Un nuovo report pubblicato da Action Aid e realizzato in collaborazione con l’università di Bari Aldo Moro fa il punto sul sistema detentivo per stranieri scelto dal governo italiano, riportando che il tasso di efficacia della politica dei centri per i rimpatri per il momento è irrisoria. Basti pensare che nel 2023 solo il dieci per cento delle persone colpite da un provvedimento per espulsione provenivano da un cpr, su 28.347 persone che potevano rimpatriare solo 2.987 provenivano dai cpr italiani.

Secondo Fabrizio Coresi, esperto di migrazioni per ActionAid: «Una politica che ottiene il 10 per cento dei risultati attesi è inammissibile, a meno che non si riconosca che l’obiettivo non è quello esplicito del rimpatrio, ma è quello di assimilare le persone migranti ai criminali, erodendo le basi del diritto d’asilo e del sistema di accoglienza».

Chi abita i cpr

La popolazione dei cpr è quasi esclusivamente maschile, esistono solo due strutture destinate alle donne una a Torino e l’altra a Roma. Tale dato si riflette nel fatto che le donne sono una componente minoritaria della popolazione trattenuta in Italia. Nel periodo 2014-2023 i tunisini hanno rappresentato il 43,7 per cento delle oltre 50 mila persone in ingresso in un centro di detenzione. A loro seguono cittadini di nazionalità nigeriana e marocchina e poi albanesi. Nessun’altra nazionalità raggiunge la soglia del 5 per cento. 

Chi li gestisce

A occuparsi della gestione dei centri per rimpatri sono principalmente enti no profit. Al momento, solo il cpr di Roma e quello di Brindisi sono affidati a due società for profit. Come spiega l’esperto di migrazioni di ActionAid Italia Fabrizio Coresi «ci sono gestori di cpr esclusi dalle gare delle prefetture, il più delle volte a causa di illeciti e reati contro la Pubblica Amministrazione, ma che partecipano a nuove gare e continuano a gestire cpr in altre regioni». Alla fine i gestori sono sempre gli stessi.

E le condizioni di chi viene trattenuto in un cpr sono pessime: cibo scadente o scaduto, si dorme su materassi stesi direttamente sul pavimento, mancanza di servizi sanitari e di igiene. Condizioni che hanno anche un impatto psicologico sui migranti. Il 5 febbraio del 2024 un giovane 19enne, Ousmane Sylla, si è suicidato nel cpr di Ponte Galeria. In cinque anni si contano almeno 15 morti all’interno delle strutture, l’ultima è quella avvenuta a Palazzo San Gervasio a Potenza dello scorso 6 agosto.

Costi esorbitanti

Per Giuseppe Campesi esperto di detenzione amministrativa e rimpatri dell’università di Bari «dal 2017 si rimpatria di meno, a costi più alti e in maniera sempre più coercitiva. Inoltre il ricorso ai cpr ha già dimostrato di essere fallimentare, tuttavia, si continuano a presentare i centri di detenzione come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri. I dati raccolti, invece, dicono l’esatto contrario». 

 Il cpr di Torino, chiuso dal marzo 2023, ha un costo esorbitante pari a oltre tre milioni di euro per l’affitto della struttura, ristrutturazioni straordinarie e saldo per l’ultimo ente che lo gestiva. Mentre quello romano a Ponte Galeria tra il 2022 e il 2023 è costato circa 6 milioni.  A Milano una gestione commissariata a seguito di indagini della procura in cui erano emersi frodi in pubbliche forniture, turbativa d’asta e condizioni infernali per i trattenuti. A Gorizia la prefettura sostiene di non essere in possesso di dati contabili. Il cpr di Brindisi, con una capienza effettiva di 14 posti, vede il costo medio di un posto superare i 71mila e 500 euro all’anno.

Ciò nonostante il governo italiano l’anno scorso ha predisposto la nascita di quattro nuovi cpr in Sicilia per potenziare i territori di frontiera. Ne sono stati allestiti prima uno a Ragusa e poi uno a Porto Empedocle. Entro la fine del 2024 si prevede l’apertura di altri due cpr, uno ad Augusta e l'altro Trapani: per una cifra complessiva pari a 16 milioni di euro.

Nonostante tutte queste criticità e inefficienza il governo italiano ha finanziato la costruzione di centri per migranti in Albania. Il risultato è di decine di milioni di euro spesi con i primi 12 migranti arrivati nel cpr di Gjader che sono tornati in Italia dopo la decisione dei giudici del tribunale di Roma che non hanno convalidato il trattenimento in Albania.

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