I lettori di Domani sanno che non si deve paragonare il Covid-19, le sue ricadute sulla società, a una guerra, ma il personale sanitario quel virus lo combatte. E da amministratori pubblici bisogna equipaggiarsi per bene, perché oltre a quella sanitaria bisogna affrontare anche l’emergenza sociale
Continua con la sua undicesima puntata la rubrica “Politica resiliente” curata da Avviso Pubblico, l’associazione nata nel 1996 per riunire gli amministratori pubblici che si impegnano a promuovere la cultura della legalità democratica.
Sindaco antimafia e infermiere di servizio sulle ambulanze, la storia di Gianluca Vurchio due volte in prima linea: contro la criminalità organizzata e contro il Covid-19. L’immagine di Vurchio, bardato a fine turno, è la fotografia di come gli amministratori, specie nei comuni più piccoli, siano fisicamente immersi negli scenari imposti dalla pandemia. E Cellamare – comune della rete di Avviso Pubblico – seimila abitanti in provincia di Bari, è proprio uno delle centinaia di piccoli comuni dove i sindaci sono a portata di mano, visibili, amministratori di prossimità.
I lettori di Domani sanno che non si deve paragonare la pandemia, le sue ricadute sulla società, a una guerra, ma il personale sanitario quel virus lo combatte. E da amministratori pubblici bisogna equipaggiarsi per bene, perché oltre a quella sanitaria bisogna affrontare anche l’emergenza sociale.
«Un signore, padre di tre ragazzini, è venuto in comune a chiedere aiuto perché era rimasto senza soldi. Aveva dato fondo a tutti i risparmi, compresi i regali della prima comunione dei figli (circa tremila euro) per riuscire a fare la spesa e a pagare l’affitto di casa – racconta il sindaco Vurchio –. Quell’uomo fa il muratore e ha sempre lavorato a nero 12 ore al giorno per 50 euro, senza tutele e garanzie. Sono situazioni di fronte alle quali ci si sente impotenti». Sembra un racconto neorealista, ma descrive lo scenario inquietante di un territorio in cui il lavoro senza contratto rivela la vera dimensione del fenomeno. Un problema che il nostro paese conosce bene e che riguarda milioni di persone senza un paracadute in caso di emergenza. Un caso da manuale durante la crisi pandemica.
Il blocco dei licenziamenti non ha potuto arrestare l’emorragia dei lavoratori senza contratto, che da un giorno all’altro si sono ritrovati senza più paga. Secondo l’Istat il lavoro irregolare vale circa 79 miliardi di euro (quasi la metà del valore complessivo dell’economia sommersa) e il valore è calcolato non sui lavoratori, ma su unità di lavoro a tempo pieno. Un esercito di invisibili – si stima circa 3,7 milioni di lavoratori non censiti dal fisco e senza contributi – molti dei quali hanno visto azzerarsi ogni forma di entrata all’indomani del lockdown. L’identikit dei nuovi poveri sono cittadini italiani, con minori a carico, donne e giovani che sono passati dal precariato alla disoccupazione assoluta. A questi si sommano i cittadini provenienti da altri paesi che popolano cantieri e campagne italiane. Secondo la Caritas i nuovi avventori dei centri d’ascolto sono passati dal 31 per cento al 45 per cento.
Lo conferma anche Gianluca Vurchio, alla cui porta bussano a più di un anno persone prima sconosciute ai servizi sociali. «Ignoravamo alcune di queste situazioni. Mentre dall’emergenza sanitaria in poi abbiamo conosciuto persone che, anche per una certa riservatezza e umiltà, non si sarebbero mai presentate ai servizi sociali del comune – spiega il sindaco –. Sono persone che lavoravano senza contratto, magari nei campi per 30 euro al giorno o nei cantieri per 40. Quando sono state costrette dalla chiusura delle attività, sono venute a chiedere aiuto perché non sapevano nemmeno dove andare a fare la spesa». Contributi affitto, buoni spesa, pacchi alimentari, sono alcune delle misure messe in atto per tamponare la situazione, con l’aiuto dei volontari, della parrocchia e del Terzo settore. Il resto ce l’ha messo lo Stato centrale coprendo per ora le mancate entrate dei tributi locali. Ma senza interventi strutturali gli sforzi enormi fatti finora rischiano di essere un cerotto su un’emorragia.
Ma l’emergenza sanitaria ha scoperto un altro nervo, ovvero la pressione emotiva e psicologica esercitata sulle persone costrette a periodi più o meno lunghi di isolamento. E questo ha fatto emergere la fragilità del nostro sistema di relazioni. Ecco perché oltre al sostegno economico, il comune di Cellamare, insieme a quello di Adelfia, Capurso, Triggiano e Valenzano, ha messo in piedi il servizio di sostegno psicologico “A casa con te”. Si tratta di un centro di ascolto inaugurato dall’Ambito Territoriale Sociale, che ha attivato un numero di telefono gratuito gestito da operatori e psicologi volontari, disponibili in qualunque momento ad ascoltare chi ne ha bisogno. Mentre per le donne incinte e le neomamme ci sono 29 ostetriche volontarie, per aiutarle a traguardare la gravidanza e il post parto in una situazione del tutto inedita. Abituato al primo soccorso, all’indomani dell’emergenza il sindaco ha anche attivato il servizio del Centro operativo comunale (Coc), centrato sugli interventi della Protezione civile, che tra le varie attività ha il compito di consegnare i farmaci a domicilio alle persone in difficoltà.
La pandemia però è solo una delle battaglie che Vurchio si è trovato a fronteggiare nei poco meno di due anni da quando è sindaco. L’altra è contro la criminalità organizzata. A meno di sei mesi dal suo insediamento, si è visto recapitare sulla scrivania la prima lettera di minacce. Il messaggio è diretto: «Hai capito male come funzionano le cose. A Cellamare non puoi comandare tu. Ci siamo capiti. Sindaco avvisato, mezzo salvato… altrimenti… a buon intenditore poche parole». È del 6 dicembre 2019. Appena un mese dopo, nella notte tra il 6 e il 7 gennaio 2020, viene svegliato da un boato. Non si rende conto subito. Ma qualche ora dopo scopre che qualcuno ha fatto esplodere gli spogliatoi dei campetti da calcio inaugurati di recente con i fondi del bando periferie della Città metropolitana di Bari. È un duro colpo inflitto alla capacità della piccola comunità di creare spazi di socialità. Ma non finisce qui. Il 30 gennaio viene data alle fiamme l’auto dell’assessore all’urbanistica Nicola Digioia.
E il giorno dopo, il 31 gennaio, il secondo Governo Conte vara lo stato d’emergenza da Covid-19. Insomma, quello di Gianluca Vurchio è un percorso amministrativo turbolento, che si intreccia con la capacità dei clan di infiltrarsi nell’economia e di cavalcare l’onda emorragica della crisi di liquidità. Cellamare, al pari di altri comuni italiani, ha messo in campo misure per le attività commerciali, tra le più colpite dalle chiusure anti covid. «Abbiamo utilizzato fondi comunali di Bilancio per sostenere i commercianti che sono i più esposti e vulnerabili ai tentativi di infiltrazioni criminali e al racket dell’usura – spiega –. Volevamo evitare, per quanto possibile, che sul nostro territorio si verificassero fatti di questo tipo, infrangendo le regole del senso civico». Il welfare mafioso di prossimità è il vero tema. L’allarme arriva anche da Renato Nitti – una lunga esperienza nella Dda di Bari e da un anno alla guida della Procura di Trani – che recentemente ha parlato di criminalità predatoria capace di convivere con quella organizzata e di impresa. «Non sappiamo con certezza – conclude Gianluca Vurchio – se qualche attività del nostro territorio sia finita in mano agli strozzini, perché non ci sono arrivate segnalazioni in tal senso. Ma quello che è emerso in maniera forte sono le istanze di aiuto da parte di nuclei familiari in gravissime difficoltà e che hanno cercato di chiedere soldi in prestito per continuare a vivere».
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