Nella Juventus è un mancino che gioca a destra, alto un metro e settanta, pesa una sessantina di chili. Ha un fisico che non va di moda, così come di moda non vanno le sue doti, e proprio per questo fanno impazzire e fanno la differenza: vive di uno contro uno, di dribbling e di palloni messi in mezzo. Il calcio recluta quasi ovunque giocatori più alti e fisici. Ma spesso si vince in altro modo
Il mondo sulle spalle se lo mette il più piccolo della compagnia. O questo è ciò che appare ai tifosi bianconeri quando in campo gioca la Juventus di Thiago Motta, artefice sinora di mesi sui quali si può dire tutto e il suo contrario, ma che ha regalato un nuovo idolo ai sostenitori, Francisco Conceição, appunto il più piccolo della compagnia.
Un metro e settanta centimetri che sono probabilmente alcuni di meno (certi dati, nel calcio, variano a seconda delle fonti, un po’ come la proverbiale diatriba organizzatori-questura quando si parla dei presenti alle manifestazioni di piazza) e una sessantina abbondante di chili che hanno riportato in Serie A un calciatore dotato di un fisico che non va di moda ormai da tempo, così come di moda non vanno neppure le sue doti, e che proprio per questo fanno impazzire e fanno la differenza: brevilineo, veloce, leggero, uno che sposta il baricentro in obliquo, che vive di uno contro uno, di dribbling e di palloni messi in mezzo, hombre vertical nel senso che guarda sempre avanti e solo dopo si accentra.
Non uno che scarica, ma uno che carica.
Uno che piace perché è l’eccezione, e verrebbe allora da domandarsi come e perché siamo arrivati sin qui, a considerare anomalia un piccoletto – e quanti, di fenomenali, ne abbiamo visti in passato – che fa esattamente ciò che nel calcio è l’essenza del divertimento, ma tant’è.
Conceição è figlio d’arte e più difficilmente può essere considerato figlio del suo tempo calcistico perché, sì, come gli allenatori comandano nel regno delle fasce a piede invertito, è un mancino che gioca a destra, ma i numeri 7 di oggi hanno come paradigma Cristiano Ronaldo, portoghese come lui, una ventina di centimetri e di chili in più. Se è vero che il contraltare di quest’ultimo è sempre stato un altro piccoletto (ma meno leggero di Conceição), Lionel Messi, forse il più forte di tutti, è vero altresì che la morfologia degli stessi numeri 10 è mutata nel corso del tempo, diciamo pure da Zidane in avanti e che, a partire dai settori giovanili, dove tanti istruttori si pensano allenatori – momenti di vita vissuta, frase sentita da un mister nella categoria Pulcini: «Se li scarti tutti e fai gol a me non servi a niente» – e gli osservatori prediligono i longilinei sin da piccoli, certi profili fanno ben più fatica.
Emanuele Giaccherini, quello che «se si fosse chiamato Giaccherinho staremmo parlando di un fenomeno» (il copyright è di Antonio Conte), oggi commenta la A per Dazn, si è costruito una carriera eccellente nonostante il gap fisico: «Se si possiedono capacità tecniche di livello, la prestanza fisica nel calcio non è poi così importante, perché certi deficit vengono compensati dalla velocità e dalla capacità di saperci fare con quello che è il mezzo tecnico, cioè il pallone – ha detto a Domani –. Però è vero che, già a livello giovanile, noi più bassi e leggeri siamo penalizzati: si tende a privilegiare chi si sviluppa prima, qui però bisognerebbe iniziare a cambiare una certa cultura calcistica che condiziona l’istruzione degli allenatori di base e le percezioni degli addetti ai lavori. Penso ad altre nazioni nelle quali i ragazzini vengono visti nel complesso e si privilegia la tecnica palla al piede, come in Spagna, dove mediamente i giocatori sono meno alti e prestanti che da noi. Se c’è chi fa meglio, significa che non sta sbagliando e, allora, tanto vale prendere spunto».
Darwinismo sportivo
Conceição, che qui è protagonista e pretesto, spagnolo non è, ma il calcio dell’intera penisola iberica, soprattutto in anni recenti, ha dato cittadinanza più che altrove alle morfologie più differenti: freschezza, velocità, palla a terra, e lo spirito del tempo e del luogo nel calcio – ma il discorso vale per ogni disciplina – finisce per selezionare la struttura fisica ideale. Si tratta di una sorta di darwinismo sportivo nel quale però, se non altro, a lungo il pallone è stato più democratico, per dire, di sport quali pallacanestro e nuoto, o della pallavolo nella quale, libero a parte, le dimensioni contano eccome. Il calcio ha avuto i Maradona e i Crujiff, i Messi e i Ronaldo, gli Iniesta e i Kroos.
Certo, molto dipende dai ruoli (per i difensori, soprattutto in Italia, si privilegiano marcantoni spesso oltre il metro e ottantacinque, eppure il centrale dell’ultima Nazionale che vinse il Mondiale, Fabio Cannavaro, non superava i 175 centimetri), ma è un dato di fatto che, secondo uno studio di cui ha parlato anche The Athletic, tra il 1973 e il 2013, l’aumento dell’altezza media dei calciatori della massima divisione inglese – quella che viene presa come riferimento da tutto il calcio – è stato di quasi 5 centimetri (1,23 ogni decennio, considerando che i dati prendevano come riferimento determinate stagioni a intervalli di dieci anni l’una dall’altra). Giocatori più alti, più muscolosi e più snelli, come pretendono i calendari congestionati e un approccio gegenpressing. Una questione adattiva, insomma.
Lo studio citato è del 2019 ed è stato prodotto da alcuni ricercatori dell’Università di Wolverhampton (Are professional footballers becoming lighter and more ectomorphic? Implications for talent identification and development, era il titolo), ma anche guardando altri campionati, e confrontando a livello empirico gli identikit dei loro protagonisti, è possibile generalizzare il discorso.
Del resto, nella stagione 2023-24 l’altezza media dei calciatori dei maggiori tornei europei è stata di 184,6 centimetri in Bundesliga, 184,3 in A, 183,3 in Premier League, 182,2 in Ligue 1 e 181,8 in Liga: trattandosi appunto di media, si capisce facilmente quanto per chi alto non è di posto ce ne sia poco. Eppure, abbastanza curiosamente, la scorsa primavera a vincere i rispettivi tornei sono state squadre la cui altezza media era inferiore a quella del campionato: 183,2 per il Bayer Leverkusen, 182,5 per l’Inter, 181,3 per il Manchester City e 181,3 per il Real Madrid.
I dati
Numeri, quelli relativi alla Liga, che in qualche modo confermano la tesi secondo cui la fisicità è meno rilevante in Spagna, dove anche i portieri sono mediamente meno alti. Ma chi difende i pali una certa presenza deve averla, così come chi difende, eppure in Premier, sempre secondo The Athletic, anche in mediana sono aumentati i centimetri, al punto che «il declino dei centrocampisti piccoli è stato un trend in tutta la lega nella Premier League negli ultimi quattro anni. I minuti giocati dai centrocampisti alti 5 piedi e 7 pollici (174 centimetri scarsi) o più bassi sono diminuiti del 28% dal 2019-20 rispetto al 2023-24».
Proprio il City di Guardiola, però, ha invertito la scorsa stagione il trend, e in effetti quando si ha a che fare con gente come Bernardo Silva o Phil Foden ci si rende conto abbastanza in fretta che, alla fine, saperci fare col pallone tra i piedi è ciò che conta di più, al di là dei corpi e delle loro fattezze.
Ecco allora Francisco Conceição, che si è preso il ruolo di cult hero di una Juventus in rifondazione facendosi notare proprio perché brevilineo, veloce, sfrontato, dribblomane. Non basterà per modificare statistiche e tendenze, però è vero che «Francisco è un giocatore differente», come lo ha definito Jorge Mendes.
Ora: è un po’ come chiedere all’oste – Mendes ne è il procuratore – com’è il vino, ma in questo caso l’oste sa quello che dice. E differente, laddove ci si uniforma per non scomparire, è il più bell’aggettivo del mondo.
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