Era sera tardi quando l’avvocato Arturo Covella ha ricevuto la telefonata da un suo assistito rinchiuso nel Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) di Palazzo San Gervasio, in provincia di Potenza, per raccontare quello che stava vedendo attraverso le sbarre della finestra della sua cella. Era il 28 settembre, un ragazzo di 22 anni di origine marocchina, appena rientrato dall’ospedale, era stato lasciato in mezzo al campo da calcio del centro, a dormire con un catetere su un materasso buttato per terra.

Aveva chiesto di essere portato in un luogo riparato, dove poter mangiare e lavarsi. Si lamentava per il dolore, piangeva e i gestori del centro lo hanno lasciato all’aperto, sostenendo di non riuscire a trovargli un posto. Il clima in quei giorni era freddo e pioveva, non gli hanno fornito coperte e si è scaldato con quello che è riuscito a trovare, maglioni e asciugamani.

«Praticamente gli hanno detto “muori qua”», hanno raccontato i detenuti al telefono. «Ma i posti ci sono», dice Covella, che ha assistito molte persone trattenute, «avrebbero potuto sistemarlo in infermeria o in luoghi che la notte non vengono utilizzati, come la sala per i colloqui con gli avvocati».

Covella è poi riuscito a visitare il ragazzo, che lo ha nominato suo difensore. «Abbiamo parlato poco perché non parla italiano e il gestore si è rifiutato di fornire un mediatore», racconta. L’uomo non aveva più il catetere, ma aveva la pancia gonfia, perché non riusciva a urinare, e tagli evidenti sulle braccia.

Nel momento in cui è entrato nel Cpr stava bene, hanno raccontato i trattenuti, e la sua condizione è peggiorata durante la detenzione. Il primo ingresso in ospedale è stato a causa di una caduta, spiega Covella, era riuscito ad andare sul tetto del modulo per protestare contro le condizioni del centro, e – la dinamica non è stata chiarita – è caduto.

«Mi hanno ricontattato di nuovo i suoi compagni di modulo la sera di mercoledì», continua l’avvocato, «la situazione era drammatica». Ma per giorni nessuno è intervenuto e continua a essere considerato idoneo al trattenimento, anche se in base al regolamento devono essere individuate «eventuali condizioni di inidoneità alla permanenza».

Negligenza sanitaria

Oltre alle segnalazioni dell’avvocato in procura e al Garante per i diritti dei detenuti, il caso è arrivato in parlamento. La deputata del Pd Rachele Scarpa il 4 ottobre ha depositato un’interrogazione per «denunciare una preoccupante ed emblematica situazione di negligenza sanitaria».

Il trattenuto «non sta ricevendo dal personale sanitario dell’ente gestore alcuna forma di assistenza», si legge nel comunicato, «né tantomeno un’opportuna rivalutazione dell’idoneità al trattenimento». E, aggiunge, il contesto del Cpr non garantisce un’adeguata mediazione culturale né «condizioni igienico-sanitarie idonee», con il rischio di infezioni. Le sue condizioni rimangono critiche e, alla richiesta di Covella di avere la documentazione medica, l’ente gestore, Officine Sociali, si è opposto. «Si stanno violando tutti i diritti e le normative internazionali», dice l’avvocato.

La storia di questo ragazzo non è però un’eccezione, ma la regola nel Cpr di Palazzo San Gervasio e non solo, scrive Scarpa: le condizioni «sono degradanti, pericolose, inaccettabili». «Una persona si è tagliata, una è salita sul tetto, il cibo puzzava», ha denunciato un trattenuto. Nella stessa struttura, due mesi fa, è morto un ragazzo di 22 anni, Oussama Darkaoui.

La procura sta indagando e l’inchiesta si aggiunge a un altro procedimento, a carico di una trentina di persone – tra cui un ispettore di polizia, medici e personale dell’ex gestore Engel – per frode nelle pubbliche forniture, abusi e maltrattamenti.

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