Una rete di strutture accreditate con l’Asl piemontese fanno capo a un imprenditore in affari con un altro legato ai clan. Una delle residenze al centro di polemiche per aver ospitato pazienti in arrivo dall’ospedale
- L’ombra della ‘ndrangheta su almeno sette residenze per anziani in provincia di Torino. E due di queste al centro di diversi morti e contagi sospetti nel picco della prima ondata della pandemia.
- Fanno capo sempre allo stesso imprenditore. Sullo sfondo della sua carriera imprenditoriale c’è un legame con famiglie della mafia calabrese, che dagli anni Sessanta hanno trasferito in Piemonte tradizioni e nuovi business.
- Scavando tra questi intrecci finanziari, i detective si sono imbattuti in questo imprenditore che in provincia di Torino ha costruito negli anni una rete di residenze per anziani, tutte accreditate con le Asl.
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21/04/2020 Brescia, Reportage NAS, indagini per Coronavirus Lombardia; ispezioni all'interno di RSA del territorio
Sette residenze per anziani in provincia di Torino. Due di queste, Villa Giada e Trinité, al centro di diversi morti e contagi sospetti nel picco della prima ondata della pandemia. Le altre cinque non hanno avuto segnalazioni particolari, ma fanno capo sempre allo stesso imprenditore: Cataldo Principe. Sullo sfondo della sua carriera imprenditoriale c’è un legame con famiglie della mafia calabrese, che dagli anni Sessanta hanno trasferito in Piemonte tradizioni e nuovi business.
Cosche che hanno scritto oltre mezzo secolo di storia criminale, decine di processi ne hanno certificato il radicamento, i rapporti con politica e imprese nel capoluogo così come nella cintura metropolitana. Un territorio dove sono anche stati sciolti i consigli comunali per l’interferenza della ‘ndrangheta nell’amministrazione pubblica.
E dove sta emergendo un intreccio preoccupante tra imprenditori attivi nella sanità privata, beneficiari anche di risorse pubbliche e cosche provenienti dalla provincia di Reggio Calabria. In particolare da San Luca, il paese dell’Aspromonte, la cassaforte delle tradizioni della mafia più misteriosa al mondo, la ‘ndrangheta, appunto.
Clan col camice bianco
Per capire, però, perché il gruppo imprenditoriale a cui fanno capo le sette Rsa del torinese sia sfiorato dai sospetti dei detective bisogna tornare al 2016, quando la procura antimafia di Milano dà il via all’inchiesta sul riciclaggio del denaro sporco delle cosche calabresi nelle farmacie.
In particolare, secondo i magistrati, i soldi provenienti da Giuseppe Strangio, originario di San Luca e all’epoca direttore delle Poste di un comune in provincia di Reggio Calabria, sarebbero stati usati per acquistare l’antica farmacia Caiazzo in centro a Milano. Il processo di primo grado è terminato con l’assoluzione di Strangio, che ha legami, anche parentali, con i vertici di una delle cosche più in vista della Calabria.
Tuttavia, nell’anno in cui si è guadagnato l’assoluzione, Strangio è stato coinvolto in una seconda inchiesta, questa volta della procura antimafia di Reggio Calabria: una maxi operazione sulle ramificazioni delle cosche di San Luca in Europa. Tra queste quella dei Romeo, la stessa che ritroviamo nell’operazione farmacie con Strangio e Giammassimo Giampaolo, farmacista e cugino di un narco di primo piano della ‘ndrangheta.
Sia Strangio che i parenti di Giampaolo erano sospettati, per legami familiari e rapporti, di essere legati alla famiglia Romeo, potente casato della mafia calabrese protagonista dei grandi traffici di droga e prima dei sequestri di persona. Chiusa quella parentesi, alla fine degli anni Novanta la famiglia Romeo ha investito molti quattrini in cliniche private, che hanno ottenuto l’accreditamento con il pubblico.
Scavando tra questi intrecci finanziari, i detective si sono imbattuti in Cataldo Principe, l’imprenditore che in provincia di Torino ha costruito negli anni una rete di residenze per anziani, tutte accreditate con le Asl. Il suo è un nome già presente in alcune informative dei carabinieri sulla ‘ndrangheta piemontese.
Il Principe delle Rsa
Principe è titolare di alcune società che gestiscono le residenze per anziani dove nel picco della prima ondata del Covid si sono verificati anche decessi. Villa Giada è tra queste. Una struttura a pochi chilometri da Ivrea, a Bessolo di Scarmagno, nella zona del Canavese, provincia di Torino. Qui ad aprile ci sono state alcune morti causa Covid e altre sospette.
«Abbiamo avuto solo uno o due decessi», dice Principe, «adesso siamo preoccupati, ma non abbiamo ospiti positivi e tutti sono stati sottoposti a tampone». Una struttura come Villa Giada, secondo i documenti Asl 4, per un posto in alta intensità arriva a costare quasi 100 euro al giorno.
Anche la residenza Trinitè è un affare di Principe. Nel corso della crisi più acuta i sindacati hanno denunciato anomalie sulla gestione. Come il trasferimento, il 4 aprile, di 16 pazienti contagiati dall’ospedale di Settimo Torinese alla struttura di Principe. Anche perché qui alla Trinitè in un solo mese si erano verificati 25 decessi. Non tutti conclamati Covid, ma solo a pochi era stato fatto il tampone.
«All'ingresso nella Rsa erano tutti sulla via della guarigione, ora abbiamo saputo che cinque di loro sono risultati di nuovo positivi, ci chiediamo come la struttura intenda affrontare il problema» aveva denunciato Juan Tafur della Cgil, che si era mosso dopo la segnalazione di alcuni lavoratori e familiari.
Un articolo di Repubblica Torino riferiva che già il 16 marzo «si era accertato che il virus era entrato tra quelle mura, quando due pazienti hanno dovuto ricorrere alle cure ospedaliere per altre ragioni e, all'ingresso, era stato fatto il tampone ed era risultato positivo. Dall'ospedale le due anziane non sono più uscite, decedute entrambe.
Ma i morti sarebbero molti di più: 25 nelle ultime settimane su 104 ospiti, con punte di 4 decessi in un giorno». La cronista riportava la risposta della struttura, senza specificare chi avesse parlato: «Non abbiamo tutti questi decessi, sono bufale». Contattato da Domani, Principe ha risposto che «alla Trinitè c'è più di un problema, ma io lì non sono socio gestore, ma solo socio economico». In pratica incassa, ma non mette bocca.
L’insospettabile
Principe, dunque, emerge per la prima volta nell’inchiesta sulle farmacie milanesi. È stato socio fino al 2013 di Strangio, che secondo gli investigatori di Milano e Reggio Calabria è legato alla cosca Romeo.
L’imprenditore delle Rsa torinesi è citato in quelle carte anche per un investimento: insieme al gruppo di Strangio, incluso Giampaolo, era coinvolto nell’acquisto di una farmacia a Bruino, nel torinese, a un prezzo di 2,2 milioni di euro. Del gruppetto di investitori faceva parte anche Giuseppe Musolino, già consigliere comunale d’opposizione al comune di Leinì, municipio sciolto per ‘ndrangheta dopo “Minotauro”, la maxi inchiesta che ha portato alla sbarra un centinaio persone tra boss, imprenditori e politici.
Cataldo Principe, invece, è stato in passato vicesindaco. Il legame societario tra Principe e Strangio è diretto, risale a qualche anno fa, almeno in due aziende. Una di queste è il residence San Placido, fa parte del network Rsa di Principe. Strangio, l’uomo delle cosche, ha dismesso le quote nel 2012.
«Strangio? Chi è ?», si difende Principe, che però pochi minuti più tardi recupera la memoria: «L'ho conosciuto quando era una persona onorevole, direttore di un ufficio postale, se si è messo in mezzo ai guai sono affari suoi». Principe racconta di aver conosciuto quel gruppo di imprenditori, coinvolti anche nel business della farmacie, in un contesto insospettabile: «Si presentavano anche in compagnia di un giudice, di cui non ricordo il nome». Durante la conversazione, però, Principe cambia tono: «Non so chi è lei, lei non è un giornalista, ma che cazzo vuole? Io sono una persona perbene e quelli li ha portati Musolino».
C’è un’altra Rsa di cui Principe è socio. L’ultima a finire nella sua orbita è la Madonna delle grazie di Cintano, anch’essa accreditata con l’Asl e con alle spalle una storia rocambolesca. Sede in un antico palazzo della curia di Ivrea, fino al 2014 era nella disponibilità di Francesco D’Onofrio, condannato per ‘ndrangheta in appello l’anno scorso a sei anni.
La ditta Atena, riconducibile a Principe, che ha preso l’ha presa in gestione ha pagato mezzo milione di euro per rilevare il ramo d’azienda della vecchia società, che aveva un contenzioso con la curia. Atena gestisce una seconda Rsa: Tabor.
Nel 2013 Principe dato vita a un’altra Rsa, per anziani non autosufficienti: La Torre a Castelnuovo di Ceva, Cuneo. Sul web si circolano le foto dell’inaugurazione del parcheggio della struttura, messo a disposizione della comunità. Principe sorride al fianco del sindaco del paese. La politica dopo la sanità, la sua passione mai sopita.
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