Con una sentenza di qualche giorno fa, il Consiglio di stato ha respinto il ricorso contro l’obbligo vaccinale per chi esercita professioni sanitarie. La pronuncia, molto ampia e articolata, affronta una serie di temi che sono stati trattati su queste pagine nei mesi scorsi, confermando quanto avevamo scritto.

Il vaccino è sicuro

In un articolo precedente avevamo contestato l’affermazione relativa alla mancanza di efficacia o sicurezza dei vaccini, esponendo l’iter dell’autorizzazione al loro uso. Autorizzazione valida a ogni effetto, quindi anche ai fini dell’imposizione di un obbligo vaccinale. Ciò è ribadito dal Consiglio di stato.

Secondo la vigente normativa dell’Unione europea, serve innanzitutto «una raccomandazione da parte della competente Agenzia europea per i medicinali (Ema), che valuta la sicurezza, l’efficacia e la qualità del vaccino».

Su queste basi, la Commissione europea può autorizzarne la commercializzazione, dopo avere consultato gli stati membri, che debbono esprimersi favorevolmente a maggioranza qualificata. La normativa dell’Unione prevede uno strumento specifico per la rapida messa a disposizione di medicinali in situazioni di emergenza, la «immissione in commercio condizionata (Cma, Conditional marketing authorisation)», che consente l’autorizzazione «non appena siano disponibili dati sufficienti, pur fornendo un solido quadro per la sicurezza, le garanzie e i controlli post-autorizzazione».

La Cma, dicono i giudici, «non è una scorciatoia incerta e pericolosa escogitata ad hoc per fronteggiare irrazionalmente una emergenza sanitaria come quella attuale, ma una procedura di carattere generale, idonea a essere applicata – e concretamente applicata negli anni passati, anche recenti, soprattutto in campo oncologico – anche al di fuori della situazione pandemica».

L’autorizzazione condizionata è «presidiata da particolari garanzie e condizionata a specifici obblighi in capo al richiedente» e «viene rilasciata sulla base di dati che sono, sì, meno completi rispetto a quelli ordinari», ma «a condizione che i benefici derivanti dalla disponibilità immediata sul mercato del medicinale in questione superino il rischio dovuto al fatto che sono tuttora necessari dati supplementari».

Come pure avevamo spiegato, anche il Consiglio di stato conferma che la Cma si distingue dalla cosiddetta «autorizzazione all’uso d’emergenza», «che in alcuni paesi (come gli Stati Uniti e l’Inghilterra) non autorizza un vaccino, ma l’uso temporaneo, per ragioni di emergenza, di un vaccino non autorizzato».

Il bilanciamento tra diritti

A partire da novembre 2020, con riguardo all’imposizione di un obbligo vaccinale, abbiamo spiegato che l’articolo 32 della Costituzione sancisce il diritto del singolo di scegliere se, quando e come curarsi, cioè anche il diritto di non curarsi, quindi pure di rifiutare la vaccinazione, ma la stessa disposizione prevede che la libertà del singolo vada bilanciata con il diritto degli altri e l’interesse della collettività alla salute. Quest’ultima è un bene non solo individuale, ma sociale.

Insomma, ciascuno può valutare cos’è meglio per sé, ma non è libero di nuocere alla salute altrui o alla salute pubblica. In particolare, la Consulta ha ritenuto che la legge impositiva di un trattamento sanitario non sia incompatibile con l’articolo 32, se esso «è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri»; se non comporta conseguenze negative per la salute di chi vi è obbligato, «salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili»; se nell'ipotesi di danno ulteriore è prevista comunque «una equa indennità».

La sentenza del Consiglio di stato ribadisce questi princìpi. I giudici partono dall’affermazione per cui non esistono «diritti tiranni», cioè diritti che non entrano nel doveroso bilanciamento con altri diritti pure tutelati dalla Costituzione, ma che «pretendono di essere soddisfatti sempre e comunque, senza alcun limite».

Questa logica è estranea a un ordinamento democratico, perché «il concetto di limite è insito nel concetto di diritto» (Corte costituzionale, sent. n. 1/1956). «Spetta al decisore pubblico – affermano i giudici – fissare le regole e i limiti entro i quali l’esercizio dell’autodeterminazione da parte di ciascuno si possa accordare con la tutela della salute degli altri».

«Che un’emergenza non consenta di superare lo stato di diritto è una opinione», afferma qualcuno dall’inizio della pandemia, reputando forse che il richiamato bilanciamento sia un inutile intralcio. La sentenza dimostra l’infondatezza di tale affermazione.

Secondo i giudici, l’obbligo di vaccino imposto a chi esercita professioni sanitarie risponde a criteri di ragionevolezza, proporzionalità e uguaglianza. Inoltre, «nel dovere di cura, che incombe al personale sanitario, rientra anche il dovere di tutelare il paziente, che ha fiducia nella sicurezza non solo della cura, ma anche nella sicurezza di chi cura e del luogo in cui si cura».

Questo essenziale obbligo di protezione di sé e dell’altro «non può lasciare il passo, evidentemente, a visioni individualistiche ed egoistiche». Inoltre, «la legge non è mai diritto dei meno vulnerabili o degli invulnerabili», bensì «tutela dei più vulnerabili»: la solidarietà è «la base della convivenza sociale normativamente prefigurata dalla Costituzione» (Corte costituzionale, sent. n. 75/1992)».

Indennizzo

La normativa vigente (legge 210 del 1992) prevede un riconoscimento economico a favore di chi abbia riportato lesioni permanenti da vaccini obbligatori, ma negli anni la Corte costituzionale ha esteso la indennizzabilità anche a specifici vaccini, come avevamo scritto su queste pagine.

La sentenza in esame lo ribadisce. La ragione che fonda il diritto all’indennizzo del singolo non sta nell’obbligatorietà della vaccinazione, ma risiede nell’adempimento di un dovere di solidarietà «nell’interesse della collettività». Di conseguenza, è la collettività che deve accollarsi l’onere dell’eventuale pregiudizio patito da chi si vaccina per solidarietà verso gli altri: sarebbe ingiusto che l’individuo danneggiato sopportasse il costo del beneficio anche collettivo.

Nel caso in esame, comunque, l’obbligo di indennizzo è chiaramente garantito dall’applicazione delle norme vigenti, «la cui applicazione diretta è incontestabile».

La trasparenza

Il Consiglio di stato afferma che «la luce della trasparenza», tanto nelle acquisizioni scientifiche degli esperti quanto nei processi decisionali del legislatore, «feconda il seme della conoscenza tra i cittadini», così «stroncando il diffondersi di pseudoconoscenze o, addirittura, di credenze irrazionali», e «contribuisce al rafforzamento, in modo pieno e maturo, dei diritti fondamentali nel loro esercizio ponderato e responsabile».

Più volte abbiamo rilevato quanto fosse carente la trasparenza delle scelte operate dai decisori pubblici per contrastare e contenere la pandemia. Chissà se la pronuncia del Consiglio di stato sarà un “faro” anche per questo.

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