- Nella Sicilia che ricorda i trent'anni dall'uccisione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino può accadere anche che personaggi condannati per reati di mafia decidano i destini del comune di Palermo o della presidenza della regione.
- A tessere la trama delle alleanze e a scegliere i candidati per le prossime elezioni - si voterà fra maggio e giugno, a cavallo delle commemorazioni di Capaci e di via D'Amelio - sono due noti siciliani invischiati in vicende criminali non proprio secondarie.
- Si tratta di Marcello Dell’Utri e dell’ex presidente della regione Totò Cuffaro: la tragedia siciliana è che, i due, muovono voti e apparati.
Nella Sicilia di oggi che ricorda i trent'anni dall'uccisione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino può accadere anche l'inimmaginabile. E cioè che personaggi politici condannati per reati di mafia, sino in Cassazione, possano decidere i destini del comune di Palermo o della presidenza della regione.
È come se da quelle stragi non fossero trascorsi trent'anni ma trecento e forse più, il passato cancellato, la memoria dei fatti spazzata via con una spudoratezza davvero stupefacente. A tessere la trama delle alleanze e a scegliere i candidati per le prossime elezioni – si voterà fra maggio e giugno, a cavallo delle commemorazioni di Capaci e di via D'Amelio – in questi giorni sono due noti siciliani invischiati in vicende criminali non proprio secondarie.
Eppure sono i protagonisti, i mattatori di questa lunga campagna che porterà alla nomina del nuovo governatore e del sindaco di Palermo dopo l'era di Leoluca Orlando. Uno è Marcello Dell'Utri, fondatore di Forza Italia, un rapporto antico e fraterno con Silvio Berlusconi, una condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa e attualmente indagato a Firenze per le stragi del 1992. L'altro è Salvatore “Totò” Cuffaro, presidente del governo siciliano per due volte, una condanna anche lui a 7 anni per avere favorito Cosa Nostra.
Le trame di Dell’Utri e di Cuffaro
Il primo è stato inviato a Palermo dal suo amico Silvio a mettere ordine in Forza Italia e a convergere i consensi per la regione su un solo candidato, il secondo (che dopo la detenzione aveva promesso di abbandonare la politica e fare il volontario in Africa) è già dall'autunno scorso che dà carte per imporre il suo uomo, l'ex rettore dell’università palermitana Roberto Lagalla, al posto di Orlando.
Trattati entrambi con i guanti gialli dai cronisti della stampa locale, come se fossero degli statisti, Cuffaro e Dell'Utri incontrano, maneggiano, consultano, mettono veti, si esibiscono come delle star. Mangiate nei ristoranti alla moda, summit al Grand Hotel delle Palme, abboccamenti con questo e con quello per tentare di riappacificare un centrodestra andato in frantumi.
Come se fosse la cosa più naturale e normale del mondo: due condannati per reati di mafia che hanno in mano la politica di un'intera regione. Felici loro e ancora più felici i candidati da loro indicati, senza un filo di vergogna pronti a dare l'assalto al comune o alla regione in nome dei loro sponsor con le carte macchiate, l'uno e l'altro interdetti dai pubblici uffici.
È il segno dei tempi. Quegli stessi candidati li ritroveremo sicuramente anche il 23 maggio e il 19 luglio, contriti e addolorati a presenziare e a ricordare, magari anche a dire la loro su Falcone e Borsellino, su legalità, illegalità, mafie vecchie e mafie nuove.
Questa maleodorante vicenda è rimasta avvolta per mesi nel silenzio, rotto soltanto ieri l'altro da un magistrato mentre stava presentando a Palermo un libro di Salvo Palazzolo sui fratelli Graviano. Il magistrato è Luigi Patronaggio, fino alla settimana scorsa procuratore capo di Agrigento e dalla settimana prossima procuratore generale a Cagliari.
Le sentenze che non contano
Poche parole ma molto chiare: «Mi indigna che persone condannate per mafia continuino a far politica e pretendano, ad esempio, di stabilire chi deve fare il sindaco a Palermo. Mi indigna moltissimo perché vuol dire che le nostre sentenze non valgono niente». Le repliche degli interessati sono arrivate veloci.
Marcello Dell'Utri: «Non faccio politica e non indico candidature al massimo dico come la penso. Non sono stato condannato a non esprimere opinioni». Totò Cuffaro: «Ho scontato la mia pena con grande sofferenza ma con dignità. Ritengo di non dover rimanere detenuto per tutta la vita e di avere il diritto, dopo essere stato chiuso in una cella per 1.768 giorni, di impegnarmi nelle cose in cui credo».
La tragedia siciliana è che, i due, muovono voti e apparati. Commenta infatti Claudio Fava, presidente della commissione antimafia regionale: «A me non stupisce che Marcello Dell'Utri voglia dar consigli su chi possa essere il sindaco di Palermo. A me stupisce e preoccupa che qualcuno stia ad ascoltarlo».
A Fava, che in questi anni in Antimafia ha svolto un eccellente lavoro, ci sentiamo di offrire un piccolo suggerimento. Si faccia promotore di un'indagine sui “presentabili“ sugli “impresentabili” candidati al comune Palermo, ma non controllando i precedenti penali quanto piuttosto le loro parentele in odore di mafia. C'è un tam tam che annuncia sorprese non da poco.
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