Dopo dieci giorni di incertezze, tra interrogatori, arresti, ricorsi e udienze, alla fine per il numero uno al mondo di tennis è arrivata la convalida della revoca del visto. Djokovic è stato espulso per non alimentare, con la sua presenza, il sentimento No-vax
Per Novak Djokovic, il torneo degli Australian Open si è definitivamente chiuso, prima di iniziare. Alla vigilia della partenza, il 17 gennaio, è arrivata l’espulsione dall’Australia.
La Corte federale australiana ha stabilito che la decisione del ministro dell’Immigrazione, Alex Hawke, di revocare il visto del campione per il fatto che non era vaccinato contro il Covid-19, corrispondeva ai criteri di liceità e legittimità.
Djokovic si è detto «estremamente deluso», facendo sapere che collaborerà con le autorità per lasciare il paese. «Sono estremamente deluso dalla sentenza della Corte che ha respinto la mia richiesta di riesame sulla decisione del ministro di annullare il mio visto. Significa che non posso rimanere in Australia e partecipare agli Australian Open. Ora mi prenderò un po' di tempo per riposarmi e riprendermi, prima di fare ulteriori commenti su questo». Questa la prima reazione del tennista, che ha assicurato collaborazione con le autorità in relazione alla sua partenza dal paese, come è stato. Il numero uno del tennis mondiale ha lasciato l’Australia nella tarda serata (ora locale) di domenica 16 dicembre, a poche ore dall’inizio del primo torneo del Grande Slam.
Il ministro dell’Immigrazione aveva deciso di avvalersi del suo potere di revoca del visto, sulla base del fatto che la presenza del giocatore non vaccinato nel paese avesse potuto «alimentare il sentimento anti-vaccino» e in difesa della politica zero contagi perseguita dallo stato. «Le forti politiche di protezione delle frontiere dell'Australia ci hanno tenuti al sicuro durante la pandemia, determinando uno dei tassi di mortalità più bassi, i più forti recuperi economici e i tassi di vaccinazione più alti al mondo».
Il fermo in aeroporto, l’inizio della vicenda
Djokovic era arrivato a Melbourne, munito di una esenzione dal vaccino contro il Covid-19, nella tarda serata dello scorso 5 gennaio, per disputare gli Open australiani (17-30 gennaio).
Le autorità di frontiera lo avevano tenuto sotto interrogatorio durante tutta la notte del 6 gennaio, a causa di quella esenzione che alla fine era stata ritenuta «non valida». Ne era seguito il fermo per il giocatore e l’annullamento del visto.
Alle autorità, Djokovic aveva dichiarato di non essere vaccinato ma di essere guarito di recente dal Covid-19, dopo aver contratto il virus il 16 dicembre.
In aeroporto era accaduto anche che compilando il suo modulo della dichiarazione di viaggio, il suo staff aveva spuntato – per sbaglio avrebbe poi spiegato Djokovic in un post su Instagram – la casella in cui si afferma di non aver viaggiato nei 14 giorni precedenti. In realtà era stato in Spagna nei primi giorni dell’anno.
Djokovic ha passato i giorni dal 6 al 10 gennaio in una “camera di detenzione” al Park Hotel di Melbourne, in attesa che il giudice australiano esprimesse un verdetto sulla vicenda.
Il giudice libera Djokovic
Lunedì 10 gennaio, il giudice di Melbourne, Anthony Kelly, ha dato ragione a Djokovic, definendo «irragionevole» la decisione dell’Australian Border Foce di annullare il visto. Per il giudice l’esenzione vaccinale presentata da Djokovic era «valida», in quanto concessa da Tennis Australia, l’organo che gestisce il gioco del tennis nel paese, e da due commissioni mediche.
Il giudice ha inoltre stabilito la cancellazione dell’annullamento del visto, deciso dalla polizia di frontiera, e ha ordinato al «governo di pagare le spese legali, disponendo il rilascio immediato del tennista serbo entro 30 minuti dal verdetto e la restituzione del passaporto».
Djokovic campione No-vax
Poiché nei giorni del fermo, i genitori del campione si erano mobilitati, scendendo in piazza a Belgrado a manifestare con i fan contro quanto stava accadendo in Australia, dopo la sentenza del giudice, hanno rilasciato una conferenza stampa. La conferenza stampa è stata però dagli stessi interrotta davanti ad una domanda che chiedeva conto di come fosse stato possibile che Djokovic si trovasse ad evento pubblico il 17 dicembre invece di essere in isolamento, dal momento che il 16 dicembre era risultato positivo al coronavirus.
In realtà, malgrado quanto dichiarato alle autorità australiane, sulla diagnosi di Covid del 16 dicembre, Djokovic ha partecipato a diversi eventi pubblici nei giorni immediatamente successivi. Tra cui anche una intervista al quotidiano sportivo francese l’Equipe.Il tennista, però, è noto per le sue posizioni contrarie al vaccino, sebbene non abbia mai risposto alle domande della stampa circa il suo stato vaccinale. Dalla trascrizione dei verbali dell’interrogatorio all’aeroporto di Melbourne, però, emerge che per la prima volta Djokovic ha risposto apertamente un «No» alla domanda in cui gli si chiedeva se fosse vaccinato.
Il commento di Djokovic dopo il verdetto
A poche ore dalla sentenza, Djokovic ha scritto sulla sua pagina Twitter di essere «lieto e grato che il giudice abbia annullato la cancellazione del visto. Nonostante tutto quello che è successo, voglio restare e provare a competere agli Australian Open. Rimango concentrato su quello. Sono volato qui per giocare uno degli eventi più importanti che abbiamo davanti ai miei fantastici tifosi».
La contromossa del governo
Mentre la vicenda sembrava conclusa, è arrivata la contromossa del governo australiano. Il portavoce del ministro dell’Immigrazione ha fatto sapere che il processo restava in corso, perché il ministro avrebbe valutato di ricorrere al potere, concessogli dalla legge, di annullare il visto. «Resta a discrezione del ministro dell'Immigrazione Hawke – aveva detto il portavoce – prendere in considerazione l'annullamento del visto del signor Djokovic sotto il suo potere personale di cancellazione ai sensi della sezione 133C (3) della legge sulla migrazione».
Il post di Djokovic su Instagram con la sua versione dei fatti
Nel frattempo, su Instagram, il 12 gennaio, Djokovic ha pubblicato un lungo post in cui cercava di fare chiarezza sulla disinformazione che si stava creando intorno a lui. In particolare rispetto al fatto che avesse partecipato a eventi pubblici mentre era positivo al coronavirus.
Djokovic ha spiegato che il 14 dicembre era stato a una partita di basket a Belgrado, dopo la quale diverse persone erano risultate positive al virus. Poiché aveva degli eventi pubblici in programma, il 16 ha fatto un tampone rapido dal quale è risultato negativo e ha continuato con le sue attività.
Nello stesso giorno, per un «eccesso di scrupolo», ha effettuato anche un tampone molecolare, il cui esito però non è arrivato subito. Così ha spiegato il motivo per cui il 16 e il 17 dicembre ha partecipato ad alcuni eventi pubblici, invece di restare in isolamento.
Djokovic ha riferito che l’esito del molecolare che gli comunicava la sua positività è arrivato solo il 17 dicembre. A quel punto aveva già in programma da tempo un’intervista con il quotidiano francese L’Equipe. Pur essendo positivo non voleva «deludere il giornalista», ha detto, perciò si è recato ugualmente all’appuntamento nonostante fosse positivo al coronavirus, ma, dice, preoccupandosi di rispettare il distanziamento e di indossare la mascherina.
La falsa dichiarazione e il provvedimento degli Interni
Il post su Instagram ha fatto emergere che Djokovic aveva affermato il falso, deponendo in tribunale di essere risultato positivo al virus il 16 gennaio (non il 17). I giornali australiani The Age e The Sydney Morning Herald hanno fatto sapere che i ministero degli Affari interni australiano ha preso agli atti quanto dichiarato dal tennista sui suoi canali social, che è discrepante con quanto affermato nella dichiarazione giurata in tribunale.
La seconda revoca del visto
A tre giorni dall’inizio degli Australian Open, il 14 gennaio, dopo che Djokovic era già stato sorteggiato per giocare al primo turno del torneo contro il connazionale Miomir Kecmanovic, è arrivato lo stop del governo, che ha chiesto che fosse posto in stato di fermo, dopo che il ministro dell’Immigrazione, Alex Hake, aveva deciso di revocare il visto al campione, per la seconda volta, sostenendo che la presenza del tennista nel paese rischiasse di alimentare il sentimento anti-vaccino.
Il ministro si è avvalso del potere discrezionale conferitogli dalla legge sulla migrazione (la 133C), e dopo aver stabilito l’annullamento del visto ha commentato che «era nell’interesse della popolazione farlo».
«Il governo Morrison – ha detto il ministro dell’Immigrazione – è fermamente impegnato a proteggere i confini dell'Australia, in particolare in relazione alla pandemia da Covid-19». Dal canto suo il primo ministro Morrison ha sostenuto la decisione della revoca, affermando, in una nota, che «gli australiani hanno fatto molti sacrifici durante questa pandemia e giustamente si aspettano che il risultato di quei sacrifici sia protetto».
I legali di Novak Djokovic hanno fatto ricorso, contro la decisione del ministro dell’Immigrazione. Alla fine, il verdetto di domenica 16 gennaio, ha chiuso la vicenda, confermando la decisione di revoca del ministro dell’Immigrazione e pronunciando l’espulsione dall’Australia per Novak Djokovic.
Gli Australian Open di Melbourne
Novak Djokovic, conosciuto come Nole, è un tennista serbo, primo nella classifica degli Atp, l’Association of Tennis Professionals, che riunisce i giocatori professionisti di tennis a livello internazionale.
Gli Australian Open sono il primo dei quattro tornei annuali di tennis del Grande Slam, che si aprono a Melbourne nella stagione invernale e si concludono a New York (Us Open) in quella autunnale, passando per Parigi (Roland Garros) e Londra (Wimbledon). Ora, il tennista serbo era in corsa per il decimo podio di Melbourne.
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