È provocata da comuni virus respiratori che hanno colpito individui talvolta debilitati dalla malaria, e quasi sempre fiaccati dalla severa malnutrizione. Cosa dice l’aggiornamento pubblicato dall’Oms
Il 27 dicembre, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato un aggiornamento sull’epidemia in corso nella Repubblica Democratica del Congo, dal titolo “Infezioni respiratorie acute complicate dalla malaria (precedentemente indicate come malattia non diagnosticata)”. E già questa è una notizia: l’epidemia del Congo, che sta facendo preoccupare il mondo, non è provocata dalla malaria.
Il 29 novembre, le autorità sanitarie di Panzi, nella provincia di Kwango – una remota area rurale del Congo- avevano lanciato un’allerta perché avevano notato un aumento inusuale delle morti specie tra i bambini di età inferiore ai cinque anni, che si ammalavano di una malattia che dava febbre, tosse e raffreddore, e in qualche caso un’anemia spesso fatale. L’Oms ha subito inviato a Panzi una missione speciale che ha studiato ogni caso, e ha prelevato campioni che ha poi esaminato in loco o inviato a Kinshasa al fine di identificare l’eventuale agente patogeno – virus o batterio – responsabile della malattia. La nota di aggiornamento dell’Oms annuncia: «Dall’ultimo bollettino su questo evento, pubblicato l’8 dicembre 2024, le autorità sanitarie di Panzi hanno segnalato altri 485 casi sospetti e altre 17 morti. Tutti gli individui segnalati presentavano febbre, tosse, astenia, naso colante e uno o più di questi sintomi: brividi, mal di testa, difficoltà respiratorie, malnutrizione e dolori muscolari diffusi».
E prosegue: «Tra il 24 ottobre e il 16 dicembre 2024 sono state segnalati in totale 48 morti e 891 casi. I bambini di età inferiore ai cinque anni risultano colpiti in maniera sproporzionata poiché rappresentano il 47 per cento di tutti i casi e il 54 per cento di tutte le morti, mentre compongono solo il 18 per cento circa della popolazione, e ciò probabilmente riflette la vulnerabilità dei piccoli bimbi alle malattie gravi e alla morte in questo contesto». E ora arrivano le frasi cruciali. Spiega la nota dell’Oms: «Dai casi sospetti della zona di Panzi sono stati raccolti un totale di 430 campioni, che comprendevano campioni di sangue, tamponi orofaringei o nasali, urine e latte materno, poi inviati ai laboratori. Degli 88 test diagnostici rapidi per la malaria compiuti sul campo, 55 (pari al 62 per cento) erano positivi. Inoltre, dei 26 campioni analizzati alla PCR, 17 (pari al 65 per cento) sono risultati positivi per il Plasmodium falciparum», agente eziologico della malaria. «Infine, 89 campioni sono stati esaminati presso il Laboratorio per la Sorveglianza delle malattie respiratorie. Di questi 89 campioni, 64 sono risultati positivi per vari comuni virus respiratori», tra i quali i più presenti sono il virus dell’influenza (25), quello del raffreddore (15), e il SARS-CoV-2 (15).
La nota dell’Oms conclude affermando: «Le indagini in corso e i risultati preliminari di laboratorio suggeriscono che la combinazione di comuni infezioni respiratorie di origine virale e di malaria da Plasmodium falciparum, aggravate da un’acuta malnutrizione, ha portato a un incremento delle infezioni gravi e delle morti». Detto in parole più semplici, l’epidemia in Congo è provocata da comuni virus respiratori – visto che quasi tutti i malati erano da essi infettati – che hanno colpito individui talvolta debilitati dalla malaria – visto che solo poco più della metà di essi era positivo al plasmodio della malaria- ma quasi sempre fiaccati dalla severa malnutrizione- che affligge praticamente tutti in quella regione.
Non è malaria
Perciò ora risultano improvvide le parole pronunciate dal Dottor Ngashi Ngongo, dei Centri per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie dell’Africa, che due settimane fa aveva affermato: «La causa dell’epidemia è sicuramente la malaria». Ma che la prima causa dell’epidemia fosse un’infezione respiratoria virale e non la malaria era facile prevederlo già sulla base dei sintomi della malattia. Infatti, la malaria è una malattia provocata da un protozoo chiamato plasmodio che - inoculato da una zanzara anofele -penetra nel nostro sangue, invade i nostri globuli rossi, li distrugge uno ad uno provocando dapprima febbre alta e una grave anemia; nei casi più gravi, dopo settimane o mesi, il sangue, quasi privo di globuli rossi, alla fine diventa così fluido che “trasuda” dentro i polmoni e scatena le gravi difficoltà respiratorie – tosse e mancanza di respiro - tipiche degli stadi finali della malattia. Invece, i pazienti del Congo mostrano sintomi respiratori - naso che cola, tosse e dispnea – fin dall’esordio, perciò era assai improbabile che si trattasse di malaria.
Insomma, per quel che sappiamo finora l’epidemia del Congo è provocata da virus respiratori associati alla malnutrizione e talora alla malaria, ma la stessa Oms annuncia che “la sorveglianza rafforzata continuerà con tutte le altre attività di risposta,” il che significa che la causa vera della malattia potrebbe essere un’altra, forse un virus non ancora identificato.
D’altronde, i test utilizzati dall’Oms permettono solo di trovare un patogeno già noto, ma non di identificarne uno ancora ignoto. Nei tamponi molecolari rapidi, quelli che abbiamo imparato a conoscere col Covid, sono presenti anticorpi contro un determinato antigene: se quell’antigene – per esempio il virus del Covid - è presente si lega all’anticorpo, e la reazione fa comparire una striscia colorata. Se voglio condurre una PCR per riconoscere la presenza di un determinato virus o batterio in un campione, devo inserire delle “esche” molecolari con porzioni già note del DNA o dell’RNA di quel virus o batterio, mentre se si tratta di un virus del tutto nuovo la PCR è praticamente inutile. Se voglio identificare un virus nuovo, dovrei isolarlo da un campione biologico e replicarlo in colture di cellule animali, oppure congelare un tessuto biologico di un malato e immediatamente dopo osservarlo al microscopio elettronico per “vedere” il virus, oppure fare molteplici tentativi alla PCR con esche sempre diverse, tutte attività che in quella remota regione dall’Africa – priva dei laboratori all’avanguardia necessari - sono praticamente impossibili.
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