L’Everton, uno dei Big Five, insieme con Arsenal, Liverpool, Manchester United e Tottenham, i fondatori della Premier League nel 1992, in questi giorni è passato di mano: il gruppo Friedkin, già proprietario di Roma e Cannes, ha acquisito il 94% delle quote appartenenti all’imprenditore anglo-iraniano Farhad Moshiri. Un accordo che ha messo fine alla telenovela di 777 Partners, società statunitense a sua volta proprietaria di ben sette squadre di calcio in giro per il mondo, tra cui il Genoa. 777 Partners non ha mai completato l’accordo che prevedeva l’acquisizione delle quote di Moshiri, facendo scadere i termini il 1° giugno di quest’anno. Una diatriba che non ha certo giovato alla squadra di Liverpool.

L’Everton è uno dei club più antichi d’Inghilterra, nato prima dei rivali cittadini, fondatore della Football League, con 122 presenze nel massimo campionato inglese su 126 edizioni e un palmares ricco: 9 titoli, 5 Coppe d’Inghilterra, 9 Charity Shield (la Supercoppa) e una Coppa delle Coppe. Il 1985 è stata la sua stagione monstre con tre successi (campionato, Charity Shield, Coppa delle Coppe) e la finale di FA Cup persa ai supplementari contro il Manchester United. Ma il 1985 è stato anche l’anno dell’incendio dello stadio di Bradford, della morte di un tifoso quindicenne del Leeds durante una rissa a Birmingham e della strage dell’Heysel a Bruxelles, con conseguente squalifica delle squadre inglesi dalle coppe europee.

Da allora l’Everton ha vinto solamente un campionato, una FA Cup e quattro Charity Shield. Da quando è stata fondata la Premier League il miglior piazzamento è stato il quarto posto del 2004-05, con qualificazione alla Champions, ma per ben diciassette volte è arrivato nel lato destro della classifica, rischiando in quattro occasioni la retrocessione in Championship.

Dopo i tragici eventi dell’85 il Sunday Times definì il calcio inglese «uno sport da baraccopoli giocato in stadi da baraccopoli sempre più seguito da persone da baraccopoli», parole che, più o meno consapevolmente, contenevano in fieri alcune delle grandi riforme che avrebbero trasformato il movimento, per arrivare alla Premier League che conosciamo oggi, con i record di ricavi per i diritti televisivi. Secondo Bob Murray, all’epoca presidente del Sunderland, non fu decisivo il passaggio alla Premier, perché migliori strutture e ricavi dalle pay TV avrebbero comunque portato il calcio inglese agli stessi risultati economici.

Pochi o nessuno avevano calcolato che quella riorganizzazione avrebbe attirato mastodontici investimenti stranieri – dai russi agli arabi, agli statunitensi –, che hanno avuto un impatto decisivo sul calcio inglese. La Premier League è stata vinta una volta dall’Arsenal, una dal Liverpool, tredici dallo United, il resto da Chelsea e Manchester City, escludendo Blackburn Rovers e Leicester City, che sono sembrati due ‘incidenti’ di percorso. Everton e Tottenham nemmeno una.

In molti si sono chiesti se era questo il futuro che i fondatori della Premier League avevano sognato e disegnato, probabilmente no, fagocitati dalle stesse strutture economiche che hanno implementato, con l’Everton che fatica a non essere il primo dei Big Five a retrocedere.

ANSA

Intanto il nuovo Everton Stadium – che l’Uefa ha già inserito in quelli per l’Europeo del 2028 – sarà pronto per il prossimo anno, mentre al posto del vecchio Goodison Park è previsto un progetto di rigenerazione urbana. Un investimento da 900 milioni di euro che il gruppo Friedkin erediterà insieme con l’impianto che è stato costruito nella zona nord dei Docks di Liverpool, lungo il molo Bramley-Moore, il quale si affaccia lì dove il fiume Mersey sfocia nel mare d’Irlanda.

l progetto, firmato dall’architetto Dan Meis, rappresenta l’identità del luogo, legata alle fabbriche e all’industria navale che hanno segnato la storia portuale della città. Rispetto a Roma e alla Roma, un bel passo avanti per la proprietà americana. I tifosi dei Toffees, però, si aspettano anche qualcos’altro sul piano sportivo: scelte tecniche adeguate e campionati all’altezza della propria storia. Insomma, quello che il gruppo Friedkin, fino a ora, non è riuscito a fare nella Capitale.

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