Ci vorrebbe forse Vasco Rossi per dare un senso alla storia del centrodestra che da settimane si lambicca per trovare la perfetta disposizione dei candidati alle prossime elezioni comunali. Ma chissà se basterebbe. Perché nulla sembra avere senso in questo continuo rincorrersi di vertici, di annunci smozzicati e di rinvii.

La settimana scorsa era arrivata l’ufficialità della candidatura della coppia Enrico Michetti-Simonetta Matone per la città di Roma e di Paolo Damilano per Torino. Ieri del capogruppo di Forza Italia alla Camera Roberto Occhiuto, in coppia con il leghista Nino Spirlì, per le regionali in Calabria. Gli accordi tra i partiti della coalizione sembrano reggere.

Nella capitale un civico legato a Fratelli d’Italia, in Calabria un politico di Forza Italia, e a Milano? Il capoluogo lombardo, per competenza politico-territoriale, spetterebbe alla Lega di Matteo Salvini. Dovrebbe essere l’ex ministro dell’Interno a indicare agli alleati il candidato a lui gradito. Ma il tempo passa e questo non succede. «Giustamente gli altri hanno chiesto di incontrare le persone che non hanno incontrato su Milano e Bologna, richiesta assolutamente legittima. Chiudiamo entro la prossima settimana» ha detto il leader della Lega al termine dell’ennesimo vertice delle forse del centrodestra alla Camera. Ci sarebbe da credergli se non fosse che quel «chiudiamo entro la prossima settimana» ha sempre più il tono di una speranza che di una certezza.

Un modo per prendere tempo in attesa del prossimo mezzo annuncio. Fra sette giorni toccherà a Milano? Chissà. La narrazione ufficiale che ormai da giorni accompagna ogni vertice del centrodestra racconta che nel capoluogo lombardo tre sono i nomi tra cui potrebbe essere scelto il candidato sindaco: il parlamentare Maurizio Lupi, il manager Oscar di Montigny, la presidente di Federfarma Lombardia Annarosa Racca. La narrazione ufficiosa che a sua volta segue la conclusione di ogni vertice è che nessuno dei tre convince fino in fondo Salvini e i suoi alleati.

Il difensore civico

Lupi avrebbe il sostegno, oltre che di Silvio Berlusconi e Forza Italia, anche di imprenditori ed esponenti della società civile. È già stato assessore a Milano nella giunta di Gabriele Albertini, e si è fatto apprezzare come amministratore delegato di Fiera Milano Congressi. I sondaggi, per quello che valgono, lo indicherebbero come il candidato che più di altri metterebbe in difficoltà il sindaco uscente Beppe Sala. Ma non è un leghista e, soprattutto, non è un “civico”. Caratteristica che Salvini, forse proprio per non vedersi imporre la candidatura di Lupi, ritiene irrinunciabile.

Così la sfida sarebbe tra Racca e di Montigny. Il secondo ha ricevuto la benedizione di Albertini che si è detto disponibile a fargli da vicesindaco. Ma proprio questa intraprendenza dell’ex primo cittadino non è piaciuta a Forza Italia che avrebbe espresso delle perplessità. Non solo, il manager di Mediolanum, genero di Ennio Doris, «ideatore e divulgatore dei principi della Economia 0.0» sarebbe poco conosciuto dagli elettori.

Toccherà quindi a Racca? L’idea di candidare una donna per palazzo Marino non dispiace a Salvini. Ma il precedente di Letizia Moratti, che dopo cinque anni non è riuscita a ottenere un secondo mandato, lascia più di qualche dubbio. E poi Racca è stata recentemente indagata a Torino per diffamazione con l’accusa di aver creato un falso profilo Facebook per attaccare il presidente di Federfarma Torino Marco Cossolo, avversario nella corsa per la presidenza nazionale della federazione di categoria. Non proprio un ottimo biglietto da visita.

Tutta mia la città

A fare da sfondo a tutto questo sovrapporsi di veti e strategie c’è un dato puramente elettorale. Tolta la gloriosa ascesa di Marco Formentini nel 1993, propiziata più dal sentimento antipolitico della stagione di Tangentopoli che da una reale capacità leghista di entrare in sintonia con gli elettori, a Milano la Lega ha sempre fatto più fatica che altrove nel nord Italia. Cinque anni fa, quanto Stefano Parisi è stato battuto al ballottaggio per pochissimo da Beppe Sala, il partito di Salvini ha raccolto in città solo 59.313 voti.

Certo, il mondo è cambiato. Oggi è Forza Italia a essere in grande difficoltà. La proposta di partito unico lanciata da Berlusconi assomiglia più a una mossa disperata per strappare qualche candidatura sicura alle prossime politiche sfruttando il traino elettorale del Capitano che un progetto di largo respiro. Il leader della Lega sa che se vuole vincere a Milano ha bisogno di un candidato che nella scala cromatica della politica sia più azzurro che verde. Ma sa anche che vincere con Beppe Sala non è cosa semplice.

Forse alla fine il problema su Milano è tutto qui: trovare un candidato che perda con dignità senza che Salvini ne paghi le conseguenze. Soprattutto se, contemporaneamente, Giorgia Meloni a Roma dovesse riuscire a vincere la scommessa di portare il suo “tribuno del popolo” in Campidoglio.

 

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