Viaggio a Gjader e Shengjin, dove dovrebbero sorgere le strutture previste dall’accordo tra il governo Meloni e quello albanese. Dovevano essere inaugurate entro maggio, ma uno dei cantieri è in alto mare. E l’hotspot, quasi completato, rischia di essere solo una scatola vuota
Alle tre del pomeriggio Gjader è un paese fantasma. Come fantasmi saranno i migranti che, sognando l’Europa, verranno deportati all’ombra di questa montagna grazie all’accordo tra Giorgia Meloni e il presidente dell’Albania, Edi Rama.
Gadjer è una frazione del vicino comune di Lezhe, nord del paese, a 50 chilometri dal confine con il Montenegro e dal Kosovo. Ricorda quei vecchi film western con edifici in legno che cadono a pezzi. Qui, però, i muri delle case sono in cemento scrostato.
Il borgo, stretto attorno a un’unica strada tappezzata di buche, conta una trentina di abitazioni a uno e due piani sparse da un lato e dall’altro. L’unico sussulto di vita è in un bar con quattro pensionati che si sfidano a carte. A un altro tavolo è seduto un quarantenne sorridente e disoccupato, che sfugge alle nostre domande. Nessuno vuole parlare del grande centro per migranti. Solo i signori tra una partita e un’altra, sbuffano qualche parola in albanese che il traduttore sintetizza così: «La politica decide sopra le nostre teste».
Promesse smentite
Il cantiere di Gjader è la smentita più eclatante delle promesse diffuse da Radio propaganda Meloni, che aveva assicurato con enfasi alla nazione che le strutture sarebbero state pronte per maggio 2024.
Il nostro giornale, in una inchiesta pubblicata il 10 aprile scorso, aveva già rivelato il cronoprogramma interno del 3° reparto Genio dell’Aeronautica, al quale il ministero della Difesa ha assegnato con una determina la realizzazione dei centri in Albania stanziando 65 milioni di euro.
La prima struttura sarà a Shengjin e l’altra, appunto, a Gjader. Il cronoprogramma, dicevamo: indica la fine lavori dopo 223 giorni a partire da fine marzo, quindi a fine ottobre – novembre. Tabella di marcia stilata sulla base di relazioni scritte dai militari dopo i sopralluoghi nelle aree interessate in cui sono state segnalate alcune criticità che hanno dilatato i tempi. Altro che inaugurazione entro maggio.
L’inizio della deportazione in Albania dei migranti “invasori” del patrio suolo può così attendere. E sebbene non esista alcuna emergenza in atto (lo rivelano i numeri degli sbarchi), il governo non arretra. Anzi, chiede celerità.
Perciò nella determina sono previste deroghe su deroghe per l’affidamento a ditte esterne di lavori. Fornitori locali dei quali non si conosce nulla. Prima però di addentrarci nel centro di Gjader è necessario tornare sulla costa, nel paese di Shengjin, a trenta minuti di auto dal paese fantasma, dove è quasi pronta la struttura realizzata nel porto commerciale che funzionerà da hotspot, cioè da centro di identificazione. Da lì, poi, i migranti verranno trasferiti a Gjader.
L’inutile hotspot
«Non potete entrare». Alla fine, l’uomo davanti all’entrata del porto, si fa capire in una lingua che assomiglia all’italiano condito da alcune parole in albanese. Non c’è verso di fargli cambiare idea. Solo la mattina successiva, autorizzati dal capo dell’autorità portuale di Shengjin, un sessantenne brizzolato e fumatore incallito, riusciamo finalmente ad accedere nel porto che, per volere di Giorgia Meloni, è diventato anche un po’ italiano o della nazione, per usare il termine che più ama la presidente del Consiglio.
Appena varcata la soglia, sulla sinistra, appare una struttura che assomiglia a un super carcere: imponente per le inferriate di grigio scintillante che sembrano toccare il cielo. Servono per impedire la fuga. Per dare colore a questa struttura carceraria, i moduli prefabbricati sono stati poggiati su un prato verde finto, dall’alto sembra un campo di calcetto. Ma di ludico questo spazio non ha nulla.
Per molti sarà solo l’anticamera dell’inferno: i migranti deportati fin qui dalle navi italiane sosteranno giusto il tempo per essere identificati, per le visite mediche. I più fortunati potranno compilare la richiesta di asilo, il destino di altri sarà il rimpatrio ma sempre dopo una sosta a Gjader. Intanto tra navi cargo e pescherecci attraccati ai moli è tutto, o quasi, pronto per il taglio del nastro. Ma comunque vada sarà un’inaugurazione inutile, una passerella: dove verranno mandati i migranti identificati se l’altro, il vero centro, di Gjader è ancora inesistente?
I vulnerabili
«Questo accordo non riguarda i minori e altri soggetti vulnerabili», aveva assicurato la premier durante la conferenza stampa di novembre, quando con l’omologo albanese aveva presentato il contenuto del protocollo. Le procedure accelerate di frontiera, che dovrebbero essere applicate alle persone che verranno rinchiuse nei centri, non possono, per legge, essere destinate a minori, disabili, anziani, donne in gravidanza, vittime della tratta di esseri umani e altri soggetti con esigenze particolari.
Le imbarcazioni delle autorità italiane dovrebbero, secondo quanto previsto dall’accordo, portare in Albania le persone salvate in acque internazionali. Ma non è possibile determinare se un soggetto può essere o meno considerato vulnerabile su una barca durante i trasbordi e le delicate operazioni di salvataggio. Occorre personale specializzato.
A ogni modo queste rassicurazioni fatte da Meloni durante la conferenza stampa non sembrano corrispondere alla realtà. Da una mappa dei locali interni del centro di Shengjin, visionata da Domani e allegata a una relazione del Genio militare dopo un sopralluogo di gennaio scorso, è previsto un locale di 28 metri quadri chiamato “attesa minori”.
Quegli stessi minori ai quali, per legge, dovrebbero essere garantite le procedure ordinarie. Un giallo che nessuno è ancora riuscito a chiarire. Anche perché l’Aeronautica, cui fa capo il 3° reparto Genio, ha risposto che per quanto riguarda le informazioni sui progetti albanesi sono maneggiate da un non meglio precisato livello governativo. E neppure la Difesa a oggi ha saputo indicare a chi rivolgerci per avere risposte sui minori e anche sulla filiera oscura degli appalti.
Filiera senza nome
Ritorniamo quindi a Gjader, il grande cantiere segreto finanziato con milioni di euro degli italiani. A chi vanno a finire questi soldi? Di certo non solo ad aziende della “nazione”. Qui i lavori vanno a rilento.
L’area vista dall’alto, con le immagini realizzate da Domani, appare come una landa arida popolata da gru, escavatori e camion, stretta tra la montagna e una schiera di case. Il sito è un terreno di 70mila metri quadri offerto da Rama all’Italia: un tempo era una base dell’aeronautica militare albanese. Va bonificato persino da eventuali ordigni bellici, è scritto dei documenti ufficiali letti dal nostro giornale.
La struttura sarà una sorta di Cpr all’italiana, potrà contenere oltre 800 persone. «I centri saranno pronti entro la fine di maggio», ripetevano all’unisono ministri e parlamentari, mentendo spudoratamente anche quando era chiaro che non sarebbe stato così. Difficile credere che buona parte dell’esecutivo fosse all’oscuro del vero cronoprogramma in mano al 3° reparto Genio dell’Aeronautica.
Nel centro di Gjader nulla è pronto: dall’impianto fognario alla rete idrica, neppure è iniziata la bonifica di eventuali ordigni bellici da cercare fin dentro i tunnel e i rifugi presenti in quel terreno. Il sorvolo dell’area, perciò, svela il costosissimo bluff di Meloni: oltre ai 65 milioni per la costruzione vanno aggiunti centinaia di milioni per la gestione e la sicurezza interna assicurata dalle nostre forze di polizia in trasferta ben pagata.
Al bluff si somma la riservatezza e l’opacità attorno a questo cantiere pubblico. Al Genio è stata concessa la possibilità di affidare senza gara forniture di vario tipo senza alcuno screening. Fare presto è l’imperativo che arriva da Roma. Figurarsi se c’è il tempo per effettuare verifiche antimafia. «In ragione dell’urgenza e della rilevanza si prevedono i seguenti affidamenti a operatori esterni», è scritto nella determina di affidamento.
«Lavorano 6 compagnie con operai albanesi e kossovari divisi su tre turni sulle 24 ore», conferma un poliziotto di guardia all’entrata secondaria del cantiere. Di queste aziende, tuttavia, non c’è traccia in nessun cartello di cantiere. A chi vanno, perciò, parte dei fondi pubblici dello stato italiano? Ad anonimi fornitori albanesi e kossovari. Qualcuno sospetta suggerite da ambienti governativi albanesi. Contattato, il presidente Rama non ha risposto alle nostre reiterate richieste di intervista.
Sul cartellone dei lavori è, invece, indicata l’azienda progettista: Akkad, società di ingegneria, sede a Roma. Direttore tecnico dell’azienda è Fabrizio Palmiotti, il suo nome è emerso in un’inchiesta della procura di Matera sugli appalti pubblici.
La società ha declinato la nostra richiesta di commento: avremmo voluto conoscere più dettagli di quella vicenda. Sullo stesso cartellone alla voce impresa esecutrice troviamo scritto Ri.Group della provincia di Lecce. Il rappresentante legale è Salvatore Tafuro: coinvolto in un’inchiesta, ma «prosciolto nel 2020 con sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione», è la risposta dell’azienda da tempo in affari con la Difesa e che si è aggiudicata per 5milioni di euro la realizzazione dei prefabbricati di Gjader.
La catena dei fornitori, come da determina, ricade in capo al 3° reparto Genio dell’aeronautica. Ma neppure da loro al momento abbiamo ricevuto risposte sul tipo di verifiche fatte prima di stipulare contratti con aziende locali.
«La criminalità organizzata albanese è abile nell’inserirsi dove ci sono fondi pubblici», spiega un’autorevole fonte della super procura anti corruzione di Tirana, la Spak. Ma in questo grande bluff dei patrioti al governo, la priorità non è capire a chi finiscano i soldi, si tratta, piuttosto, di tagliare il nastro per dare il via alla deportazione dei migranti per gestire un’emergenza inesistente.
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