- Blackstone e Macquarie stavano già studiando l'affare mesi prima che il governo decidesse di comprare Aspi anziché revocare la concessione, e questo chiaro indizio di trattamento preferenziale diventa il merito per cui vengono premiati.
- I due fondi, due mesi dopo l'acquisto, ordinano ad Aspi di pagare come dividendo i 682 milioni di euro che gli avidi Benetton avevano tenuto nelle riserve.
- Una infrastruttura decisiva per l'Italia è stata consegnata a due fondi speculativi che la usano come bancomat spolpandola a piacimento.
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27/07/2010 Castelnuovo di Porto, inaugurazione del nuovo svincolo e della nuova stazione di Autostrade per l'Italia, nella foto la nuova stazione tra Fiano e Settebagni
C’è un momento preciso, nell’estate 2020, in cui un drappello di ministri e dirigenti dello stato e della statale Cassa depositi e prestiti (Cdp) ha finto di nazionalizzare Autostrade per l’Italia. Veniva presentato come il giusto castigo da infliggere alla famiglia Benetton e ai suoi soci per il crollo del ponte Morandi che il 14 agosto 2018 aveva provocato la morte di 43 persone.
Ma la finta nazionalizzazione nascondeva la privatizzazione di un affare d’oro di cui beneficiavano i fondi d’investimento Blackstone (americano) e Macquarie (australiano). Prima ancora dell’accordo tra governo e Benetton sulla finta nazionalizzazione, l’amministratore delegato di Cdp Fabrizio Palermo e il governo sapevano che il gioco lo avrebbe condotto il fondo Macquarie, rappresentato dal predecessore di Palermo al comando di Cdp, Claudio Costamagna.
Le manovre del M5s
Prima di entrare nei dettagli dello scandalo è utile ricordare il contesto. Palermo era stato voluto due anni prima su quella preziosa poltrona dai due ras pentastellati Luigi Di Maio e Riccardo Fraccaro. Per piazzarlo avevano costretto il ministro dell’Economia, l’incolore economista Giovanni Tria, a rimangiarsi la nomina già decisa di Dario Scannapieco, all’epoca vicepresidente della Banca europea degli investimenti che avrebbe lasciato tre anni dopo proprio per sostituire Palermo alla Cdp, dove un destino beffardo lo ha costretto a firmare l’operazione Aspi.
Al Tesoro gli intraprendenti pentastellati avevano invece piazzato, come capo di gabinetto, il presidente di sezione del Consiglio di stato Luigi Carbone che aveva preso il posto di un altro consigliere di stato, Roberto Garofoli, oggi sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Mario Draghi, silurato da Tria per ordine del premier Giuseppe Conte.
Siamo nel caos primigenio della rivoluzione gialloverde, reddito di cittadinanza e caccia ai taxi del mare si tengono per mano, Di Maio e Matteo Salvini suonano e Giuseppe Conte balla. Appena insediato aveva scelto come segretario generale di palazzo Chigi il fidato giurista Giuseppe Busia e subito era scattato il contrordine. Al posto di Busia gli avevano imposto un altro consigliere di stato, Roberto Chieppa, che è ancora lì con Mario Draghi (e con Garofoli).
Nel far west dell’Italia gialloverde si faticava a distinguere lo sceriffo dal bandito. È il contesto giusto per trasformare definitivamente l’austera Cdp in braccio armato della merchant bank di palazzo Chigi che progetta una truffa visibile a occhio nudo, senza bisogno del Var giudiziario.
Il grave inadempimento
Nella primavera 2020 si trascina il conflitto tra governo e Atlantia, la holding dei Benetton: lo stato punta alla revoca della concessione autostradale per “grave inadempimento”. I Benetton cercano di salvare il malloppo e la strada gliela spiana Matteo Renzi, che li difende dal primo giorno come se fossero sauditi, inventandosi il governo giallorosso dopo la crisi del Papeete dell’agosto 2019.
Di Maio approfitta per far fuori dal ministero delle Infrastrutture Danilo Toninelli (M5s) che considera incapace di stare al mondo, e perciò pericoloso. Il Pd lo sostituisce con Paola De Micheli e le piazza come capo di gabinetto Alberto Stancanelli, un fidato mister Wolf del Partito democratico.
All’Economia un altro Pd, Roberto Gualtieri, prende il posto di Tria, ma capo di gabinetto rimane Carbone. In pochi mesi il Conte II mette a fuoco l’idea geniale: Atlantia eviterà la revoca della concessione cedendo il controllo di Aspi. È il modo scelto dal governo giallorosso, con un accordo tra Di Maio e Pd che Conte subisce o forse non capisce (e per il quale oggi il Pd si sdebita candidando Di Maio nelle sue liste), per non fare del male ai Benetton che tanto bene hanno fatto a tutti i partiti in passato.
L’opinione pubblica viene ingannata presentando l’ipotesi come una spietata confisca, anche se è già deciso che Aspi sarà pagata a prezzo pieno.
Arriva Costamagna
Scende così in campo Cdp, braccio finanziario del governo. Ma si allertano anche gli investitori privati di tutto il mondo che fiutano l’affare. È in gioco il futuro della rete autostradale e quindi la soluzione più naturale è affiancare a Cdp, che non può fare tutto da sola, il fondo italiano F2i: è specializzato in infrastrutture e ha come azionisti la stessa Cdp, le fondazioni bancarie, le due maggiori banche italiane (Unicredit e Intesa) e due fondi previdenziali. Insomma, dare le autostrade a Cdp e a F2i è come affidarle ai nove cori degli angeli.
Le scelte sensate hanno un difetto insopportabile per gli uomini di mondo: non ci mangia nessuno. A questo punto scatta il blitz di Claudio Costamagna, ex presidente operativo di Cdp e quindi capo di Palermo quando quest’ultimo era solo direttore finanziario.
Costamagna è un banchiere d’affari di caratura planetaria e in Italia è amico di chiunque, da Romano Prodi a Matteo Renzi che lo ha imposto in Cdp. Stavolta si presenta come rappresentante di Macquarie. Va da Palermo e chiede, e ottiene, di riservare l’affare ai suoi amici australiani.
All’amministratore delegato di F2i Renato Ravanelli, che sta già elaborando un ambizioso progetto per rivoluzionare e ripulire la fogna delle concessioni autostradali, viene recapitato per le vie brevi un messaggio secco: deve togliersi di mezzo. Tutto questo non avviene dopo il 15 luglio 2020, quando a palazzo Chigi si firma l’accordo con Atlantia e per la prima volta si ufficializza la decisione di comprare Aspi dai Benetton. Avviene prima.
Senza bisogno di disturbare la magistratura, la prova dell’imbroglio la fornisce la stessa Cdp. Ma prima di arrivare al punto bisogna vedere che cosa succede dal 15 luglio al 19 ottobre 2020.
A chi interessa Aspi?
Per tre mesi i registi dell’operazione riescono a far credere che c’è grande interesse dei fondi di tutti il mondo per Aspi, ma nessuno fa proposte credibili. È una gigantesca presa in giro. I costruttori Dogliani si fanno avanti con il fondo Circuitus; Carlo Toto, concessionario della Roma-Pescara-L’Aquila, avanza manifestazioni di interesse con il fondo americano Apollo; girano anche i nomi di Beniamino Gavio, secondo concessionario italiano dopo Aspi, e del fondo americano Kkr, e di fondi meno noti come l’olandese Pggm.
Si presentano da Atlantia con l’acquolina in bocca e l’amministratore delegato Carlo Bertazzo li rimanda cortesemente indietro: l’accordo politico prevede che Aspi continuerà a valere qualcosa, cioè non subirà la revoca della concessione, solo se Atlantia la venderà a Cdp, Blackstone e Macquarie.
Infatti Atlantia protesta, grida all’estorsione e invoca la protezione della Commissione europea contro il governo italiano. Ma, come suol dirsi, non buca il video: nessuno si commuove per il sopruso inflitto a chi, con la sua avidità, ha causato la morte di 43 persone.
Il raggiro passa per sacrosanta giustizia sommaria. I Benetton smettono di strillare quando il prezzo offerto per Aspi sale dai 7 miliardi dell’offerta iniziale ai 9,3 finali, mentre i compratori vengono rassicurati dal nuovo Piano economico finanziario (Pef), benedetto in sequenza da De Micheli, Gualtieri, Conte e infine Draghi: assicura tariffe stellari fino al 2038.
Oggi la Cdp fornisce la prova della truffa sottoscrivendo la tesi ufficiale che il governo Draghi ha sventatamente scritto nella transazione che ha chiuso la procedura di revoca: Blackstone e Macquarie vengono scelti come soci senza nessuna procedura di selezione perché nessun altro si dimostra in grado di avanzare offerte interessanti.
Grazie al cavolo, direbbe qui un advisor del merger & acquisition: Atlantia dice che può vendere solo a Blackstone e Macquarie e ti sorprendi che nessun altro abbia fatto offerte?
La pistola fumante
Ed ecco la pistola fumante: Cdp rivendica che Blackstone e Macquarie sono state scelte senza selezione anche perché «avevano già acquisito una avanzata conoscenza di Aspi, posto che entrambi i fondi avevano iniziato ad analizzare il potenziale investimento in Aspi già ad aprile 2020, quindi almeno sei mesi prima della formazione del consorzio con Cdp Equity, avvenuta a ottobre 2020».
Blackstone e Macquarie stavano già studiando l’affare mesi prima che il governo decidesse di comprare Aspi anziché revocare la concessione, e questo chiaro indizio di trattamento preferenziale diventa il merito per cui vengono premiati.
Il 19 ottobre 2020 il consiglio d’amministrazione della Cdp autorizza la cordata Cdp Equity-Blackstone-Macquarie a presentare ad Atlantia l’offerta per l’acquisto dell’88,06 per cento delle azioni Aspi.
Con sprezzo del ridicolo scrive nel comunicato che le infrastrutture strategiche del paese «hanno bisogno di capitali pazienti, in grado di supportare piani di investimento ambiziosi e con un orizzonte di lungo termine».
Chiamano «capitali pazienti» quelli di due fondi che, due mesi dopo l’acquisto, ordinano ad Aspi di pagare come dividendo i 682 milioni di euro che gli avidi Benetton avevano tenuto nelle riserve.
Una infrastruttura decisiva per l’Italia è stata consegnata a due fondi speculativi che la usano come bancomat spolpandola a piacimento. Ma l’importante, per tutti i politici che non fiatano, è che i magistrati non ravvisino reati.
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