- L’ex Roi Michel volle l’Europeo delle città un anno prima che lo scandalo Fifa travolgesse un’intera classe dirigente del calcio mondiale e infine anche lui. Che in quei giorni non immaginava di vedere il suo segretario generale (Infantino) al posto di Blatter.
- La mappa delle città designate è stata falcidiata dalle rinunce e dalle pressioni delle opinioni pubbliche locali. Su tutti, il caso di Bilbao.
- Sette anni dopo l’idea originaria della manifestazione, l’Europa del calcio è il continente della Brexit, del fallimento del Fair Play Finanziario, della bomba Superlega esplosa con enormi danni collaterali. L’idea solidaristica del calcio è definitivamente tramontata.
Un’utopia postuma. I campionati europei di calcio edizione 2020+1, che prendono il via venerdì allo stadio Olimpico di Roma con la partita fra Italia e Turchia, sono l’immagine di un’ambizione troppo alta, da valutare retrospettivamente con indulgenza. L’applicazione di un’idea d’Europa che, nel momento in cui fu approssimata al calcio, pareva una sfida a provare il salto di qualità: la grande manifestazione sportiva per rappresentative nazionali, tradizionalmente organizzata e ospitata da uno stato-nazione o da due stati-nazione con la formula della cooperazione, veniva concepita per toccare l’Europa delle città. Una competizione itinerante il cui referente territoriale verticale fosse il continente, con la sua identità e la sua storia composite. Fu questa la grande intuizione di Michel Platini in quel (remoto) 2014, quando il mondo del calcio e il tempo storico della globalizzazione in cui si muoveva avevano prospettive che adesso appaiono di un’altra epoca. E lo stesso Michel Platini, con quei suoi giorni del 2014, appartiene a un’altra epoca.
L’anno prima della catastrofe Fifa
Cosa era quel 2014 per l’allora presidente dell’Uefa? Era un tempo delle ambizioni smisurate. L’ex fuoriclasse del calcio era cresciuto in modo imponente anche come alto dirigente calcistico internazionale. Dal 2007 a capo della confederazione calcistica europea, anno in cui aveva disarcionato il dinosauro svedese Lennart Johansson, riconfermato per acclamazione nel 2011 e in corsa per il terzo mandato che gli sarebbe stato conferito a marzo 2015, Michel Platini guardava oltre. Verso il bersaglio grosso delle elezioni Fifa, in agenda per maggio 2015.
Si sarebbe trattato di sfidare il colonnello Josep Blatter, capo della tribù dei dinosauri Fifa che lo aveva lanciato in pista quando s’era trattato di far fuori Johansson. Ma si sa com’è, si cresce sia nei ruoli che nelle ambizioni personali. E arriva il momento in cui, quale che sia il campo, bisogna ammazzare freudianamente i padri. In quei giorni del 2014 l’ex Roi Michel pensava seriamente di avviare il percorso di successione a Blatter. Un progetto poi rinviato a un passaggio successivo rispetto al Congresso Fifa di maggio 2015, ma cui continuare a lavorare marcando una differenza sempre più ampia rispetto al padre politico. Che a sua volta stava certamente preparando parata e risposta.
Di sicuro nessuno dei due immaginava, in quel 2014 che vedeva affermata l’idea degli Europei distribuiti per città del continente, che l’appuntamento del Congresso Fifa 2015 sarebbe passato alla storia come quello del blitz di polizia presso l’hotel zurighese di extra-lusso Baur au Lac (27 maggio 2015), comandato dalle procure generali di Stati Uniti e Svizzera, da cui sarebbe derivata la decapitazione di un’intera classe di governo del calcio mondiale. Inoltre, continuando a metterla sul piano delle cose che i protagonisti non avrebbero potuto immaginare, lo stesso Michel Platini non si sarebbe aspettato altre due cose. La prima: che l’ondata di fango generata dallo scandalo Fifa potesse presto riversarsi su di lui estromettendolo definitivamente dal mondo del calcio. La seconda: che quello zelante avvocaticchio italo-svizzero, da lui piazzato nel ruolo di segretario generale Uefa e per questo prontissimo a mostrare fedeltà incondizionata al capo, si trovasse la strada spianata verso la presidenza Fifa grazie alla condizione di caos totale del calcio mondiale. L’avvocato Gianni Infantino presidente della Fifa? Si fosse sentito prospettare l’ipotesi, in quei giorni del 2014, Michel Platini avrebbe invitato l’interlocutore a cambiare pusher.
Il “Cretino politico” del secolo
Non solo Platini era nelle condizioni di non poter immaginare cosa la sorte gli riservasse, in quell’anno di grazia 2014. Almeno un altro soggetto, abituato a muoversi su un piano politico e diplomatico più alto, metteva durante quei giorni il collo dentro il cappio ma intanto credeva fosse solo una comoda blusa in pile. Mister David Cameron, primo ministro inglese conservatore ma molto smart. Molto più di quanto credesse, invero. Perché già nel 2014 cominciava a accorgersi che quel colletto non fosse proprio pile.
Un anno prima Cameron aveva pronunciato un discorso sullo stato dei rapporti fra il Regno Unito (che poi per gli inglesi significa l’Inghilterra più quelle altre tre entità territoriali) e l’Europa. Il solito discorso da premier conservatore inglese, che quando serve sa di poter capitalizzare gli umori della vasta parte euroscettica del paese lisciandole il pelo. E tuttavia la lingua lo tradì. Perché annunciando la ridiscussione dei trattati, ha agitato imprudentemente la bandiera dell’eventuale referendum sulla permanenza nell’Unione. Tipico caso dell’alchimista che si lascia sfuggire di mano l’intruglio e finisce per essere la prima vittima dei devastanti effetti.
Nei giorni del 2014 in cui viene annunciato l’Europeo delle città, soltanto i cultori di fantapolitica immaginerebbero la Brexit, che invece giungerà due anni dopo via referendum. Invece Cameron comincia a avere misura della gigantesca fesseria che ha combinato. Una carriera politica in piena ascesa, fottuta per la convinzione di poter portare al guinzaglio la tigre senza esserne divorato. Quando nel 2099 i posteri vorranno nominare il Cretino politico del XXI secolo, difficilmente si troverà un concorrente credibile per Cameron.
La sindrome “Nimpy”
Corriamo avanti col tempo e ci portiamo dentro i giorni nostri, per scoprire quanto sia ampio lo scarto fra la luminosa ambizione e la povera attualità. L’Europa delle città che si rifiutano di ospitare l’Europeo delle città: è lunga la lista delle defezioni e fra le ultime c’è quella di Bilbao, catturata da una curiosa sindrome “Nimpy”: not in my pitch yard, non nel mio terreno di gioco.
La città basca è stata una delle prescelte a far parte della mappa. Ciò che di per sé non aveva suscitato grandi entusiasmi presso l’opinione pubblica locale. E quell’indifferenza si è trasformata presto in ostilità quando si è fatta avanti l’ipotesi che l’impianto del San Mamés ospitasse le gare della nazionale spagnola valevoli per il girone eliminatorio. La nazionale spagnola, col suo inno e la sua bandiera, presenti e celebrati nello stadio simbolo dell’irredentismo calcistico basco? Non sia mai.
La protesta locale nei confronti di questa prospettiva è montata fino a raggiungere l’apice a marzo 2021, durante la gara di campionato fra Athlétic Bilbao e Eibar. Un drone sorvola il campo da gioco portando in giro un vessillo con la scritta “Bilbao 2020 Eurocopa oni ez” (“No all’Europeo”). Poi l’oggetto volante precipita sul terreno di gioco, col rischio di far seriamente male a qualcuno. Pochi giorni dopo il presidente Uefa, Aleksander Ćeferin, cancella Bilbao dalla mappa dell’Europeo affermando che il San Mamés avrebbe mostrato un’assenza di requisiti. Ciò che provoca la presa di posizione della municipalità bilbaina, con minaccia di andare in tribunale. Quanto alla sede spagnola, si ripiega su Siviglia. Stadio La Cartuja, quello che avrebbe dovuto ospitare le gare di Siviglia e Betis ma è stato rifiutato da entrambe le tifoserie. L’Europeo delle città e degli stadi di riserva.
No, l’Europeo 2020+1 è decisamente qualcosa di remoto rispetto a come era stato pensato nel 2014. Da allora il Fair Play Finanziario, altra invenzione voluta da Michel Platini per restituire un minimo di compatibilità economica e equità competitiva al calcio dei club, è stato depotenziato fino a trasformarsi in un’arma scarica. In compenso è esplosa la bomba della Superlega per club.
Deflagrazione tanto fragorosa quanto fatua, ma che comunque ha lasciato una frattura. L’Europa del calcio solidale è morta lì, sacrificata all’idea che il beneficio di pochissimi potesse essere il bene dell’intero movimento. Adesso ricostruire sarà molto complicato, sempre che vi sia volontà di farlo. Tanto più che al momento la voglia di scontro prevale sulla voglia di mediazione. Una sana via d’uscita non c’è, solo la possibilità di un compromesso che per tutte le parti sarà al ribasso, cementato dal livore reciproco e dalla certezza di dover stare insieme per forza. Benvenuti nel calcio europeo dell’anno 2020+1. Ma fate pure come se le cose fossero ancora normali.
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