- Questa è una nuova puntata dell’inchiesta sostenuta dai lettori di Domani: per approfondire e dare luce al tema del fare (o non fare) figli oggi in Italia. Puoi sostenere l’inchiesta a questo link.
- Le madri single sono in aumento, anche se non si sa di quanto. Le famiglie monogenitore fotografate dall’Istat raggruppano insieme situazioni molto diverse: dai vedovi ai divorziati fino alle donne che fanno un figlio senza avere un compagno, ricorrendo alla procreazione assistita (all’estero, perché in Italia è preclusa a single e coppie lesbiche)
- Proprio nel giorno della Festa della Mamma è uscito il libro «Mamme single per scelta», col sottotitolo «Donne che all’attesa del principe azzurro preferiscono la scienza», in cui l’attrice Giorgia Würth racconta storie vere di maternità senza padri all’orizzonte
Volete risolvere il problema del calo delle nascite? Aiutate le single che desiderano un bambino a diventare madri. La proposta inusuale lanciata dalla giornalista Martha Gill sul quotidiano inglese The Guardian ha come punto di partenza il fertility gap, il divario tra figli desiderati e figli avuti: «Le donne hanno oggi più soldi e scelta di sempre, ma per qualche ragione non riescono a fare il numero di figli che vorrebbero».
Passati in rassegna i classici freni – carenza di servizi, contraccolpi in ambito professionale, e la possibilità oggi di trovare molte vie di realizzazione personale al di là della maternità – Gill arriva a quello che a suo avviso è il cuore del problema: il fatto che in amore le donne, per fortuna, si accontentano sempre di meno. E quindi è sempre più difficile trovare “l’uomo giusto” con cui formare una famiglia.
La soluzione? Sostenere chi rompe gli indugi e un figlio se lo fa per conto proprio: «Eppure la maternità da single è ancora incredibilmente difficile, e da un certo punto di vista anche socialmente penalizzata» conclude la giornalista: «I politici farebbero bene a riflettere su come supportare meglio le madri single. Rendetele il target, e vedrete che il tasso di natalità crescerà».
Le sfide della maternità da single
Le donne interessate a diventare madri senza un partner – intraprendendo lunghi e complessi percorsi di fecondazione assistita, prendendosi sulle spalle l’intera responsabilità della crescita di un figlio, e scegliendo a priori di metterlo al mondo senza una figura paterna – non sono moltissime. Anche per i pregiudizi della società: «In Italia in particolare c’è un giudizio morale negativo su una scelta del genere, e questo è un elemento che può frenare» sottolinea Manuela Naldini, ordinaria di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’università di Torino ed esperta di trasformazioni della famiglia.
Anche se a livello politico si decidesse di offrire un sostegno a tipi di genitorialità diversi dallo standard – «e con questo governo e questo clima politico non credo che ci siano margini», osserva la docente – con tutta probabilità non ci sarebbe una impennata di madri single: «A intraprendere questa strada resterà una minoranza», anche perché fare figli «è particolarmente costoso e oneroso nel contesto italiano: è già difficile essere genitori in due; figuriamoci in uno».
Ma la bomba lanciata da Martha Gill apre il dibattito sulla necessità di cominciare ad aiutare chi vorrebbe fare figli a farne, piuttosto che colpevolizzare chi non ne vuole. Certo, dai benpensanti la scelta del figlio da sola è criticata tanto quanto quella di non farne proprio, di figli. L’accusa (curiosamente, in entrambi i casi) più frequente? «Che egoismo!».
Senza padri all’orizzonte
«Ma non si è mai sentito qualcuno che fa un figlio per il pianeta, per l’incremento demografico, o per pagare le pensioni ai vecchi!» ribatte Giorgia Würth, che proprio nel giorno della Festa della Mamma ha autopubblicato il libro Mamme single per scelta, disponibile in cartaceo e digitale su Amazon, raccogliendo 13 storie (più una) di maternità senza padri all’orizzonte: «La scelta è sempre egoistica, e in coppia è l’egoismo di due. Ma l’amore per un figlio è l’egoismo più altruistico del mondo».
Certo, è ovvio che «quasi tutte preferirebbero farlo con un partner» dice ancora Wurth, che alla carriera da attrice – da Maschi contro femmine a Le tre rose di Eva fino alla serie Rai Eppure cadiamo felici, tratta dal romanzo di Enrico Galiano, che andrà in onda quest’autunno – ha affiancato da qualche anno anche quella di scrittrice, e a sua volta è mamma single di due bambini. Ma la sua storia personale nel libro non c’è; un po’ per pudore, un po’ per evitare che l’attenzione mediatica si concentri tutta sulla sua vicenda personale e oscuri il messaggio del libro: «Non far sentire sole le donne che hanno fatto questa scelta in solitudine. E siamo tante».
Un buco nero statistico
Quante, di preciso è, impossibile dirlo: perché non vengono contate. L’Istat non è in grado di dire quanti neonati vengano riconosciuti all’anagrafe solo dalla madre, né quante siano le donne diventate madri da single nel gruppo delle “famiglie monogenitore”. Un segmento di popolazione che esiste nelle rilevazioni – ma che mischia a casaccio ragazze madri, persone vedove, separate, divorziate, madri single. Perfino cinquantenni che convivono con un genitore anziano, o casi di affido condiviso con bambini che pendolano tra le case di mamma e papà.
I nuclei familiari monogenitore in cui è presente almeno un figlio minore e in cui il genitore è al di sotto dei 45 anni erano 615mila nel 2021. Ma come detto sono nuclei “monogenitore” per qualsiasi ragione. «l’Istat non ha dati disaggregati» conferma Gisella Bassanini, fondatrice dell’associazione milanese Small Families, osservatorio per “famiglie a geometria variabile”: «Non c’è modo di capire se l’altro genitore ci sia o non ci sia, se ci sia a intermittenza… O se magari non c’è mai stato. Ma avere l’altro genitore più o meno presente a livello affettivo, relazionale, economico, fa una sostanziale differenza rispetto ad essere un “genitore unico”», che è la definizione che Bassanini usa per indicare chi cresce un figlio completamente in autonomia «per scelta, per percorso di vita, oppure per vedovanza».
Fecondazione vietata per legge
La strada della maternità da single è resa ardua anche dalla legge. Nessuno può adottare o intraprendere un percorso di pma, la procreazione medicalmente assistita, se non è in coppia eterosessuale: è «la scelta dell’ordinamento italiano, mai messa in dubbio dalla Corte costituzionale, di un modello ideale di famiglia con una doppia genitorialità di tipo uomo-donna» spiega l’avvocato Vincenzo Miri, presidente della Rete Lenford, associazione impegnata nella tutela dei diritti delle persone Lgbtqi+.
Rispetto alla legge 40/2004 che ancora regolamenta l’accesso alla pma, le donne single non solo hanno il problema di non essere in due, ma anche quello di non essere (quasi mai) fisicamente sterili: perché il ricorso alle tecniche di pma è consentito solo in caso di una diagnosi di infertilità. Rete Lenford ha formulato una proposta di legge per permettere anche a donne single e coppie lesbiche di accedere alla pma, come accade già in molti Paesi che riconoscono l’infertilità cosiddetta “sociale”. Ma in realtà basterebbe riportare «la scelta tutta sul terreno dell’autodeterminazione alla riproduzione» dice Miri «e ampliare i requisiti soggettivi di accesso».
«Magari il mio libro potesse avere il potere di innescare una battaglia politica!» riflette Giorgia Würth: «La legge 40 per certi versi non ha senso: quello che vieta si può fare ugualmente, andando fuori dall’Italia. Con più difficoltà, più costi» e l’assurdità di «arricchire delle cliniche estere, e poi tornare qui con i bambini. Perché non è certo una legge che può fermare la voglia di vita». Peraltro quasi tutte le protagoniste del suo libro, se avessero potuto, avrebbero adottato: perché allora «non semplificare questa possibilità?».
“It takes a village”
Per capire la scelta di fare un figlio da single, oltre alla raccolta di storie vere raccolte da Wurth, può essere utile leggere il romanzo di un altro volto noto della tv e della radio, Giorgia Surina. Che nel suo esordio letterario “In due sarà più facile restare svegli” (Giunti) immagina due amiche prossime alla quarantina che decidono di provare a fare un figlio per ciascuna con la fecondazione in vitro e poi crescerli insieme, come una famiglia allargata.
Forse è proprio quello che ci vuole, conclude la professoressa Naldini: tornare all’antico proverbio africano che dice che per crescere un bambino ci vuole un villaggio. «Essere bravi genitori è una sfida altissima ai tempi nostri: vuol dire avere tempi enormi da dedicare al proprio figlio – e per una madre sola, nessuno con cui condividerli. Avremmo bisogno di sorellanza. Di comunità».
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