analogia col contante si ritiene di mantenere l’anonimato fino a un ammontare massimo.
L’infrastruttura che le banche centrali già possiedono può essere utilizzata anche per regolare i pagamenti con CBDC, mentre la Cina userà invece quella privata esistente di AliPay e WeChat per non mettere fuori mercato i suoi due giganti tecnologici.
La CBDC renderebbe anche più immediato il meccanismo di trasmissione della politica monetaria, se pagasse un tasso di interesse: ma un tasso negativo farebbe sparire il contante, mentre uno positivo metterebbe in crisi le banche. Sembra futuribile, ma è ormai dietro l’angolo. Qualcuno avverta il governo, per favore.
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