La vicepresidente americana e candidata dei democratici alle prossime elezioni non ha mai fatto mistero della sua passione per la cucina, manifestata nella serie “Cooking with Kamala”. Dietro si cela un messaggio politico e sociale, anzitutto di emancipazione, che la allontana da Donald Trump
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani e in edicola
«I eat No for breakfast». Letta senza il giusto contesto, questa frase di Kamala Harris suggerirebbe che non le piace fare colazione. Tutt’altro. La mattina, la vicepresidente è solita immergere nel latte della crusca all’uvetta, mentre sorseggia un tè con miele e limone (alla stessa ora, Donald Trump ha già stappato e bevuto la prima delle tante Diet Coke che berrà durante la giornata).
Harris stava solamente rispondendo a una delle tante domande che le erano state poste dai cittadini, pochi giorni prima delle scorse elezioni: «Molte donne, giovani e adulte, ti stanno osservando. Quali consigli hai per tutte noi?». Risposta: «Non dovete mai chiedere il permesso a nessuno per primeggiare. Nella mia carriera mi è stato detto molte volte: "Non è il tuo momento. Non è il tuo turno”. E lasciatemi dire che io mangio “No” a colazione, quindi vi consiglio lo stesso. È una colazione abbondante».
Basterebbe questo per comprendere quanto il cibo conti per la candidata democratica. Se non fosse sufficiente, c’è un’intervista a The Cut di ormai sei anni fa in cui raccontava che cucinare la faceva sentire «come se avessi il controllo della mia vita».
In cucina, ma per scelta
La distanza tra due contendenti alla presidenza degli Stati Uniti non è mai stata così larga. La prova si trova anche a tavola, dove siedono due visioni diametralmente opposte. Vorace e nazionalpopolare Trump, capace di trasformare la sua figura di ricco imprenditore newyorkese grazie all’amore per il junk food; insegnante pacata, internazionalista e pronta a mettersi in gioco Harris, come ha dimostrato nei video pubblicati sul suo canale YouTube.
Cooking with Kamala è una serie lanciata dalla vicepresidente nel 2019 poi esplosa con l’arrivo del Covid-19, che ha costretto a reinventare la propria quotidianità tra le mura di casa. Niente di più facile per la sessantenne californiana, che tramite Zoom o canali simili ha aperto le porte della sua cucina a diverse celebrità, come attori, politici e altri chef, per preparare insieme a loro alcuni piatti.
Da José Andrés ha imparato i diversi utilizzi di un uovo, mentre i due discutevano del modo migliore per rispondere alla crisi della ristorazione dovuta alla pandemia. Ma Harris ha anche stupito Tom Culicchio per il suo modo originale di tagliare le cipolle, particolare quanto efficace.
La serie è una trovata politica per mostrarsi agli americani senza le vesti istituzionali, come un qualsiasi cittadino che dopo una stressante giornata di lavoro ha anche l’incubo di cucinare la cena, e allo stesso tempo sociale. Per Harris infatti il cibo non è solo mangiare, ma tanto di più. Anzitutto, è una passione e non un’imposizione.
Un aspetto da rimarcare con forza, visto che molto spesso (troppo spesso) l’associazione donna e cucina è data per assodata nella nostra società. Harris rompe questo tabù in silenzio, senza esplicitarlo, forse memore di quanto accaduto a Hillary Clinton oltre trent’anni fa.
«Avrei potuto rimanere a casa a preparare biscotti e tè, ma ho deciso di svolgere la mia professione» aveva detto la futura First Lady pensando di smuovere le coscienze. Al contrario, le casalinghe americane si erano talmente tanto risentite che Clinton si era decisa a prender parte a una sfida con Barbara Bush su quale delle due sfornasse biscotti più buoni.
Una tradizione all’apparenza un po’ retrograda, che si è ripetuta negli anni a venire, conclusasi solo per la chiusura della rivista organizzatrice Family Circle (per la cronaca: quelli di Michelle Obama sono più buoni di quelli della moglie di Ann Romney).
Un palato internazionalista
Oltre che nella cucina di casa sua, ad Harris piace anche sedersi al ristorante. A Phoenix, in Arizona, in una delle prime uscite con accanto Tim Walz, il governatore del Minnesota chiamato per farle da vice, è andata al ristorante messicano Cocina Adamex insieme a lui e al suo staff.
Hanno ordinato un burrito, con Harris che si è raccomandata di non esagerare con le spezie per il suo amico Walz, a cui non piacciono, prendendolo in giro: «Sai cosa intende per piccante? Il pepe nero». A inizio anno, il Los Angeles Times aveva stilato una lista dei quattordici posti sparsi per la metropoli della West Coast preferiti dalla vicepresidente e da suo marito Doug Emhoff: tra questi c’è il Craig’s, luogo del loro primo appuntamento e molto frequentato dalla comunità hollywoodiana, e il Zankou Chicken, catena di rosticcerie dove è passato anche Luis Sepulveda.
Ma il suo piatto forte, quello che la identifica, è la Bolognese all’italiana. O almeno è così che scrive il New York Times, anche se nel cuore ha anche i dosas, viste le origini indiane della madre. Tra i vari consigli che le ha dato, ce n’è uno che Harris ha tenuto a ricordare: «Tesoro, ti piace mangiare del buon cibo. Faresti meglio a imparare a cucinare». Lo ha fatto.
In vista del prossimo novembre, Harris ha già incassato l’endorsment del sindacato alimentare, United Food & Commercial Workers Union, che rappresenta più di un milione di lavoratori: «Ha dimostrato una reale volontà di ascoltare i nostri membri sulle questioni che stanno loro più a cuore».
In passato, ha sponsorizzato politiche per garantire condizioni di lavoro dignitose per tutti, ha lavorato per estendere quanto più possibile la sicurezza alimentare e per ridurre i rischi del cambiamento climatico. Ora ha promesso di lottare contro il caroprezzi e di tagliare le tasse sulle mance per chi lavora nei ristoranti o luoghi simili. Lo ha proposto anche Trump. Eccola, la prima somiglianza tra i due.
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