- Il prossimo 13 ottobre si riuniscono le camere per la proclamazione degli eletti e la scelta dei presidenti di Senato e Camera, ma sui nomi di deputati e senatori non c’è ancora il bollo dell’ufficialità.
- Il sito del ministero dell’Interno ha dato per eletti candidati che poi hanno scoperto, giorni dopo, che resteranno semplici cittadini e non avranno l’onere di rappresentare le comunità di riferimento.
- Un caso, quello del balletto degli eletti, che si accompagna a un’altra vicenda che vede il Viminale silente da oltre tre settimane, e riguarda il volo dalla finestra del cittadino Hasib Omerovic.
Il prossimo 13 ottobre si riuniscono le camere per la proclamazione degli eletti e la scelta dei presidenti di Montecitorio e di palazzo Madama. Al momento, però, sui nomi di deputati e senatori non c’è il bollo dell’ufficialità. Al termine dello spoglio delle schede, il ministero dell’Interno ha dato per eletti candidati che, in un secondo momento, non si sono rivelati tali. La legge elettorale ha fatto la sua parte, aumentando il caos e l’incertezza a causa del cosiddetto “effetto flipper”, che prevede degli aggiustamenti tra circoscrizioni in base ai risultati ottenuti a livello nazionale.
+Europa ha chiesto il conteggio scrupoloso dei voti a tutti i presidenti delle Corti d’Appello e ha ricordato che i dati diffusi dal Viminale attraverso il sito “Eligendo” sono solo provvisori e ufficiosi.
Il caos elettorale, già a inizio settembre, è diventato un tema di discussione politica, in particolare quando Fratelli d’Italia ha posto il problema di «presunte o accertate irregolarità nelle procedure di voto all’estero». Quella elettorale è l’ultima partita gestita dalla ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, che è riuscita a restare in sella per tre anni nonostante inerzia e disastri gestionali.
Il caso Omerovic
Il balletto degli eletti si accompagna a un’altra vicenda che vede il Viminale silente da oltre tre settimane: il caso di Hasib Omerovic, il disabile precipitato dalla finestra del suo appartamento durante un controllo da parte dei quattro poliziotti, non autorizzato dalla magistratura.
«Con sconcerto devo evidenziare una mancanza di rispetto istituzionale non nei confronti nostri ma del parlamento, da oltre venti giorni la ministra Luciana Lamorgese non risponde alla mia interrogazione parlamentare. La Camera dei deputati è nel pieno delle sue funzioni fino all’ultimo giorno, questo silenzio è inaccettabile», ha detto Riccardo Magi, deputato di +Europa.
Ma sono innumerevoli gli episodi che hanno chiamato in causa il Viminale e Lamorgese, voluta ministra dell’Interno anche grazie alla moral suasion esercitata dal Quirinale e da Ugo Zampetti, influente consigliere del presidente Sergio Mattarella e segretario generale della presidenza della Repubblica.
Lamorgese doveva “desalvinizzare” il ministero e riportare garbo ed equilibrio istituzionale nel palazzo guidato in precedenza da Matteo Salvini. La scelta è diventata indigesta agli stessi partiti di governo, prima quello giallorosso, poi quello guidato da Mario Draghi.
Tre anni di Lamorgese
Lamorgese ha resistito alle critiche dell’ingombrante predecessore, Salvini, che ora sogna inutilmente di tornare al Viminale. Ha resistito ai mugugni dei democratici a seguito degli scontri in piazza tra agenti di polizia e studenti che protestano contro l’alternanza scuola-lavoro.
Ma c’è una data che sarebbe costata il posto a un ministro dell’Interno politico e che, invece, è stata magistralmente digerita dalla prefetta e consigliera di stato: il 9 ottobre 2021, il giorno dell’assalto neofascista alla Cgil. La Digos ha lanciato l’allerta, i precedenti suggerivano la presenza di contingenti rafforzati, ma la piazza è stata sottovalutata e i fascisti, guidati da Giuliano Castellino e Roberto Fiore, hanno assaltato la sede del primo sindacato italiano, a Roma, in pieno giorno.
Forza nuova per sempre
Un fatto incredibile e ancora più incredibile è l’assenza di responsabili. Restano al loro posto il questore, il prefetto Matteo Piantedosi che ora sogna il Viminale, e ovviamente la ministra che in parlamento ha provato a spiegare l’accaduto tra le proteste di alcuni deputati e senatori.
L’assalto alla Cgil ha avuto una coda, con la richiesta di scioglimento del partito Forza Nuova, più volte sollecitata anche dal segretario del Pd, Enrico Letta. Eppure, il tema si è eclissato. Lo scioglimento poteva essere deciso dal Consiglio dei ministri, ma il governo Draghi non ha proceduto in questa direzione.
Anche la premier in pectore, Giorgia Meloni, in quei giorni, ha aperto a questa soluzione. «La legge italiana dice che la competenza sullo scioglimento di organizzazioni eversive o contrarie all’ordinamento è del ministero dell’Interno con o senza la magistratura. Se ci sono gli strumenti per scioglierla, che la sciolgano», ha detto la leader di Fratelli d’Italia. A distanza di dodici mesi, nonostante gli annunci, nulla è cambiato.
Gli altri disastri
Lamorgese è riuscita, in questi tre anni, a restituire compostezza e rigore istituzionale a un ministero ridotto da Salvini a ufficio di propaganda. La ministra è stata abile a ricucire i rapporti tra il mondo prefettizio e quello della polizia.
Sul suo lavoro da ministra pesano però i fatti del 9 ottobre, la gestione delle piazze, la nomina dell’ex ministro Roberto Maroni per contrastare il caporalato, l’assoluta continuità con il passato, al netto di modi e stile, delle politiche di assistenza e soccorso ai migranti, i pasticci nelle tornate elettorali. Quello conseguito, insomma, è un risultato molto modesto per una ministra dell’Interno.
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