Alle 6: 30 del mattino, mentre la cittadina costiera di Shëngjin dorme, i primi raggi dell’alba si insinuano tra le strade tranquille. In un giorno qualunque, la città si sveglierebbe lentamente al ritmo della sua solita routine. Ma oggi non è un giorno come gli altri. L’attenzione dei media europei è rivolta su questo piccolo porto albanese, che, per alcune ore, è diventato il fulcro di una storia più ampia: l’arrivo dei primi richiedenti asilo dall’Italia sulla base dell’accordo tra il governo di Giorgia Meloni e quello albanese di Edi Rama.

Parcheggiati fuori dai cancelli del porto, i giornalisti siedono nelle loro auto, osservando, in attesa. Presto la nave della Marina italiana “Libra” attraccherà, portando appena 16 migranti. È il primo gruppo, cavie di questo esperimento nella gestione dei flussi migratori. Un piano che ha avuto la benedizione di Ursula von der Leyen. L’importanza di questo momento non sfugge ai presenti, nemmeno a Suor Margarita Dung Dung, che sta in silenzio all’ingresso.

Suor Margarita, originaria dell’India, ha trascorso gli ultimi sette anni a Gjadër, dove è stato allestito centro di trattenimento, simile a un super carcere, per ospitare temporaneamente rifugiati come quelli che stanno arrivando oggi. «Aiuteremo con la traduzione», dice la suora. Lei e i suoi compagni volontari si stanno preparando per offrire assistenza all’hotspot di Shëngjin e successivamente al centro di Gjader, che molti definiscono un lager governativo.

Qui le persone attenderanno l’esito delle loro richieste di asilo. Ogni richiedente asilo ha 28 giorni per sapere se potrà rimanere e intraprendere il suo sogno europeo o se sarà rimpatriato nel paese da cui è fuggito. Mentre le lancette dell’orologio si avvicinano alle 7, l’atmosfera fuori dal porto comincia a cambiare.

Sul molo, i carabinieri si preparano per l’arrivo della nave, mentre la polizia albanese si occupa di rafforzare la sicurezza. Alle 8, la “Libra” scivola nel porto, attraccando al “Vecchio Molo”, a due passi dal nuovo centro di accoglienza. A quest’ora, nessuno tranne il personale autorizzato può avvicinarsi al sito. Le misure di sicurezza sono rigorose e, secondo alcune fonti, fanno parte di un piano attentamente studiato per l’arrivo e lo screening dei richiedenti.

L’attesa continua per più di un’ora e mezza. Poi, finalmente, il primo gruppo di rifugiati spunta dalla nave. Lentamente, in gruppi di quattro, i restanti dodici sbarcano, ciascuno scortato verso il centro di accoglienza. Qui devono affrontare i primi passi della procedura: la raccolta di dati biometrici, i controlli sanitari, la registrazione e l’intervista.

Nessuna telecamera è autorizzata a riprendere da vicino l’arrivo della nave, né i primi passi dei rifugiati sul suolo albanese. Persino la partenza della nave – alle 11: 50 – riesce a essere ripresa dalle telecamere solo a distanza. «L’intero processo è andato come previsto», afferma Sandër Marashi, il direttore del porto di Shëngjin. Ha supervisionato l’intera operazione all’interno del porto fin dal suo inizio, assicurandosi che ogni dettaglio fosse eseguito con precisione. «Questa è la procedura che seguiremo ogni volta che una nave arriverà con i migranti», spiega Marashi. Prossima nave con migranti? Marashi dice di non sapere quando potrebbe arrivare: «Abbiamo concordato con la parte italiana di essere avvisati con circa due giorni di anticipo».

L’accordo, frutto di mesi di negoziati, ha suscitato sia elogi che scetticismo. Ma per Marashi, l’arrivo senza intoppi di questi primi richiedenti asilo dimostra che gli scettici si sbagliano. Non tutti però condividono l’ottimismo di Marashi. Un piccolo gruppo di manifestanti si è radunato fuori dal porto, il loro messaggio è chiaro, con cartelli che recitano “Il sogno europeo finisce qui”, e accusano i governi di Albania e Italia di usare i migranti come propaganda politica. Uno striscione raffigura il primo ministro albanese Edi Rama vestito da poliziotto, accanto la premier Giorgia Meloni con l’uniforme da carabiniere.

«Questo accordo viene presentato come un esempio di come risolvere il problema dell’immigrazione illegale in Europa, ma pensiamo che il sogno europeo muoia qui», afferma Arilda Llesh, un’attivista di 28 anni di Lezhë, una cittadina a pochi chilometri. Llesh pensa che per i migranti che arrivano sulle nostre coste il sogno europeo stia morendo. Edison Lika, un altro attivista, è ancora più diretto: «Crediamo che questo centro dietro di noi sia un crimine contro la democrazia», dice Lika. Per lui, questo modello non può essere la soluzione al problema dell’immigrazione illegale: «È una questione complessa che richiede azioni serie».

Man mano che le ore passano, i richiedenti asilo, sistemati all’interno dell’hotspot, attendono. Il prossimo passo è il loro trasferimento al centro di Gjadër, dove passeranno le prossime settimane. L’orologio intanto segna le 18 e si trovano ancora nella struttura del porto. Intanto tutta la follia è restituita dal primo intoppo di questa deportazione in Albania: due dei migranti spediti fin qui si sono dichiarati minorenni.

In Italia non gli avevano creduto, ora però vista l’insistenza tocca a una commissione medica fornire un parere. Solo che per farlo devono tornare nel nostro paese. Ma ci sarebbero altre due persone in condizioni di estrema vulnerabilità cui sarebbe toccata la stessa sorte, ma su questo il Viminale non conferma. Quindi non solo cavie, ma pure trattati come pacchi postali.

Nelle stesse ore nel Parlamento italiano il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi rispondeva all’interrogazione di Angelo Bonelli, di Alleanza Verdi Sinistra con cui chiedeva conto al capo del Viminale dei 60 milioni affidamenti senza gara per costruire le strutture albanesi, come rivelato da Domani. Piantedosi ha confermato le procedure d’urgenza utilizzate e non ha saputo dire molto di più di quanto emerso sulle aziende presenti nei cantieri lontani dagli occhi delle autorità italiane.

Fuori dal porto, il sole inizia a tramontare. L’arrivo della prossima nave potrebbe essere a giorni. Shëngjin si trova improvvisamente al centro di una storia che si estende ben oltre le sue coste tranquille.

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