Il Cpr, centro per i rimpatri, di Ponte Galeria a Roma è di nuovo in rivolta. Oggi, intorno a mezzogiorno, è scattata l’ennesima protesta: materassi bruciati, gravi danneggiamenti, persone salite sui tetti e che sono riuscite a fuoriuscire dai loro “settori” per arrivare fino ai corridoi che collegano i vari moduli. Secondo le testimonianze che arrivano dall’interno della struttura, le forze dell’ordine sarebbero intervenute e il bilancio, al momento, sarebbe di una 2 persone trattenute che hanno avuto bisogno di intervento medico, e di 4 agenti e un funzionario della questura “refertati” in ospedale di cui uno con una contusione ad un polso. La rivolta sarebbe rientrata in seguito all’intervento della squadra mobile della polizia I trattenuti sono stati lasciati senza pranzo.

«Qui ci massacrano tutti. Se l’altra volta hanno usato i gas lacrimogeni, questa volta ci aspettiamo di peggio», dicono dall’interno. «La situazione è critica». L’ultima rivolta, il 5 luglio, era scattata dopo il tentativo di suicidio di un detenuto. Oggi si segnala un livello di tensione molto alto con le forze dell’ordine presenti all’interno della struttura. «I trattenuti sono terrorizzati».

Altre fonti dei movimenti “No Cpr” parlano di «accanimento da parte della polizia su persone che chiedevano assistenza sanitaria» ieri sera, mentre oggi alcuni reclusi avrebbero sfondato la porta del settore 4 dopo aver bruciato dei materassi e 3 persone sarebbero salite sul tetto. Sul posto è arrivata nel pomeriggio la garante delle persone private della libertà personale di Roma Valentina Calderone. La garante racconta che quando è arrivata gli “ospiti” si trovavano rinchiusi nei propri settori, i cui cancelli apparivano già danneggiati e chiusi con un lucchetto provvisorio, nella protesta di oggi il cancello che separa le gabbie dei reclusi dalla parte amministrativa è stato sfondato e la stanza degli infermieri è stata distrutta.

Anche l’ufficio del garante nazionale per i detenuti ha chiesto chiarimenti al Prefetto. Nessuna conferma al momento dalla Prefettura di Roma.

Nell’estate calda delle carceri, ricordata anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella in queste ore, le proteste si susseguono anche nei Cpr, luoghi “spuri” di detenzione amministrativa dove le persone vengono recluse non per aver compiuto reati ma per essere state trovate senza documenti validi sul territorio nazionale. «Nelle prossime settimane non potrà che peggiorare a causa del caldo e dello stress», conferma Calderone. «Non aiuta l’indeterminatezza della pena e i tempi del trattenimento allungati fino ad un massimo di 18 mesi. Senza che questi tempi lunghi cambino di un briciolo l’efficacia del Cpr». L’altro punto su cui fare una riflessione secondo la garante è «la modalità di ingresso nei centri: molte persone vengono rilasciate subito dopo o per mancata convalida del giudice di pace e del tribunale ordinario. Quindi troppo spesso entra chi non ci dovrebbe stare».

La situazione del Cpr di Roma

La cronaca del 2024 di Ponte Galeria vede a febbraio scorso il suicidio del giovane Ousmane Sylla, ma anche una multa comminata all’ente gestore (attualmente in proroga), Ors Italia, per la mancata attuazione degli accordi di collaborazione con enti e associazioni esterne (accordi che, tra l’altro, vengono considerati in termini di punteggio in fase di gara d’appalto).

La situazione all’interno di Ponte Galeria ha tra l'altro portato, poche settimane fa, a una condanna all’Italia da parte della Corte europea dei diritti umani per liberare Camelia, una donna rinchiusa nel centro da 9 mesi, da ottobre scorso. Nonostante presentasse evidenti problemi psichiatrici e nonostante il fatto che di lei non fosse neppure certa la nazionalità di provenienza: in quale paese avrebbe dovuto essere rimpatriata?

La donna viveva isolata in una cella, urlava a chiunque si avvicinasse tranne che a operatori e operatrici per farsi accendere una sigaretta. Ogni volta veniva ritenuta idonea alla detenzione e il suo trattenimento nel Cpr riconfermato dal tribunale. È stato necessario un ricorso alla Cedu promosso dalle parlamentari Eleonora Evi e Rachele Scarpa e seguito dagli avvocati Daria Sartori, Gennaro Santoro, Federica Borlizzi e dalla dottoressa Muriel Vicquery, con il supporto della Rule 39 Pro Bono Initiative, della dottoressa Monica Serrano e dei medici Antonello D’Elia e Nicola Cocco.

Ora Camelia è finalmente fuori ed è stata accolta in un reparto specializzato. La parlamentare del Pd che ha seguito il caso, Rachele Scarpa, è andata a trovarla proprio ieri: la donna ha ricominciato a parlare in inglese, interagisce e passeggia nel giardino della struttura. Miracolo degli psicofarmaci o piuttosto dell’allontanamento da un ambiente “disumanizzante”?

La salute mentale nei Cpr

Secondo alcune recenti inchieste (Ansa e Altreconomia), all’interno del Cpr di Ponte Galeria il livello degli acquisti di psicofarmaci è passato dal 5% della spesa sanitaria del 2017 al 58% del 2022. «Evidentemente si tratta di un utilizzo non consono – spiega all’Ansa lo psichiatra e rappresentante nazionale FP CGIL Sanità, Andrea Filippi – perché nessuno può immaginare che ci possa essere stata una condizione che abbia potuto aumentare le patologie psichiatriche del 58%».

Dalle bolle di acquisto si rilevano poi, secondo i dati raccolti da Altreconomia, i nomi dei farmaci: Tavor, Tranquirit, Rivotril. A questi si aggiungono gli antipsicotici: quello usato di più negli ultimi tre anni è la Quietapina, potente antipsicotico usato soprattutto come tranquillante, agisce su ansia, agitazione e angosce psicotiche. E poi Depakin, farmaco antiepilettico molto usato come stabilizzatore dell'umore e Pregabalin (Lyrica), pure usato come stabilizzatore ma soprattutto in sindromi dolorose neuropatia.

«Si può pensare che i farmaci non siano utilizzati per curare una patologia psichiatrica ma eventualmente per calmare dei sintomi legati al disagio ambientale nel quale queste persone sono costrette a stare, si tratta prevalentemente di ansiolitici, le benzodiazepine, farmaci che calmano l’ansia», chiosa Filippi. «Non voglio pensare che siano utilizzati per sedare una bomba sociale».

Quanto ti vuoi suicidare davvero?

«Vi prego sperando di inviare questa lettera al mio bene più prezioso, la mia cara madre», scriveva, in arabo, Ahmed (nome di fantasia), tunisino. «Non posso più sopportare me stesso». Il testo, consegnato a chi scrive in occasione dell’ingresso all’interno del Cpr di Ponte Galeria a fine maggio scorso per conto dell’agenzia di stampa Ansa, è stato segnalato alle autorità competenti, locali e nazionali, per l’evidente rischio suicidario. Ma Ahmed, dal Cpr, dopo quella lettera, non esce. Resta lì. A dare seguito a quelle parole ci penserà un paio di settimane dopo. Neanche questa volta Ahmed viene preso sul serio: il suo primo tentativo di suicidio, per impiccagione, viene ritenuto “non credibile”. Deve rifarlo un’altra volta, il giorno successivo, per essere portato in ospedale. Uscirà definitivamente dal Cpr alcuni quasi un mese dopo aver scritto quella lettera.

Durante l’ultima visita effettuata al Cpr di Ponte Galeria da parte della deputata Rachele Scarpa, accompagnata dall’avvocata dell’associazione Cild Federica Borlizzi e dall’ex consulente del garante nazionale delle persone private della libertà Monica Serrano, è stata richiesta l’autorizzazione all’acquisizione delle cartelle mediche di molti detenuti.

Come quella di un uomo tunisino di 40 anni «che non avrebbe proprio dovuto accedere al Cpr», dice Borlizzi. Secondo la sua cartella clinica, Yusuf (nome di fantasia) è dipendente da cocaina ed eroina: secondo la direttiva Lamorgese del 2022 sull'organizzazione dei centri di permanenza per i rimpatri, un caso del genere non poteva essere destinato a Cpr. Per lui, però, la Asl firma un modulo precompilato per cui, in assenza di malattie infettive (le uniche citate), Yusuf viene ritenuto idoneo alla reclusione.

E gli altri disturbi eventualmente presenti? Il medico di Ors Italia effettua una seconda valutazione: afferma che Yusuf ha evidenti problemi psichiatrici, ma non richiede una nuova valutazione di idoneità. «Si limita a prescrivere metadone, Rivotril e Xanax», racconta Borlizzi. «Ma lui stesso sottolinea come questo mix di psicofarmaci non dia l'effetto sperato perché quotidianamente Yusuf mette in campo atti di autolesionismo». Lo fa anche a metà giugno: interviene il 118. Dopo 24 ore l’uomo è di nuovo recluso dentro al Cpr.

«È evidente che i medici dell’ente gestore operano con un’ampissima discrezionalità, senza andare neanche a richiedere una valutazione psichiatrica e una nuova valutazione di idoeneità, derubricando come atti dimostrativi i quotidiani tentativi di suicidio che si verificano», spiega Borlizzi. E la Asl di competenza, quella di Roma 3, «non sembra effettuare un monitoraggio efficace sulla salute delle persone trattenute».

Secondo chi è entrato nel Cpr negli ultimi tempi (la deputata Scarpa, ma anche molte associazioni della società civile a cominciare da Action Aid Italia), dal registro degli eventi critici, quaderno “compilato a penna” in cui per legge devono essere annotati atti di autolesionismo, tentativi di suicidio, scioperi della fame, violenze, al Cpr di Ponte Galeria ci sarebbe un tentativo di suicidio ogni due giorni, un “evento critico” ogni 24 ore.

L'estratto del registro, un documento inviato dalla Prefettura in risposta alla richiesta di accesso agli atti effettuata per l’Ansa, è un pdf di 2 pagine che da quel quaderno riporta 21 eventi critici a partire dal 4 febbraio, il giorno della morte di Sylla, fino al 10 giugno. La metà degli episodi riportati è di tentato suicidio per impiccagione. E poi ancora autolesionismo, minacce di suicidio, "diverbi con operatori" o tra detenuti L’elenco è incompleto e compilato in maniera non sempre chiara: è numerato, dal 125 al 162, ma mancano almeno una ventina di eventi.

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