La vicenda Almasri, prima arrestato in Italia e poi liberato e rimpatriato con volo di Stato, per come è stata trattata, e non solo dal governo Meloni, ma dai paesi europei, al netto delle pronunce della Cpi, e le dichiarazioni incredibili di Trump su Gaza, con a fianco un compiaciuto Netanyahu, sono la fine ufficiale, dopo essere stata da tempo ufficiosa, dei diritti umani e del diritto internazionale, nato sulle ceneri di Auschwitz e della tragedia della II guerra mondiale.

Collego le due vicende – una relativa alla provincia europea e italiana, una al geo-mondo americano – perché sono una vergogna foriera di tragedie ulteriori a quelle già immani cui assistiamo.

Almasri è tornato in trionfo dai suoi sodali in Libia a riprendere il lavoro sporco che da tre lustri fa, per l’incapacità europea e italiana di gestire le migrazioni dall’Africa sul Mediterraneo, in nome e per conto delle nostre paure di “invasione”. Almasri ci garantisce con pratiche da carnefice e da trafficante di vite umane, se fa testo il mandato di cattura della Cpi, che ci siano meno morti in mare, sì che si possa raccontare che le politiche dure e pure sull’immigrazione clandestina via mare fanno meno morti di quelle permissive, e quindi sono paradossalmente più umanitarie.

Una bestemmia logica, prima che morale, perché non conta i morti a terra inclusi nella pseudo-soluzione dei morti in mare, da evitare perché più visibili e impopolari, perché da come andavano le cose il diritto del mare ormai era diventato il diritto del male. Trasferito a terra questo diritto del male, fa meno specie ed è più facile invocare la sicurezza nazionale.

Ma è con le dichiarazioni di Trump su Gaza che siamo tornati, dal diritto naturale a sostegno dei diritti umani, che aveva fecondato il costituzionalismo e il diritto internazionale dopo la fine della II guerra mondiale e Norimberga, al diritto di natura nel senso del diritto del più forte nella sua versione più cruda.

Gaza in mano americana, dopo che Netanyahu avrà finito di farne terra bruciata, per seguirne la ricostruzione come riviera a mare, la “dislocazione” su base “volontaria” (per evitare morte, fame e tendopoli) dei palestinesi, dove che sia purché non restino lì a intralciare il Grande Israele di Netanyahu e della destra israeliana (poi si vedrà come sloggiarli anche dalla Cisgiordania), è davvero la fine ufficiale a livello globale dei diritti umani e del diritto internazionale.

L’espressione più chiara del foro delle controversie internazionali non è più quello della diplomazia, delle corti di giustizia, degli organismi internazionali, ma il foro delle armi, di un diritto di guerra che non si avverte limitato neppure dalle convenzioni internazionali sottoscritte al riguardo.

Per oltre un anno abbiamo sentito la tesi che dopo il massacro abietto del 7 ottobre, in Palestina era in essere una legittima autodifesa, magari un po’ esagerata, ma che niente aveva a che fare con genocidio, pulizia etnica, deportazione. Bene, oggi ci aspettiamo che alcune almeno delle icone, anche “morali”, di questa narrativa ci facciano ascoltare la loro voce in dissenso. Fin qui sentiamo un clamoroso silenzio. Al più qualche minimizzazione nei talk show. Bene.

Questi silenzi e queste minimizzazioni, tenendo conto anche dall’uscita minacciata di Trump dall’Oms, da agenzie umanitarie e da istanze giuridiche internazionali, cui si comminano persino sanzioni per pronunce ritenute avverse a sé e ai propri alleati, prendano la parola e ci facciano capire dove stiamo andando, per chi domani suonerà la campana.

L’America di Trump vuole tornare grande mandando al macero diritti umani, diritti internazionali, la salute dell’ambiente e quella dei popoli, la fame e la povertà nel mondo, cioè sostanzialmente buttando a mare la morale del Samaritano insegnata da quel Dio dei cristiani cui Trump, e la destra americana, fanno continuo riferimento.

Quel Dio che lo avrebbe salvato da un attentato per il popolo americano. Un popolo, però, nell’interpretazione che ne dà Trump, più simile alla tribù anglosassone immigrata che nell’Ottocento ha fatto terra bruciata delle tribù native di una terra che non gli era stata neanche promessa, che quello che ha difeso e salvato la libertà in Occidente nel ‘900.

Un mix di interessi reattivi alla crisi socioeconomica del sogno americano nell’America profonda e della propria missione imperiale e di un misticismo della politica, che rischia di essere una miscela esplosiva, impossibile da maneggiare. E che bene che vada rischia di fare del Duemila il secolo antiamericano, dopo che il ‘900 era stato, e non solo in termini di mera potenza, il secolo americano.

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