Da qualche tempo circola una vignetta sui social che spiega in quattro immagini le fisse più frequenti dei Gen Z di mezza età: piante, corsa, stanchezza cronica e i viaggi in Giappone. Abbiamo imparato ad amare il paese del Sol Levante attraverso i cartoni animati e i cosplay, ma anche a tavola, dove i noodles istantanei sono ormai un cibo familiare. Il fiorire di ristoranti giapponesi in Italia conferma la nostra voglia di mangiare in locali tipo quello di Marrabbio in Kiss Me Licia molti anni fa.

Poi sono arrivate le derive fusion e il nikkei, una crasi tra la cucina giapponese e quella peruviana, nata a fine Ottocento, quando i giapponesi iniziarono a frequentare il Sud America, unendo la propria tradizione gastronomica a quella di Perù, Cile e Brasile. A Bari Vincenzo e Gianpiero De Giglio, due fratelli cresciuti scaricando casse di pesce fresco nell’azienda ittica di famiglia, hanno messo la propria conoscenza del mare al servizio della cucina fusion. Ne è nato Hagakure, un gruppo che vanta due punti vendita dedicati al sushi nipponico curato da una brigata guidata dall'italianissimo chef Vincenzo Cafagna.

Ma il fiore all'occhiello di questa avventura da un milione di euro all’anno è il gioiello che brilla accanto al Teatro Petruzzelli: Hagakure Noh Samba. Qui le cucine del mondo si uniscono in una danza sfrenata e seducente orchestrata dallo chef Daniel Cavuoto.

Cucina giapponese, o forse no

Il primo Hagakure ha aperto le sue porte a febbraio 2012. Il punto di partenza non è stata solo la passione per la cucina giapponese, bensì l’idea di darle un imprimatur italiano grazie al background ittico di famiglia. «Ho iniziato scaricando i camion con le casse di pescato da lavorare – racconta Vincenzo De Giglio – Ho viaggiato per il mondo, ottimizzando i processi produttivi e di importazione dell’azienda dei mei, imparando tutto su catena del freddo e logistica. Conosco le nomenclature latine di ogni specie ittica. Hagakure nasce da qui, dal voler e poter dare al cliente un prodotto di qualità. Dietro ogni nostro piatto c'è un prodotto che mangerei anche io, a casa mia».

Sin da subito i fratelli De Giglio scelgono di affidare la cucina a una brigata tutta italiana. «Con loro possiamo interpretare il percorso di Hagakure, rispettando la nostra visione. La cucina giapponese ci ispira, ma tutta l’organizzazione dei nostri ristoranti si rifà alla tradizione italiana. Nei nostri piatti, invece, confluiscono tutte le influenze asiatiche. Anzi: consideriamo Hagakure un contenitore di cucine internazionali».

Sushi e samba

Negli anni Hagakure cresce. Si aggiunge l’indirizzo di Monopoli. Cavalcando un altro grande trend, nasce Hagakure Momi Poke. Nel frattempo, al team di chef Cafagna si aggiunge un giovane e talentuoso executive: Daniel Cavuoto. Classe 1983, allievo di Pierre Gagnare (tre stelle Michelin e iconoclasta in prima linea nel movimento della cucina fusion), Cavuoto vanta diverse esperienze di alto livello, tra cui la guida de Le Asiatique, considerato come il tempio della cucina asiatica a Roma. Porta il suo talento nel progetto gastronomico del gruppo. La sua capacità di creare piatti di grande equilibrio convince i De Giglio a costruire un “palcoscenico” su misura per lui. «Hagakure Noh Samba è la vetrina del nostro gruppo a Bari, ma è anche la sintesi della vera espressione della cucina di Cavuto».

Tuttavia, la nuova insegna sconta l’effetto di un naming sbagliato: tutti pensano sia un locale dedicato al sushi brasiliano. «Avevamo scelto la parola samba per raccontare l’unione delle cucine del mondo nei piatti. Non abbiamo centrato l’obiettivo. Ma non ci siamo arresi». Convinto dalle capacità imprenditoriali e dalla progettualità dei De Giglio, Cavuoto resta a bari ad animare il menu di Hagakure Noh Samba. Impara a “ballare” con l’idea di mixology portata in via Salvatore Cognetti da Tommaso Scamarcio e messa in pratica da Gianluca Tassielli.

«Volevamo lavorare sulla miscelazione proprio fanno i locali internazionali del calibro di Zuma, dove i bar sono diventati più famosi dei ristoranti stessi». Risultato? I riconoscimenti al bar superano quelli alla cucina.

Tutto si fonde in un equilibrio necessario per parlare la lingua di cinque continenti attraverso carta e drink. «Daniel è un estremo conoscitore delle cucine del mondo. Usa le spezie come farebbe un chimico, senza mai sbilanciarsi. La sua tecnica è accentuata dalla voglia di fare vero fine dining, aspetto che ci ha sempre intrigato della sua cucina. Ma questo lavoro straordinario riverbera anche su tutte le cucine del gruppo, su cui lavora di concerto con Vincenzo».

Ma il fine dining sta morendo, dicono. Oppure no? «A Bari fa fatica ad imporsi da sempre, ma Noh Samba riesce a viaggiare in una terra di mezzo a volte un po' impervia. Infatti, il menu è in equilibrio tra fine dining, sushi restaurant e fusion di alto livello. Pur mantenendo autentico il lavoro di Daniel riusciamo a mantenere una proposta gastronomica capace di incuriosire più target. i locali fine dining tout court restringono troppo la forchetta di clienti: penso che nessun imprenditore possa più permetterselo».

Con circa un milione di euro di fatturato annuo, realizzato con 22 dipendenti, Hagakure Noh Samba racconta non una storia rivoluzionaria, ma di buon senso, adatta a chiunque voglia fare ristorazione oggi. «Come quando si naviga in barca a vela, bisogna saper leggere i “venti” del mercato. In base ai trend, di concerto con i nostri chef, decidiamo dove spingerci e dove allontanarci. La nostra leva creativa così orientata ci permette di mantenere salda la barra economica».

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