- Il messaggio di posta elettronica inviato alla protezione civile e alla presidenza del consiglio è del 28 febbraio 2020.
- Il presidente della regione Lombardia, Attilio Fontana, chiedeva il mantenimento delle misure blande della settimana precedente, nonostante la situazione fosse già oltre la soglia critica.
- Fontana sapeva di questa situazione: alla e-mail allega uno studio in cui si cita espressamente l’indice di contagio già a livello R:2, perciò fuori controllo. Il messaggio è peraltro allegato alla super consulenza commissionata dalla procura di Bergamo (i pm indagano sulla gestione della pandemia e stanno per chiudere l’inchiesta) a un pool di esperti, tra cui il microbiologo Andrea Crisanti, che documenta con decine di atti quante vite si sarebbero potute salvare se fin dalla fine di febbraio fossero state applicate misure restrittive radicali.
FOTO
LaPresse
Un’email partita alle 16.59 del 28 febbraio 2020 dalla casella postale del presidente lombardo Attilio Fontana. Un documento finora inedito, letto da Domani, che certifica non solo che la regione più colpita dal Covid-19 nella prima ondata pandemica non chiese mai formalmente una zona rossa per la provincia di Bergamo, e soprattutto per la Val Seriana dove sono morte oltre seimila persone in poco meno di due mesi, ma dimostra anche che al contrario i vertici regionali chiesero ufficialmente al governo di restare in zona gialla, ovvero di mantenere le misure blande dei giorni precedenti. Nonostante fossero al corrente della catastrofica situazione epidemiologica.
I destinatari della missiva sono: Angelo Borrelli, a capo della Protezione Civile, la segreteria della presidenza del consiglio, quella del ministero dello sviluppo economico e la segreteria del ministero dell’Interno. L’oggetto: «Urgente - proposte misure contenimento della diffusione del Coronavirus ordinanza integrazione medie e grandi strutture vendita».
La email di Fontana
L’email è stata acquisita dalla procura di Bergamo che da oltre due anni e mezzo indaga sulla strage covid nella bergamasca. Uno dei passaggi cruciali: «Regione Lombardia, con la nota trasmessa ieri, ha richiesto il sostanziale mantenimento, per la settimana dal 2 all’8 marzo delle misure di contenimento della diffusione del Coronavirus valide per questa settimana, già adottate con il decreto del 23 febbraio 2020 per i comuni del basso lodigiano e con l’ordinanza per il resto del territorio regionale». Questo documento viene menzionato anche nella consulenza tecnica depositata in procura a Bergamo il 14 gennaio di quest’anno e commissionata dagli inquirenti a tre esperti: Andrea Crisanti, Daniele Donato ed Ernesto D’Aloja.
Nella email del 28 febbraio Fontana chiede di reiterare le misure già attive da giorni e motiva la richiesta accompagnando il documento con una presentazione nella quale si mette in evidenza come l’incidenza dei contagi sia elevata in pochi territori e come le misure adottate il 25 febbraio alla luce dei dati siano “valide”. Ma è proprio la presentazione allegata alla richiesta di regione Lombardia a suscitare perplessità anche agli occhi della procura di Bergamo e dei consulenti tecnici, poiché dimostra la consapevolezza del presidente leghista della situazione epidemiologica ormai fuori controllo.
Il presidente sapeva
La presentazione, dal titolo “Piano di Regione Lombardia per il contenimento della diffusione di Coronavirus” (altro documento inedito letto da Domani) esordisce nel capitolo “Cosa abbiamo capito” con due affermazioni, la prima: «Il virus clinicamente non dà problemi o comunque è facilmente risolvibile”; la seconda: «Dalle prime evidenze ogni paziente con Coronavirus trasmette il virus ad altre due persone R0=2». In quei giorni di fine febbraio, dunque, regione Lombardia era consapevole che l’indice di trasmissione aveva raggiunto e superato la soglia critica di due, ma chiese comunque di mantenere le stesse misure blande dei giorni precedenti. Infatti, nella successiva slide di questo “Piano” dal titolo “che cosa abbiamo capito 2” si legge: «Le misure che sono state adottate domenica con il DPCM del 25 febbraio, alla luce dei dati di oggi SONO VALIDE (maiuscolo nel documento, ndr) perché permettono di contenere la diffusione del virus ed evitare che l’incidenza dei territori più colpiti raggiunga tutta la Regione».
È bene ricordare che il 28 febbraio 2020 è anche il giorno in cui i vertici regionali avevano ricevuto un’email con l’aggiornamento della situazione epidemiologica in Lombardia e nella bergamasca: si trattava dei grafici del matematico Stefano Merler, della Fondazione di Trento Bruno Kessler, nei quali veniva comunicato che l’R0, cioè l’indice di trasmissione, in Lombardia era superiore a 2 e in provincia di Bergamo aveva un potenziale fino a 3.17 (soglia ampiamente superata nel mese di marzo, quando l’RT a Bergamo, dopo le chiusure tardive, toccherà quota 4.5).
I dati forniti a regione Lombardia sono ancora “molto sottostimati”, sottolineava il matematico Merler, dal momento che non tenevano conto degli asintomatici. Secondo i consulenti della procura il presidente Fontana è dunque informato del fatto che l’indice di trasmissione in regione ha raggiunto il valore critico di due. E e che i vertici di regione Lombardia siano anche consapevoli delle conseguenze che un indice di trasmissione Rt=2 avrebbe avuto per il sistema sanitario della regione e per la salute dei cittadini.
Ad alimentare ulteriori sospetti sulla regione guidata da Attilio Fontana per la gestione caotica e disorganizzata c’è anche un giallo che la consulenza potrebbe finalmente risolvere. Materia di discussione è lo studio denominato scenari di Merler. Un autorevole studio sulla diffusione del coronavirus in Italia, che prevedeva fino a 70 mila vittime, presentato a Roma davanti al Cts il 12 febbraio 2020 e diventato una bussola per le autorità sanitarie per orientarsi in quelle settimane caotiche di una guerra contro un nemico sconosciuto.
Alberto Zoli, direttore generale dell’Azienda Regionale Emergenza Urgenza (Areu) in Regione Lombardia e membro del Cts (comitato tecnico scientifico) avrebbe dichiarato agli inquirenti di aver condiviso gli scenari di Merler con le autorità regionali e di averli informati che le previsioni erano talmente catastrofiche da aver indotto il Cts e il Ministro Roberto Speranza a secretare il Piano Covid per non allarmare l’opinione pubblica.
Zoli in realtà ha sempre affermato pubblicamente di non averne mai parlato con la giunta Fontana di questi numeri, per un patto di riservatezza sottoscritto con i membri del Comitato tecnico scientifico. Fontana dal canto suo ha sempre detto di non aver mai avuto accesso a quelle informazioni. Zoli è stato tirato in ballo anche dall’ex ministro Speranza, che per difendersi dalle accuse di Matteo Salvini, il capo del partito di Fontana, ha spiegato che le Regioni sapevano del Piano (secretato e basato sugli scenari di Merler), posto che, all’interno del Cts sedeva Zoli, uomo della sanità in regione Lombardia. Solo che Zoli ha sempre sostenuto di aver rispettato il patto di riservatezza e di non aver mai riferito nulla ai vertici regionali. Ora l’indagine di Bergamo potrebbe finalmente fare chiarezza anche su questo pasticcio, poiché Zoli avrebbe confermato di aver condiviso gli scenari di Merler con l’Unità di Crisi di Regione Lombardia e di averli avvertiti dell’imminente catastrofe.
Una catastrofe
Non aver chiuso tempestivamente la Val Seriana, culla industriale della Lombardia, ha provocato migliaia di morti in più, soprattutto tra i comuni di Alzano Lombardo e Nembro, epicentro della prima ondata Covid.
Questa è la prima notizia trapelata già all’inizio di quest’anno relativa ai risultati emersi con la consulenza tecnica della procura di Bergamo: «La tempestiva applicazione della zona rossa nella bergamasca avrebbe evitato tra le duemila e le quattromila vittime», aveva battuto l’agenzia Ansa quel giorno stesso.
Un dato clamoroso che oggi, alla luce di questa email riservata di regione Lombardia, suscita nuova rabbia tra i parenti delle vittime di quella ecatombe. Secondo le prime indiscrezioni, tuttavia, le responsabilità sarebbero da ricercare anche a Roma, come già raccontato da Domani un anno e mezzo fa con una notizia che oggi trova una conferma importante: secondo i periti la ragione per la quale azioni più tempestive e più restrittive non sono state prese la fornisce il Presidente Conte quando, nella riunione del 2 marzo 2020, afferma che «la zona rossa va utilizzata con parsimonia perché ha un costo sociale politico ed economico molto elevato».
I messaggi su Conte
Queste considerazioni di natura politica hanno prevalso sulla esigenza di proteggere gli operatori del sistema sanitario nazionale e i cittadini dalla diffusione del contagio. In quella riunione del Cts (il comitato tecnico scientifico) del 2 marzo che, lo ricordiamo, sarebbe dovuta rimanere riservata, alla presenza del ministro Speranza e del premier Conte, il professore Silvio Brusaferro (presidente ISS) illustrava la situazione nei comuni di Alzano, Nembro e Cremona, «dove si registrava una elevata trasmissione virale e sottolineava l’urgenza di adottare misure analoghe alla zona rossa». Conte però ribatteva che la «zona rossa ha un costo sociale, politico ed economico molto elevato; decide di rifletterci». Il contenuto di quell’incontro - già riferito da Domani a marzo 2021 - ufficialmente non doveva essere trascritto, ma uno dei componenti (Agostino Miozzo) ha redatto un verbale dal quale emerge che tutti sapevano giorni prima rispetto al 3 e al 5 marzo 2020, date in cui Speranza e Conte hanno affermato di essere venuti a conoscenza della necessità di chiudere i comuni di Alzano e Nembro.
I messaggi telefonici allegati alla consulenza tecnica, peraltro, confermerebbero le esitazioni di Conte nell’adottare la zona rossa ad altri comuni dopo quella applicata alla provincia di Lodi, dove si è verificato il primo caso covid il 20 febbraio 2020. È così che Brusaferro avrebbe chiesto supporto a Merler per una nuova analisi dei dati che giustificasse la misura più estrema della chiusura totale, approfondimento che avrebbe convinto il Ministro Speranza a firmare il decreto fantasma del 5 marzo 2020 con l’estensione della zona rossa ad Alzano e Nembro. Decreto che non verrà mai controfirmato dal premier Conte.
Nelle carte della procura, che si appresta a chiudere le indagini di un procedimento penale delicatissimo che vede al momento cinque dirigenti sanitari di regione Lombardia indagati con l’ipotesi di reato di epidemia colposa e falso, c’è il racconto della genesi del disastro annunciato: email, chat, conversazioni, testimonianze e modelli matematici che documentano l’inerzia del governo giallo rosso e della regione Lombardia, con il suo presidente Attilio Fontana che pur sapendo dei dati ben oltre la soglia critica chiese di mantenere misure leggere di contenimento.
La consulenza tecnica svela omissioni e superficialità di chi avrebbe dovuto garantire la sicurezza dei cittadini lombardi nella regione all’epoca colpita più di tutte dal Covid-19. Emerge così l’indecisione delle autorità regionali e del governo sui provvedimenti da adottare. Sono 17 i giorni di inerzia su cui gli inquirenti di Bergamo, guidati dal procuratore capo Antonio Chiappani, stanno cercando di fare luce e durante i quali non vennero adottate azioni più restrittive, peraltro previste dal Piano Covid (secretato) e normate dal decreto legge del 23 febbraio 2020.
Verità negate, verità nascoste, impreparazione, bugie e omissioni. L’inchiesta sulla gestione della prima fase covid in Lombardia, comunque vada a finire, farà emergere l’inadeguatezza di chi ha dovuto affrontare la prima fase pandemica.
Il 28 febbraio 2020 è quanto mai centrale. Le valutazioni e le decisioni prese a partire da quel giorno da regione Lombardia e dal governo, secondo i consulenti della procura, avrebbero avuto conseguenze molto gravi nel controllo dell’epidemia in Italia, che si è trovata da quel momento in balia dell’improvvisazione.
© Riproduzione riservata