- Gli uffici e le abitazioni di Massimo D’Alema, ex presidente del Consiglio, e Alessandro Profumo, ex manager di Leonardo, sono state perquisite dai poliziotti della Digos su ordine della procura di Napoli.
- I due nomi eccellenti sono indagati, insieme ad altre sei persone, in merito all’affare da 4 miliardi di euro che ruotava attorno alla vendita di armi e aerei da guerra alla Colombia.
- D’Alema avrebbe svolto un ruolo di mediazione tra i sudamericani, sono indagati anche diversi esponenti governativi colombiani, e due colossi del settore del nostro paese, Leonardo e Fincantieri.
Gli uffici e le abitazioni di Massimo D’Alema, ex presidente del Consiglio, e di Alessandro Profumo, ex amministratore delegato di Leonardo, sono stati perquisiti dai poliziotti della Digos su ordine della procura di Napoli. I due sono indagati, insieme ad altre sei persone, per un affare da 4 miliardi di euro, poi tramontato, legato alla vendita di armi e aerei da guerra alla Colombia.
D’Alema avrebbe svolto un ruolo di mediazione informale nei rapporti con i vertici di Leonardo e Fincantieri, entrambi partecipati dal ministero dell’Economia, per la cessione delle forniture militari. Gli indagati si sarebbero adoperati per vendere al governo della Colombia aerei M346, prodotti da Leonardo, e piccoli sommergibili, corvette realizzati da Fincantieri.
Sono tutti indagati con «l’aggravante di aver commesso il reato attraverso il contributo di un gruppo criminale organizzato operante in più di uno stato quali Italia, Usa, Colombia ed altri stati in via di accertamento», si legge nel decreto di perquisizione.
L’affare, poi tramontato, avrebbe consentito ai mediatori di incassare una commissione pari al 2 per cento, circa 80 milioni di euro. Lo stesso D’Alema ne aveva parlato in una telefonata con Edgar Fierro, paramilitare sudamericano già condannato a decine di anni di carcere per diversi omicidi, poi graziato e oggi libero di fare affari. Persino di contrattare la vendita di armi e strumenti bellici.
Il ruolo degli indagati
Secondo la procura partenopea l’ex primo ministro si sarebbe adoperato per mettere in contatto due broker pugliesi, Emanuele Caruso e Francesco Amato, entrambi indagati, con le società italiane che avrebbero dovuto vendere le forniture. Sarebbe stato uno studio americano – lo studio Robert Allen law, con sede in Florida – a ricevere i compensi per poi girarli alle parti, quella italiana e quella sudamericana, protagoniste della trattativa.
Nell’indagine, oltre a Profumo, D’Alema e ai due broker, sono indagati anche Umberto Bonavita e Gherardo Gardo – che avrebbero rappresentato in Italia lo studio legale Allen Law indicato da D’Alema per finalizzare gli accordi – e Giancarlo Mazzotta, ex sindaco di Carmiano per Forza Italia, uomo ritenuto vicino all’ex premier che avrebbe preso parte alla trattativa.
I contratti non sono mai andati in porto e l’affare miliardario è saltato così come gli 80 milioni di euro previsti che, secondo gli inquirenti, sarebbero stati la provvista illecita.
Secondo la procura di Napoli, che procede per corruzione internazionale, gli indagati italiani avrebbero trattato con funzionari politici e militari del governo di Bogotà fra i quali sono stati individuati: Edgar Fierro Flores, capo del gruppo di lavoro per la presentazione di opportunità in Colombia; Marta Lucia Ramirez, ministra degli Esteri e vicepresidente della Colombia; German Monroy Ramirez e Francisco Joya Prieto, delegati della commissione del Senato della Colombia e altri funzionari sudamericani che devono essere identificati.
A loro promettevano «il corrispettivo illecito della somma di 40 milioni di euro, il 50 per cento della complessiva provvigione di 80 milioni di euro, (...) da corrispondersi in modo occulto», si legge nel decreto di perquisizione.
Francesco Amato ed Emanuele Caruso operavano quali consulenti per la cooperazione internazionale del ministero degli Esteri della Colombia tramite Giancarlo Mazzotta e riuscivano ad avere contatti con «Massimo D’Alema il quale per il curriculum di incarichi anche di rilievo internazionale rivestiti nel tempo si poneva quale mediatore informale nei rapporti con i vertici delle società italiane ossia Alessandro Profumo quale amministratore delegato di Leonardo e Giuseppe Giordo (anche quest’ultimo indagato, ndr) quale direttore generale della divisione navi militari di Fincantieri».
Sul suo ruolo di mediatore per la vendita dei prodotti bellici e sul possibile guadagno milionario per affari con Fincantieri e Leonardo, D’Alema aveva parlato, nel marzo 2022, di «fandonie». La vicenda aveva portato Fincantieri, anche a seguito dell’audit interno, a sollevare dall’incarico Giordo. A distanza di oltre un anno ora arrivano le perquisizioni con gli investigatori che vogliono trovare eventuali riscontri dalla consultazione di atti e materiali sequestrati.
«Il presidente D’Alema ha fornito la massima collaborazione all’autorità giudiziaria e sarà dimostrata la sua estraneità alle contestazioni», ha detto l’avvocato Gianluca Luongo, legale dell’ex primo ministro. «Il mio assistito Giuseppe Giordo è assolutamente tranquillo, siamo in presenza di una costruzione giuridica assolutamente ardita», dice Cesare Placanica, avvocato dell’ex direttore generale della divisione navi militari di Fincantieri.
La procura di Napoli, lo scorso marzo, ha chiesto altri sei mesi di proroga per l’indagine vista la complessità delle verifiche in corso per fatti commessi al di fuori del territorio nazionale sulla rotta Italia-Colombia.
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