Rianimazione cardiopolmonare e defibrillatori automatici esterni: insegnare il loro utilizzo nei banchi di scuola e all’esame della patente. L’obiettivo è diffondere sempre più una cultura del soccorso a beneficio della salute pubblica
Gli arresti cardiaci sono 400.000 ogni anno in Europa, di cui circa 60.000 in Italia. Si stima che solo nel 58 per cento dei casi, chi assiste, intervenga con le manovre salvavita (massaggio cardiaco, ventilazioni) e nel 28 per cento dei casi anche con il defibrillatore. La sopravvivenza finale è di circa l’8 per cento.
Insegnare alla cittadinanza a riconoscere un arresto cardiaco e le azioni da compiere, a partire dalla rapida attivazione dei soccorsi attraverso il 112, è essenziale in quanto la possibilità di sopravvivenza all’arresto cardiaco diminuisce del 10 per cento, per ogni minuto che passa.
Le proposte
L’Italian resuscitation council (Irc), è una società scientifica senza scopo di lucro riconosciuta dal ministero della Salute, che riunisce medici, infermieri e operatori esperti in questo settore. Riunitasi a Bologna, ha discusso di alcune proposte legate all’importanza della formazione sul primo soccorso: insegnare a quanti più cittadini possibile le semplici manovre salvavita come il massaggio cardiaco e l’utilizzo del defibrillatore automatico esterno (Dae) aumenta la sopravvivenza all’arresto cardiaco; fino a triplicarla.
Tra le idee emerse durante i lavori e sostenute da Irc, la proposta di insegnare il primo soccorso a chi prende la patente di guida: «Nel 2023 i neo-patentati sono stati oltre 1,1 milioni di cui più di 700.000 di età inferiore ai 21 anni. Associare il rilascio della patente alla formazione sul primo soccorso permetterebbe di avere ogni anno un grande numero di giovani cittadini capaci di intervenire in caso di arresto cardiaco con la rapida attivazione dei soccorsi e le manovre salvavita», sottolinea l’associazione.
Altro aspetto cruciale è, per l’Irc, la diffusione capillare dei defibrillatori automatici esterni (Dae) sul territorio: nonostante la legge 116 favorisca, con un programma pluriennale, la progressiva diffusione e utilizzazione dei Dae presso i luoghi pubblici, al momento non ne esiste una mappatura italiana o regionale, disponibile sul sito del ministero della salute.
L’arresto cardiaco
Andrea Scapigliati, medico anestesista rianimatore, presidente di Italian resuscitation council (Irc), spiega a Domani che: «L’arresto cardiaco è un’emergenza tempo dipendente, la peggior emergenza che possa capitare a un individuo perché, da un punto di vista fisiopatologico, l’arresto cardiaco è l’inizio della morte dell’organismo. Le cellule che lo compongono il nostro organismo funzionano solamente se approvvigionate di ossigeno e l’ossigeno arriva attraverso la circolazione. Se si interrompe il complesso meccanismo che permette al sangue di circolare e di raggiungere le cellule, le cellule stesse, sprovviste dell’ossigeno, cominciano a morire».
Le cellule del cervello sono particolarmente vulnerabili alla mancanza di ossigeno: «Il danno a queste cellule crea dei danni irreversibili entro una manciata di minuti: 4-5 minuti sono sufficienti a provocare, in assenza di ossigeno, dei danni irreversibili».
Questa premessa è d’obbligo, per far capire che quando una persona è colpita da arresto cardiaco non si può permettere di aspettare l’infermiere, il medico o l'equipaggio di un'ambulanza, perché «l’ambulanza ci mette più di cinque minuti che ci è permesso attendere».
Dunque, chi può fare davvero la differenza nei primi cinque minuti, è chi sta accanto alla vittima, come spiega Scapigliati: «Che sia il familiare, il collega o il compagno di giochi, deve avere il sospetto che quello è un malore grave, perché lo sa riconoscere, e oltre ad avviare la catena dei soccorsi deve iniziare a fare qualcosa subito».
Manovre di rianimazione
L’unico modo in cui le persone possano essere pronte a riconoscere l’arresto cardiaco e a iniziare le manovre di rianimazione, mentre attendono l’arrivo dei soccorsi, è quello di «divulgare conoscenza e informazione. Ma anche provare a formare le persone: formare significa che ognuno di noi sarà in grado di fare le manovre ma anche che non avrà paura di metterle in pratica. L’informazione e la formazione hanno un grandissimo vantaggio su chi ne fruisce, e riducono quella barriera psicologica che ognuno di noi ha nell’affrontare una persona che sta male. La paura è quella di farla peggiorare o di fare qualcosa di sbagliato».
Per intercettare le persone da formare, secondo il dottor Scapigliati, «è bene iniziare da luoghi dove tutti noi siamo passati durante la nostra vita, soprattutto da giovani: a scuola e durante la formazione per l’ottenimento della patente di guida. È un’idea che in altri paesi è già stata applicata e funziona: ha aumentato il numero di astanti che intervengono, migliorando la sopravvivenza. Stiamo parlando di una triplicazione della sopravvivenza».
Scapigliati spiega che, ad oggi, la sopravvivenza ad un arresto cardiaco è di una persona su dieci, in Europa e in Italia, ma «nei paesi dove sono stati applicati questi interventi, attraverso anche l’apprendimento a scuola e al momento di imparare a guidare una macchina, in questi paesi il numero di persone che si fermano a soccorrere la vittima di arresto cardiaco triplica o quadruplica, come anche le vittime che sopravvivono».
Defibrillatori automatici esterni (Dae) su tutto il territorio
La diffusione di un registro di Dae, defibrillatori automatici esterni, sul territorio è un altro dei punti centrali della discussione: in Italia, al momento, non esiste una mappatura disponibile: «I nostri servizi di assistenza territoriali sono strutturati su base regionale. Quello che manca sono delle mappe o dei registri dei defibrillatori presenti sul territorio, divisi per provincia o per regione. Noi vorremmo creare, intorno alla vittima di arresto cardiaco, un sistema che si basi sul fatto che moltissimi dei potenziali testimoni dell’arresto cardiaco sappiano cosa sia un arresto cardiaco e sappiano come intervenire».
L’altro elemento del sistema è che «ci possano essere dei defibrillatori vicino, quindi diffusione dei defibrillatori in modo capillare sul territorio. Il terzo elemento fondamentale è che nel momento in cui si chiama il 118 o il 112, chi risponde sia in grado di dare istruzioni precise e chiare che aiutino a capire cosa stia accadendo e che aiuti ad eseguire le manovre corrette. Sarebbe fondamentale che l’operatore che risponde al telefono avesse una piattaforma informatica che gli facesse individuare dove sia il defibrillatore più vicino al chiamante, e dunque alla vittima che ne ha bisogno».
Infine, conclude il dottor Scapigliati, c’è un elemento legato alla prossimità dei soccorsi: «Ci dovrebbero essere, nel raggio di spazio ragionevolmente breve e intorno al chiamante, dei volontari che se allertati attraverso un’applicazione telefonica possano mettersi a disposizione per raggiungere la vittima o andare a prendere il defibrillatore più vicino».
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