- Per capire la Napoli disegnata da Luigi de Magistris nell'ultimo decennio da sindaco bisogna partire da un autobus.
- Un cittadino, nel 2011, diceva ai cronisti: «Alla fine bisognerà capire se questa del sindaco sarà una rivoluzione o ragù finto».
- La spinta iniziale si è presto esaurita, alle amministrative del 2016 che hanno incoronato nuovamente De Magistris sindaco, a sostegno dell’ex pubblico ministero c’era una lista chiamata “Ce simme sfasteriati”. A un certo punto si è stancata anche la rivoluzione arancione.
Per capire la Napoli disegnata da Luigi de Magistris nell’ultimo decennio da sindaco bisogna partire da un autobus e tornare al 2011. La linea R1 attraversa la città, corso Umberto I (il rettifilo), e arriva al teatro San Carlo, a un passo da piazza Plebiscito e dal lungomare liberato, punto d’orgoglio del sindaco con la bandana.
A bordo dell’autobus, il giorno dopo la vittoria di Luigi de Magistris, eletto sindaco con un plebiscito, un cittadino diceva ai cronisti: «Alla fine bisognerà capire se questa del sindaco sarà una rivoluzione o ragù finto». Il ragù è sostanza, soffritto e carne lasciata cuocere per ore, prima di riempire di colore e profumo la pasta.
Ma il Dopoguerra, i giorni del colera, il post terremoto, i tempi bui della città hanno consolidato, in cucina, soluzioni economiche e rapide per sostituire quel piatto: il ragù finto, che tanto gli somiglia, ma non nella sostanza. È rosso come quello vero, ma la carne non c’è.
De Magistris ha mantenuto le promesse dell’inizio? Ha rivoluzionato la città come diceva, o è stato un lampo che ha lasciato Napoli immersa nelle contraddizioni di sempre?
La differenziata
«Porteremo la raccolta differenziata dei rifiuti al 70 per cento in sei mesi», dice il sindaco appena eletto. Al primo intervento in consiglio comunale ribadisce la promessa: «Coinvolgeremo tutti nella raccolta differenziata e anche nella realizzazione immediata degli impianti di compostaggio alcuni dei quali sono già pronti, almeno uno (…) Noi non solo libereremo la città dai rifiuti, Napoli sarà all’avanguardia non solo in Italia ma in Europa sulla green economy, risparmieremo denaro pubblico e faremo occupazione».
Il piano viene inserito nella prima delibera che porta la città fuori dall’emergenza decennale: i rifiuti vanno all’estero, si imbarcano su grandi navi in direzione del nord Europa con il risparmio di decine di migliaia di euro rispetto ai costi degli impianti italiani.
Vengono azzerati i noleggi di mezzi e l’utilizzo di cooperative, spesso infiltrate dal crimine organizzato. Viene firmato il primo contratto di servizio e varato un piano industriale.
Prevede tre impianti, isole ecologiche, la differenziata da estendere a 600mila persone entro il 2016 e una piattaforma di selezione finalizzata a migliorare la qualità della raccolta. I rifiuti non hanno più invaso perennemente le strade, quello che però è mancato in questi dieci anni è l’altra parte della solenne promessa.
La raccolta differenziata raggiunge cifre risibili, si aggira intorno al 38 per cento, ma soprattutto gli impianti non sono mai stati costruiti e la città evita il disastro grazie all’inceneritore di Acerra e ai rifiuti che continuano a viaggiare.
«Avevamo presentato il progetto per l’impianto di compostaggio, la gara era in corso, ma per tanti motivi quel percorso è stato cancellato. Si è persa un’occasione storica, dal 2015 il sindaco è diventato responsabile degli impianti prima gestiti dalla provincia, bisognava dare vita a una grande azienda pubblica in grado di concorrere con le grandi holding pubblico-private del nord», dice Tommaso Sodano, fino al 2015 assessore all’ambiente poi dimissionario per incomprensioni con il primo cittadino e una indagine per una contestata delibera poi chiusasi con la prescrizione del reato.
La rivoluzione si riempie di annunci, l’ultimo ha il sapore della rivalsa con Napoli che aiuterà Roma ricevendo 150 tonnellate di rifiuti, una cifra minima, ma che serve a raccontare la favola della città ripulita, in grado di aiutare, addirittura, la capitale in difficoltà.
In realtà le due città parlano la stessa lingua: crisi di visione industriale delle aziende partecipate e carenza impiantistica. «L’impianto a Scampia non si è fatto perché la ditta si è ritirata, noi abbiamo fatto le gare, ma sono andate deserte. Ora la quinta ha avuto un vincitore, ma aspettiamo l’ok della soprintendenza», ribatte l’ultimo assessore all’ambiente e vicesindaco Raffaele Del Giudice, oggi candidato in una lista a sostegno di Manfredi, ispirata dal presidente della regione Vincenzo De Luca, un tempo acerrimo nemico proprio di de Magistris.
La candidatura ha causato l’irritazione del sindaco, che negli anni è riuscito a dividere anche il fronte ambientalista. A guardare i candidati, molto della giunta del sindaco uscente è confluito nelle liste a sostegno di Gaetano Manfredi, con buona pace della discontinuità annunciata.
Partecipate mai accorpate
«Un accorpamento immediato delle società partecipate perché producano un risparmio di spesa pubblica, un’efficienza e un’efficacia dei servizi», dice de Magistris nel suo discorso di insediamento, ma anche questa resta una promessa inevasa. Napoli è una delle poche grandi città che ha due aree enormi di sviluppo, soggette a processi di riqualificazione ambientale: Napoli est con i depositi di idrocarburi della Q8 e Bagnoli, nella parte occidentale.
«A Napoli est abbiamo innanzitutto l’esigenza di procedere alla delocalizzazione di imprese inquinanti, a consolidare fortemente le bonifiche (…) a Napoli Est noi dobbiamo realizzare il grande polo della green economy (…) su tutte quelle formule che in questi anni sono state messe ai margini e che invece noi valorizzeremo già da oggi pomeriggio, da stasera, da stanotte», dice il sindaco nel primo discorso in aula.
L’unica cosa che riesce a fare il primo cittadino è archiviare il progetto di un impianto di incenerimento in quel territorio, dove ora dovrebbe sorgere l’impianto di compostaggio, ma del polo green neanche l’ombra così come non c’è stata nessuna delocalizzazione delle imprese inquinanti. L’arrivo dei giganti americani, come Apple, è un segnale, l’unico, più volte rivendicato dall’allora primo ministro Matteo Renzi.
L’arrivo degli “sfasteriati”
La spinta iniziale si è presto esaurita, alle amministrative del 2016 che hanno incoronato nuovamente de Magistris sindaco, a sostegno dell’ex pubblico ministero c’era una lista con questo nome: “Ce simme sfasteriati”, che in napoletano significa siamo stanchi, siamo scocciati, partorita da un ex esponente di Forza Italia.
In quel nome c’è il senso del passato recente di Napoli e della rivoluzione annunciata. Si è stancata anche la rivoluzione, diventata decente permanenza al potere. Una girandola incredibile di assessori, una incapacità di visione e di costruzione di classe dirigente, l’isolamento della città in nome di un’autonomia propagandata, ma mai realizzata. Il tutto coperto dalla capacità comunicativa del sindaco che in ogni talk si presentava per parlare di massimi sistemi, ma mai di Napoli e dei suoi problemi. Nel 2017 de Magistris lancia un’altra di promessa che suona clamorosa: «Napoli diventerà, nel 2019, città a livello mondiale come bellezza e come efficienza nei trasporti pubblici, ci saranno corse della linea 1 ogni quattro minuti».
Sulla meraviglia delle fermate della metropolitana napoletana non si discute, ma sulla città efficiente la promessa è rimasta irrealizzata. «Ma sulla linea 1 siamo arrivati a 5 minuti», dicono dall’assessorato. Dati che si scontrano con la realtà, con la recente bocciatura nel rapporto pendolaria di Legambiente, che parla «di metro che vedono ancora frequenze non all’altezza rispetto alla domanda».
In strada gli autobus sono spesso un miraggio. Appaiono anche dopo 45 minuti di attesa. Il presidente della regione De Luca parla dell’azienda comunale di trasporti come del «più grande disastro amministrativo d’Italia». Il sindaco ha costruito uno scontro perenne con governo e regione per rivendicare l’autonomia di una città che da sola semplicemente non può farcela, gravata da una condizione economica che ha reso irrealizzabili anche le altre promesse. Condizione ereditata dalle giunte di centrosinistra, ma peggiorata in questi anni.
Il disavanzo
Napoli nel 2011 aveva un disavanzo di 850 milioni di euro, oggi diventato di due miliardi e mezzo. «Non ci sarà al comune di Napoli alcun dissesto perché noi riusciremo a creare le condizioni da subito per risanare la finanza pubblica. Un bilancio che presenterà rigore, trasparenza, correttezza nelle poste in bilancio», promette dieci anni fa il sindaco.
La finanza pubblica non è stata risanata e non si è visto neanche il rigore annunciato, oggi un napoletano su due non paga i tributi e la capacità di riscossione del comune è prossima allo zero. Sulle tasse non pagate è necessaria una precisazione: in quel numero di mancati pagatori si nasconde una crisi di liquidità e una ridotta capacità di spesa, visto che l’evasione si concentra tra i redditi più bassi.
Il primo assessore al Bilancio, Riccardo Realfonzo, già assessore dimissionario nella precedente giunta Iervolino, è saltato nel 2012. De Magistris e Realfonzo si dividono su come affrontare i debiti fuori bilancio.
L’ex assessore ha sempre raccontato che la spaccatura sarebbe nata dalla diversità di vedute sul contrasto all’evasione, agli sprechi e sulla proposta di rafforzare gli strumenti di riscossione. «Se noi non siamo in grado di incassare le multe, se non siamo in grado di incassare le tasse, se non siamo in grado di incassare i crediti non potremmo mai far ripartire sotto il profilo della spesa pubblica questa città», dice, un decennio fa, il sindaco.
In dieci anni la situazione dei tributi non pagati è rimasta praticamente identica e, bocciato dalla relazione della Corte dei conti, il sindaco ha invocato il “corno”, strumento scaramantico in voga a Napoli. Il piano del comune si fondava sulla vendita del patrimonio immobiliare, ma i magistrati contabili hanno denunciato la sovrastima dell’operazione.
Nel 2017, per esempio, si prevedeva la vendita di immobili con un incasso di 143 milioni di euro, alla fine ne sono arrivati 4. Un fallimento che ha un effetto. I conti in disordine, pesante eredità delle giunte precedenti, hanno vanificato ogni obiettivo a partire da quello nel settore dei servizi sociali, in una città che ha bisogno di costruire una rete di protezione per fronteggiare marginalità e devianza. Tema al quale de Magistris dedica, nel suo discorso inaugurale, ampio spazio, ambendo a riscrivere il concetto di normalità.
La devianza senza cura
Al netto delle speculazioni filosofiche resta pochissimo. Pochi numeri mettono in fila il disastro. «Non si sono realizzate le promesse. A causa del dissesto non abbiamo potuto assumere e abbiamo perso, grazie anche a quota 100, quasi la metà degli assistenti sociali (oggi sono poco più di 300). Siamo a un quarto della capacità di offerta di asili nido rispetto agli standard europei. La spesa sociale a Napoli è passata da 60 euro pro capite a 50, in Italia la media supera i 150 euro. In dieci anni la città ha perso quasi un miliardo di trasferimenti», dice Sergio D’Angelo, ex assessore alle politiche sociali con de Magistris e oggi candidato con Manfredi. Ma nessuno ha la bacchetta magica, l’unica variazione è nella capacità di parlare a tutti.
«La novità potrebbe arrivare dal superamento del concetto di autonomia, un guscio vuoto. Napoli è città internazionale e si governa dall’Europa, dall’Italia e dalla regione senza litigare con tutti», conclude D’Angelo. Quello che De Magistris ha fatto è stato espellere predatori, mangiatoie dal governo della città, ma che è rimasta senza visione, con piedi d’argilla e in attesa delle risposte a molte delle domande che si poneva dieci anni fa. Negli ultimi mesi, il sindaco è stato protagonista di una campagna elettorale per le regionali in Calabria che lo hanno tenuto lontano dalla città, mentre in consiglio e giunta la maggioranza franava riposizionandosi in vista della prossima tornata elettorale. Tutta l’avventura di de Magistris è stata segnata da un vanto: il rilancio del turismo.
Turismo e centro storico
«Un milione e 400mila crocieristi all’anno che noi dobbiamo far scendere dalle crociere e non farli rimanere dentro perché hanno paura di scendere dalle navi o perché non hanno un servizio di mobilità o hanno una città intasata o piena di immondizia, che non scendono perché se scendono un milione e 400mila persone significa commercio, significa turismo, significa ricchezza economica», dice Luigi de Magistris nel suo discorso di insediamento.
La spazzatura sparita dalle strade e dalle tv consente un rilancio della città che si traduce in numeri che raccontano la crescita esponenziale di presenze. I numeri vengono presentati come un successo dalla giunta e dall’assessora Alessandra Clemente, che si è dimessa lo scorso agosto per dedicarsi alla campagna elettorale come candidata sindaca.
«Secondo Confesercenti dal 2010 al 2018 a Napoli si è registrato un aumento del 108,7 per cento di presenze turistiche. Si deriva che l’offerta alberghiera e l’occupazione sono di conseguenza cresciute, ma anche l’auto-imprenditorialità», racconta sul suo sito Clemente.
Anche consultando la serie storica di arrivi turistici, elaborata dall’Istat, relativa al territorio della città metropolitana, si riscontra un significativo aumento.
Il sindaco ha puntato inizialmente sui grandi eventi internazionali come l’America’s cup, la gara velistica, il World Urban Forum, il forum delle culture. Appuntamenti che hanno rilanciato l’immagine della città.
Il turismo passa anche dall’auto-imprenditorialità, che si traduce in uno svuotamento del centro storico, che da residenziale diventa turistico e ricettivo.
Napoli non è estranea al fenomeno della gentrificazione, la trasformazione di zone popolari in aree appetibili e a rischio speculazione.
Nel centro storico, che è il sito Unesco più esteso d’Europa, fioriscono case vacanza, friggitorie e improvvisate attività ristorative. «Quando Napoli ha ospitato il G7, nel 1994, ha avuto un aumento di turisti, i visitatori trovavano chiese e monumenti aperti, quelli che erano descritti accuratamente nelle guide. Negli ultimi dieci anni molti monumenti sono diventati invisibili, chiusi, depredati, ma sono sorte attrattive turistiche nuove: la casa della serie televisiva Un posto al sole, il quartiere Scampia dove hanno girato Gomorra, il tunnel borbonico, la Napoli sotterranea: un “pittoresco” d’invenzione», dice Leonardo Di Mauro, presidente dell’ordine degli architetti di Napoli. «Gli spagnoli, ad esempio, non si spiegano perché sono costretti a rinunciare alla visita della tomba di Don Pedro di Toledo che si trova nella chiesa di San Giacomo degli Spagnoli da tempo chiusa, ma intanto devono digerire questo folklore esibito e finto per il turista mordi e fuggi, ma privo di legami profondi con Napoli».
Titoli di coda
Il decennio de Magistris è ai titoli di coda e tra i candidati alla successione rispunta anche l’ex sindaco Antonio Bassolino, primo cittadino dal 1993 al 2000, protagonista del cosiddetto rinascimento napoletano. Esperienze profondamente diverse anche per le disponibilità di spesa, ma che hanno avuto un abbrivio comune.
Appena eletto, Bassolino libera subito piazza Plebiscito dalle auto, così fa anche de Magistris, che libera dallo smog il lungomare. Alla fine di una lunga stagione di governo, però, anche l’ultima bandiera della rivoluzione arancione sembra ammainata. Per uno scherzo del destino, l’interruzione di una galleria che perdura da un anno, il lungomare liberato, simbolo della rivoluzione, è tornato occupato da auto e smog.
Così finisce il decennio dell’ex pubblico ministero che ora tenta la strada delle regionali in Calabria. La risposta al quesito che quel cittadino si poneva mentre attraversava la città a bordo della linea R1 sembra scontata: somigliava tanto al ragù, ma forse non lo era.
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