Il numero dieci inglese è l’armonia che spesso si assenta per poi tornare prepotente in un’area di rigore affollata. Come l’altra sera durante Inghilterra-Serbia
Jude Bellingham è un rinoceronte con il cervello di uno sciatore che nel caos delle partite di calcio riesce sempre ad evitare l’avversario tenendo il pallone. Un pre-destinato ad essere il migliore. Tutti dicono che somiglia a Zinédine Zidane e lui sottoscrive, ma altri ci vedono l’intelligenza di Johan Cruijff, in realtà il genio ricorda altri geni ma è sempre differente, e questo giochino delle somiglianze serve a chi guarda, chi gioca si premura di sapere di averlo in squadra, quindi fortunate Real Madrid e Inghilterra.
Bellingham è l’armonia che spesso si assenta per poi tornare prepotente in un’area di rigore affollata. Come l’altra sera agli Europei, durante Inghilterra-Serbia, che è apparso a schiacciare il difensore Miloš Veljković colpendo di testa il cross di Bukayo Saka e mettendo il pallone alle spalle del portiere Predrag Rajković. Non c’era, poi c’era. Ecco la bella testa – dentro e fuori – di Bellingham.
Il padre Mark
I pensieri e le intuizioni portano al gol e alla vittoria, come le sue assenze lasciano l’Inghilterra nel timore d’un pareggio. Eppure gioca con Phil Foden e Harry Kane, per dirne solo due, è probabile che oltre il talento e l’armonia, Bellingham abbia un sapere accumulato, che si premura anche di raccontare: «Lo guardavo giocare tutto il tempo. È lì che ho iniziato a provare amore per il pallone. Penso che si possa vedere dal modo in cui gioco che ho guardato le partite fin da piccolo. Quello stile di durezza e di grinta quando è necessario si riflette nel mio calcio, e penso che derivi dal fatto che ho visto mio padre giocare una infinità di volte».
Il padre di Bellingham, Mark, è un sergente della polizia delle West Midlands e si stima che abbia segnato più di 700 gol nella sua carriera prima di ritirarsi. Quindi Jude ha molto ancora da replicare, come suo fratello Jobe che gioca nel Sunderland, insieme si sono fatti una foto con Zidane – che sta in mezzo come Pinocchio con i carabinieri – e i loro sorrisi sembrano dire: questo è l’obiettivo e lo abbiamo accerchiato, la fase due sarà tentare di superarlo.
Abbiamo un primo dato: c’è un padre che segnava tanto anche se in campionati minori, e ci sono due figli che hanno già una fase successiva, possiamo dire che il genio – calcistico – ha nell’apprendistato una percentuale di ereditarietà, un sapere accumulato prima di virare verso una scienza inconscia troppo legata alla conservazione del piacere infantile del gesto libero per essere diagrammizzata.
Accelerare e rallentare
La grande tecnica, a velocità sempre maggiore, richiede una decisione immediata che guida il gesto verso lo stupore, e all’interno della scelta in pochi microsecondi: se guardate bene i movimenti di Bellingham hanno un continuo accelerare e rallentare quindi un grande controllo del tempo del corpo e del tempo nel rapporto tra corpo e pallone. Non si tratta solo di corsa, ma di decisioni e scelte e gesti successivi. È questo il genio.
Tutto il corpo di Bellingham lavora all’armonia, non c’è caduta di grazia o estetismi che tendono a bullizzare il marcatore, no, Bellingham è un assoluto che tiene insieme i guerrieri greci e i trapezisti, per questo usa anche la lingua. Ogni singola parte concorre allo stupire. E non a caso attraverso la lingua possiamo identificare una serie di geni sportivi da Michael Jordan a Pete Sampras.
Si tira fuori la lingua nella ricerca posturale, per istinto e ricerca naturale dell’equilibrio migliore e della forza maggiore nella perfezione del gesto. Poi c’è il resto. Il resto nel caso di Bellingham è come tutta questa armonia corporale si raddoppi in combinazione col pallone attraverso la fantasia usata per uscire dal gioco e condizionandolo al rientro.
La colonna sonora
Ma Bellingham è anche il calciatore con la migliore colonna sonora, per trovare qualcosa di così alto e perfetto bisogna andare ai personaggi di C’era una volta il West di Sergio Leone suonati da Ennio Morricone. Tanto che questa storia avalla la predestinazione.
Gianni Mura diceva che solo i grandi calciatori finiscono nelle canzoni, un teorema più volte dimostrato, ma nel caso di Bellingham c’è la magia, perché la canzone anticipa il calciatore. Nell’estate del 1968 John Lennon lasciò la sua compagna Cynthia e suo figlio Julian per Yoko Ono, e McCartney – molto legato a Julian – andò a Weybridge, dove viveva la famiglia Lennon per confortarli. E mentre guidava la sua Aston Martin pensava a cosa dire e siccome era Paul, spense la radio e si preparò il discorso cantando: Hey Jules – don’t make it bad, take a sad song, and make it better.
«Ho poi cambiato Jules in Jude, mi piaceva questo nome», così nacque Hey Jude che ora viene cantata in ogni stadio dove gioca Bellingham. C’è tutto: il corpo, il suo tempo unico – velocità di pensiero e azione –, la memoria dei movimenti migliori e le scelte da replicare o da sovrascrivere o inventare, e la colonna sonora. Questo è il catalogo del genio, ora gli tocca solo di governare il pallone: genio più controllo del pallone e conseguente azione da gol in serie genera l’epica o qualcosa che la ricorda.
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