È stato più volte arrestato, ma è rimasto un punto di riferimento per un certo mondo intellettuale. È morto a Trieste a 86 anni
Il suo nome non dirà molto al grande pubblico, ma per parte del variegato mondo anarchico Alfredo Maria Bonanno era molto più che un punto di riferimento. È morto stamane, mercoledì 6 dicembre, a Trieste, aveva 86 anni: la notizia si è via via sparsa tra amici e compagni, informati dalla moglie. Gli stessi compagni lo ricordano oggi per il rigore nel cercare testi originali dei teorici dell'anarchismo e per la logica perseguita nelle discussioni.
La sua è una storia a suo modo enorme, tanto quanto il suo inesauribile impegno pubblicistico che negli anni gli ha procurato anche grane giudiziarie: come quando nel 1972, per un articolo sulla rivista “Sinistra libertaria” che incitava all’insurrezione, fu condannato a due anni.
Un altro anno e mezzo lo prese per un altro controverso scritto, La gioia armata, recensione del 1977 per la rivista “Anarchismo” di un volumetto delle edizioni Vulcano intitolato Colpo su colpo, che comprendeva una biografia dell’anarchico francese Emile Henry, due sue lettere, il resoconto del processo che subì, un’appendice con una lettera di Errico Malatesta, nume tutelare dell’anarchismo italiano.
Colpire nel mucchio
Si trattava di quell’Henry che compì un attentato dinamitardo nel Cafe Terminus alla Gare de St. Lazard di Parigi, facendo una vittima e una ventina di feriti e che per questo fu ghigliottinato ad appena 21 anni, il 21 maggio 1894. E Bonanno descrisse un Henry «giovane, colto e intelligente», che «opera con freddezza una decisione che altri avevano maturato e compreso, ma non realizzato»: appunto l’attentato indiscriminato.
Henry che «attacca la borghesia, non questo o quel rappresentante dell’istituzione Stato, questo o quel poliziotto, magistrato, carnefice, aguzzino, spia o traditore, no: tutta la borghesia. Egli colpisce nel mucchio, senza discriminazioni. Sceglie con cura uno dei posti che questa classe frequenta, vi si reca con il suo ordigno infernale, accende la miccia, lancia la bomba e se ne va».
E infine, in appena tre righe con raro dono della sintesi: «Ecco. Colpire nel mucchio, oggi, a tanto tempo dal gesto di Henry, non solo sarebbe un gesto valido ma sarebbe anche un contributo teorico al movimento, ancora una volta, un salto qualitativo».
Il testamento politico
Bonanno venne sbeffeggiato da parte del mondo anarchico. Amedeo Bertolo, punto di riferimento dei libertari milanesi e non solo, scrisse ad esempio così: «Abbiamo cercato di riderne perché conosciamo l’autore e la sua incontentabile esigenza di esibirsi in rodomontate sempre più impressionanti, pour epater le bourgeois, o più probabilmente, visto che di questi tempi è difficile impressionare il borghese con truculenze verbali decisamente inflazionate, pour epater l’anarchiste. Sono anni, del resto, che Alfredo Maria si va dedicando a flagellare il rammollito e imborghesito movimento anarchico (Lui escluso) con la modestia di un pubblico ministero, il garbo di un attaccabrighe e l'ingenuità di un pubblicitario».
Bonanno non avrebbe però mai cambiato posizione, facendosi anche notare sempre nel 1978 per una curiosa pubblicazione: un falso d’autore, attribuito a Jean Paul Sartre (Il mio testamento politico, ovviamente stracolmo di passaggi violentissimi contro la società borghese), che venne preso per buono anche da parte della stampa.
L’ideologo
Negli anni, dopo aver lavorato prima come bancario al Banco di Sicilia (era di origini catanesi) e poi addirittura come dirigente industriale, Bonanno si guadagnò via via una posizione particolarissima e progressivamente sempre meno isolata nella galassia libertaria.
Al punto di ritrovarsi, nel nuovo millennio, come “ideologo” degli anarco-insurrezionalisti. Tutto questo però passando sempre per arresti e processi: ad esempio nel 1989, quando venne arrestato per aver svaligiato una gioielleria a Bergamo, oppure sette anni più tardi, quando gli inquirenti lo indicarono come capo di una banda armata, la Orai (Organizzazione rivoluzionaria anarchica insurrezionalista). Condannato a 3 anni e sei mesi in primo grado, divenuti sei in appello, le cronache si sarebbero rioccupate di Bonanno nel 2009, per una ulteriore pena di due anni, per concorso in rapina in Grecia.
Tornando al fronte “intellettuale”, una delle sue opere più sorprendenti fu, nel 2003, la pubblicazione del lungo carteggio che intrattenne tra il 1998 e il 2000 con Gianfranco Bertoli, il bombarolo della strage alla Questura, al cui anarchismo a suo tempo Bonanno non credette.
Salvo poi cambiare idea: lo testimoniano le centinaia di lettere che i due si scrissero appunto a fine millennio, un carteggio che solo la morte di Bertoli interruppe. Oltre alla moglie Annalisa, compagna anarchica della seconda parte della sua vita, Alfredo Bonanno lascia un figlio avuto proprio da lei. E che porta il suo stesso nome.
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