Il terremoto del 1980 non è stato solo una immane tragedia, ma anche l’inizio di un nuovo modello di sviluppo che ha istituzionalizzato l’emergenza
- L’emergenza diventa così un paradigma di governo, la prima sperimentazione avviene con la ricostruzione post-sisma, la piena applicazione, invece, arriva con l’altra tragedia campana, quella dei rifiuti, che si consumerà qualche anno dopo.
- Nel cosiddetto tavolino a tre gambe, però, la criminalità organizzata è l’ultima a sedersi diventando braccio armato, esecutivo di chi dava le carte. I mazzieri, nell’emergenza ricostruzione, sono stati politici, professionisti e imprenditori.
- Appena il flusso di denaro per la ricostruzione rallenta il suo corso, all’orizzonte si prepara un altro affare, un’altra spartizione. La prima esigenza è non fermare la macchina clientelare e corruttiva.
Il terremoto del 1980 non è stato solo una immane tragedia documentata dai numeri dei morti, 3mila, degli sfollati, quasi 400mila, ma anche l’inizio di un nuovo modello di sviluppo che ha istituzionalizzato l’emergenza, elevato a sistema la clientela avendo come conseguenza la trasformazione del crimine organizzato.
L’emergenza diventa così un paradigma di governo, la prima sperimentazione avviene con la ricostruzione post-sisma, la piena applicazione, invece, arriva con l’altra tragedia campana, quella dei rifiuti, che si consumerà qualche anno dopo. Il sisma che 40 anni fa ha colpito l’Irpinia, la Basilicata e alcuni comuni del salernitano, ha compiuto quella, che su questo giornale, Isaia Sales, ha definito una rivoluzione passiva della storia meridionale. Una rivoluzione che ha generato un modello: il tavolino a tre gambe (politica, impresa e camorra) con diversi livelli di responsabilità.
L’imprenditore camorrista
Alla camorra viene riservato un ruolo di primo piano nella ricostruzione. Certamente è così, chi si opponeva veniva ucciso, sorte toccata a sindaci, consiglieri comunali, ma è un ruolo subordinato rispetto a chi ha imbastito quel tavolo: politici, professionisti e imprenditori.
In quegli anni la criminalità organizzata si faceva la guerra, dal 1981 al 1988 si contano, in provincia di Napoli, 1620 morti ammazzati, la metà di quelli uccisi dal sisma. Ma tutti i clan entrano nell’affare ricostruzione, la presenza della criminalità è strutturale, fa comodo alla politica perché garantisce pace sociale e sindacale, alle imprese del nord che si appoggiano a quelle legate ai clan, alcune riunite in consorzi e impegnate nel movimento terra, ai tecnici che passano all’incasso.
La camorra subisce una trasformazione, nasce, in quegli anni, la figura dell’imprenditore camorrista, figura coniata dalla nuova camorra organizzata del boss Raffaele Cutolo, in guerra con la nuova famiglia di Carmine Alfieri.
Nel cosiddetto tavolino a tre gambe, però, la criminalità organizzata è l’ultima a sedersi diventando braccio armato, esecutivo di chi dava le carte. I mazzieri, nell’emergenza ricostruzione, sono stati politici, professionisti e imprenditori. Erroneamente si pensa che la ricostruzione sia stata un fallimento unicamente per colpa della presenza della camorra che controllava ampie aree della Campania e di un vizio di un popolo, votato all’assistenzialismo.
Questo ha cancellato la responsabilità della classe politica che ha costruito la cornice giuridica, dei professionisti, della classe imprenditoriale. Non solo, ha anche oscurato la responsabilità di quello schema emergenziale fondato su clientele e mazzette. Per capirlo basta citare Rocco Caporale, un sociologo italo-americano di origini calabresi, che ha documentato nei suoi studi la classifica di questo gigantesco latrocinio.
Si inizia dalle imprese del Nord (sui 144 grandi consorzi edilizi intervenuti, solo 75 avevano radici campane o lucane), per arrivare «ai tecnici che hanno preso dal 25 al 35 %. Poi i politici, che hanno preso mediamente il 10 per cento. Alla fine vengono i camorristi». Anche nel grande affare rifiuti le responsabilità vengono attribuite alla camorra e all’incapacità del popolo di differenziare i rifiuti.
Così si sono salvati due responsabili chiave: la politica e le imprese del nord e, insieme, lo schema dell’emergenza che ha continuato a generare corruttela e clientele.
L’affare rifiuti
Appena il flusso di denaro per la ricostruzione rallenta il suo corso, all’orizzonte si prepara un altro affare, un’altra spartizione. L’esigenza è non fermare la macchina clientelare e corruttiva.
Lo dice bene il pentito Nunzio Perrella quando riferisce ai pm anticamorra: «La monnezza è oro e la politica è una monnezza» facendo riferimento alle bustarelle che consegnava ai politici per ottenere autorizzazioni e ampliare i siti di discarica.
Come nella ricostruzione anche nella gestione dei rifiuti a fare la parte da gigante è una grande impresa del nord, in questo caso Impregilo (i cui manager sono stati assolti nei processi in cui erano imputati), che costruisce un modello a perdere tra ritardi, balle stoccate a milioni e l’utilizzo di un sottobosco di imprenditori, allevati nella palestra della ricostruzione, e impegnati nel movimento terra per realizzare discariche e siti di stoccaggio.
Anche in questo caso la porta di ingresso per la malavita sono i consorzi che, nella ricostruzione, si occupavano di calcestruzzo mentre, nella gestione dei rifiuti, si occupano di raccolta del pattume. I livelli di responsabilità si ripetono per come descritti dal professor Caporale, basta rileggere le parole, pronunciate in passato dal magistrato Raffaele Cantone, attuale procuratore capo di Perugia: «Io credo che la camorra si sia seduta ad un tavolo nel quale c’era un intreccio di interessi molto più ampio e riferibili ad altri soggetti. Non credo di dire una castroneria se affermo che la camorra ha avuto un ruolo subordinato rispetto ad altri centri di interesse; ha avuto la sua parte, così come pretende sempre quando c’è del denaro da spartire, ma non credo sia stata il motore del complesso intreccio affaristico. Del resto la camorra, in qualche caso, è diventata persino un alibi per poter dire che questioni aperte non potevano essere risolte».
Il modello del tavolino a tre gambe, camorra, politica e imprenditoria si replica anche nell’emergenza rifiuti con un aggiornamento decisivo. Non è un caso che secondo la Procura della repubblica di Napoli e anche secondo i giudici di primo e secondo grado del Tribunale partenopeo, l’inventore della criminalità ambientale in Campania è stato Cipriano Chianese.
Ritenuto imprenditore del clan dei casalesi, ma prima ancora avvocato, imprenditore e per un periodo anche politico, si candidò con Forza Italia alla Camera dei deputati nel 1994. Uno e trino, riuscendo a ricoprire tutte le parti in commedia. La gestione dei rifiuti è diventata l’occasione perché il fiume di denaro, sono 32 i miliardi di euro impegnati per la ricostruzione, non si interrompesse.
I partiti hanno usato l’emergenza per garantirsi la permanenza, stringendo un patto di ferro con il circuito camorristico illegale e dando sfogo alle richieste continue di lavoro, allocando in carrozzoni pubblici il disagio sociale; dall’altra parte, il crimine organizzato ha usato la finta emergenza per fare profitti.
Un patto luciferino sottoscritto dopo il terremoto dell’Irpinia nel 1980 e proseguito con l’affare spazzatura. Così nelle buche servite per ricostruire sono finite vagonate di rifiuti, buche che hanno rappresentato la continuazione di un’emergenza e la condanna di una terra.
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