- È morto nella sua casa milanese Fulvio Papi. Già prima del Covid la sua attività pubblica era conclusa, ma non quella intellettuale, impegnato com'era in discussioni e scrittura.
- Fu filosofo, politico e grande animatore culturale.
- Con lui si spegne l’ultimo esponente della scuola di Milano, tra i grandi polit filosofici europei del ‘900.
Una notizia davvero brutta, anche se attesa: è morto nella sua casa milanese Fulvio Papi. Già prima del Covid la sua attività pubblica era conclusa, ma non quella intellettuale, impegnato com'era in discussioni e scrittura. Mi legano a lui molti ricordi. Anzitutto fu il mio revisore delle ricerche milanesi nei miei anni all' Isec diretto da Gianni Cervetti con la coordinazione scientifica di Luigi Ganapini.
Non ero nemmeno trentenne e, come era uso fare con tutti, mi ospitava in casa sua per lunghe discussioni. Era persona generosa, ma selettiva. Non concedeva rilassamenti del pensiero. Fu un privilegio vederlo mentre mi ascoltava. Presentò, proprio all'Isec, il mio primo saggio su Piero Martinetti. Ma la cosa per cui gli sarò per sempre debitore sono i seminari sui "Grandi libri della filosofia" che organizzava alla Casa della cultura di Milano, con Fondazione Corrente luogo della sua vita intellettuale.
I grandi
Io ero studente universitario, in un momento di vera crisi dell'offerta culturale, con un mondo che scompariva e nessuno che se ne creasse all’orizzonte. Eravamo, all'inizio, in pochi a partecipare. Io, forse, l'unico giovane. Grazie a quegli incontri, sentì tutti i grandi filosofi del mio tempo. Cosa, tra l'altro, che mi sarebbe immensamente servita per il mio lavoro successivo.
Alla faccia delle banalizzazioni tipo crediti, debiti, come se i pensieri si possano pesare un tanto al chilo. Per carità, liberiamo i giovani da queste idiozie, che spazino dove vogliono. Il futuro dimostrerà il valore di quelle peregrinazioni.
Carlo Sini, a cui devo l'ingresso nel pensiero, non solo filosofico, era il mio parametro. Di là, come si fa da ragazzi, giudicavo tutto. Sentì, e vado a memoria, Salvatore Natoli che commentava Foucault, Massimo Cacciari sulla Teologia platonica di Proclo; su tutti, lo stesso Sini, nel 1998, sull'Etica di Spinoza. Quando una semplice conferenza può cambiarti la vita.
La Casa della Cultura si rianimò ben presto grazie al lavoro di Ferruccio Capelli, che a Papi è stato legatissimo e a cui ha sempre riservato il dovuto omaggio. Se teoreticamente ci sono state, probabilmente, menti più sistematiche (diceva a Sini che se fosse stato un autore sistematico sarebbe stato lui), davvero in pochi hanno saputo interpretare con simile acume il crinale politico-filosofico, forte com'era della sua attività parlamentare, da socialista lombardiano prima da indipendente nel Pci poi, e dei suoi studi marxisti ed hegeliani.
Una piramide nel deserto
Se penso al chiacchiericcio intellettuale attuale, anzitutto il mio, mi viene da sorridere al cospetto di una simile formazione che aveva la solidità di una piramide nel deserto. Impossibile immaginare oggi simili scenari, troppo diverso il tempo, troppo distanti le epoche. Pessimista sul futuro, mai l'ho sentito cedere a nostalgismi di sorta. La crisi aveva sempre ragioni strutturali, in qualche modo era inscritta nei fatti. In pochi, per me solo Croce, hanno avuto la stessa prosa letteraria-filosofica.
Nei suoi scritti i concetti si costruivano a partire dalla vita, come da lezione del suo maestro Antonio Banfi. Se qualcuno ne volesse un esempio, legga il suo fondamentale La scuola di Milano: Banfi, Cantoni, Paci, Preti (1990). Ma fu grande interprete, oltre che dei tedeschi, di Bruno. Sempre ai suoi incontri devo la conoscenza di Nuccio Ordine, tra i massimi studiosi di Bruno contemporanei, che omaggiò Papi con una nuova pubblicazione del suo Antropologia e civiltà nel pensiero di Giordano Bruno. Perdiamo, a suo modo, un grande. Perdiamo, pian piano, una stagione davvero di un altro tempo.
Piango a vedere com’è ridotta oggi la filosofia della sua città, che fu polo filosofico di livello europeo, con una scuola che nulla aveva da invidiare ai grandi francesi, con cui, tra l'altro, i rapporti erano intensi. Tanti i suoi allievi, tante le sue allieve. Ancor di più, tanti coloro che si sono formati nei luoghi culturali da lui custoditi con impegno e amore. Io fui uno di quelli. In ebraico si dice zikronò le berachà, il suo ricordo sia di benedizione.
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