Prima il decreto Caivano, poi il decreto cosiddetto Cutro e ora il ddl Sicurezza: «Sono norme che si rivelano del tutto inapplicabili per i giudici», sottolinea Cucchi
«Sedare tutto fin dalla sua nascita». È la politica di questo governo rispetto alla gestione dell’emergenza carceri, dice l’avvocato Fabio Anselmo, ospite con la senatrice di Avs Ilaria Cucchi del festival di Domani “Il futuro è adesso”. Le proteste nei penitenziari italiani sono legate a emergenze di carattere sanitario e umanitario drammatiche, che hanno poi portato ai casi di Modena e di Santa Maria Capua Vetere durante la pandemia. La reazione a quelle proteste è stata però la repressione: l’aumento delle pene e la negazione del diritto di protesta, anche se non violento, messi a terra nel ddl Sicurezza, ora all’esame del Senato. Si introducono così nuove fattispecie, tra cui il reato di rivolta e di resistenza, anche passiva. Per Cucchi «un attacco alla democrazia», «pura propaganda politica per parlare alla pancia del paese» e ogni singolo articolo mira a «stigmatizzare e colpire precise categorie di persone: i migranti, i manifestanti, le donne delle comunità rom in carcere».
«Bisogna stare in silenzio e subire», continua Anselmo, sia nelle carceri sia nei Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr), le strutture di detenzione amministrativa in cui sono trattenute persone straniere senza permesso di soggiorno, «ristrette senza aver commesso nessun reato né sapere perché si trovano reclusi». Centri che la senatrice Cucchi ha visitato: «Sono dei non luoghi. Non c’è nulla da fare, non si può leggere nemmeno un libro». Le persone trattenute, continua Cucchi, non possono nemmeno immaginarsi un futuro e sono riempite di psicofarmaci: «Ti guardano negli occhi e non sanno cosa succederà loro domani». Eppure è il sistema, quello del trattenimento, che il governo ha scelto per gestire i flussi migratori esportandolo anche in Albania ed esternalizzando le frontiere. Un potenziamento in termini di costi e di tempi di detenzione che va in direzione opposta a quanto emerge dai dati del garante nazionale dei detenuti: solo la metà delle persone viene rimpatriata, circa 3mila all’anno a fronte di oltre 150 mila arrivi l’anno.
Ma chiunque non asseconda questo sistema è considerato un nemico: lo dimostrano gli attacchi alla magistratura. Prima il decreto Caivano, poi il decreto cosiddetto Cutro e ora il ddl Sicurezza: «Sono norme che si rivelano del tutto inapplicabili per i giudici», sottolinea Cucchi. E se i magistrati rilevano l’inapplicabilità vengono attaccati, come è accaduto alla sezione immigrazione di Roma dopo la decisione di non convalidare il trattenimento dei dodici migranti portati nei centri in Albania.
«L’attacco sistematico del governo e della maggioranza nei confronti della magistratura è inaccettabile», dice Anselmo, che ricorda «un fatto particolarmente destabilizzante nei confronti dei cittadini utenti del sistema giustizia»: quando è stato attaccato il tribunale di Roma, spiega, la richiesta di tutela fatta dalla sezione specializzata al Csm non è stata accolta perché la magistratura si è spaccata». E continua Anselmo: «Che cosa deve pensare un cittadino di fronte a questo, che deve capire a quale corrente aderirà il giudice che ha in carico la sua causa per poter prevedere quale sarà l’esito?».
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