Stiamo perdendo un treno importante: l’Italia è rappresentata dalla pizza nel mondo. Dobbiamo però formare i pizzaioli». A dirlo è Franco Pepe, uno dei maestri più noti nel settore, titolare di Pepe in Grani a Caiazzo (CE); La Filiale, nell’Albereta Relais & Châteaux di Erbusco (BS); e anche di Proxima Franco Pepe al San Barbato Resort di Lavello (PZ). «Serve intervenire, ormai ci sono sempre meno pizzaioli: sarebbe importante iniziare a formarli dall’istituto alberghiero», sostiene Enrico Famà, fondatore dell’Accademia dei Pizzaioli di Gruaro (Ve), uno degli istituti che forma i professionisti di domani.

È un vero e proprio allarme quello che arriva dal mondo della pizza, che lamenta la mancanza di un riconoscimento della figura del pizzaiolo, richiestissimo in Italia e nel mondo ma per il quale ci si forma solo pagando migliaia di euro, vista l’assenza di un corso di studi negli Istituti alberghieri.

Le pizzerie restano però uno dei cardini del successo gastronomico italiano, come dimostra l’indagine Cga Niq di luglio che le ha messe al primo posto nel gradimento dei consumatori: sono oltre 34mila in Italia, di cui il 27 per cento si trova nelle grandi città e il 73 per cento in località più periferiche. A queste vanno poi aggiunte quelle presenti nel mondo, per le quali vengono spesso chiamati pizzaioli italiani. Un successo indiscutibile, come testimonia anche il riconoscimento dell’Unesco di patrimonio immateriale dell’umanità dal 2017.

Come si diventa pizzaioli

Chi vuole diventare un pizzaiolo non ha un vero e proprio percorso di studi dedicato, nonostante il mestiere sia cambiato nel corso degli anni. «Oggi anche la pizza vuole essere sana: per questo serve avere una preparazione diversa rispetto al passato e conoscere la materia prima, saperla lavorare e trasformare. Non c’è nessuno, però, che lo insegna: servirebbe un corso base gratuito all’Istituto alberghiero che spieghi almeno come mescolare acqua, farina e sale. Questo ci aiuterebbe tanto, perché avremmo un bacino di persone formate dalle quali attingere e che con noi potrebbero specializzarsi», sostiene Pepe.

Manca, quindi una vera e propria definizione della figura, come sottolinea lo stesso titolare di Pepe in Grani: «Io per primo non sono un pizzaiolo: nel 2015 ho raccontato all’allora ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina di avere un diploma Isef, che c’entra poco con questo mondo».

Chi decide di diventare pizzaiolo deve perciò rivolgersi a scuole e accademie a pagamento che, in poco tempo e grazie anche al contributo di istruttori famosi nel settore, aiutano gli studenti a formarsi e a specializzarsi sulle diverse tipologie di pizza, dalla napoletana a quella in teglia o a quella romana.

«Ho fondato l’Accademia pizzaioli quindici anni fa perché avevo notato che mancava un corso di formazione in quest’ambito, dove si imparava il mestiere semplicemente facendo esperienza nelle pizzerie. Oggi abbiamo sedi in tutte le regioni italiane e anche all’estero, con istruttori riconosciuti e qualificati, e siamo anche accreditati presso la regione Veneto», racconta Famà.

«Il corso più breve, quello base, è di 40 ore cioè 8 ore al giorno per 5 giorni, ma ci sono quelli di due, tre, quattro settimane e anche quelli che durano di più, come uno finanziato dall’Unione europea che dura sei mesi. Il pubblico è vario, vengono ragazzi ma anche persone di 30, 40 e 50 anni, che magari non sono contente del lavoro che svolgono e vogliono reinventarsi», sottolinea il fondatore dell’Accademia dei pizzaioli.

Una volta usciti dalla scuola, specie se si tratta del corso base, «non si è pizzaioli fatti e finiti, si è al massimo aiuto-pizzaioli: ma, grazie alla pratica, questo è un mestiere che si acquisisce velocemente», conclude Famà. «Da noi, oltre ai corsi base e a quelli sugli aspetti tecnici, sugli ingredienti e la filiera, offriamo anche corsi di specializzazione, come quelli di marketing e di gestione del locale, che sono molto richiesti. È importante distinguere tra pizzaiolo e imprenditore, sono due ruoli diversi: è come chiedere a Lionel Messi di svolgere anche il ruolo di presidente della squadra», racconta Antonio Giaccoli, presidente dell'Accademia nazionale Pizza DOC di Nocera Inferiore (SA).

A preoccupare, però sono soprattutto i numeri in calo dei ragazzi che si iscrivono, così come accade all’Istituto alberghiero già da tempo: non un segnale incoraggiante per questo mondo. «È un lavoro manuale che richiede sacrificio: i numeri degli iscritti sono in calo rispetto all’epoca pre-Covid», sottolinea Famà, che vede perciò con favore un corso di formazione nell’Istituto alberghiero. «Sarebbe naturale che i pizzaioli uscissero da lì, visto che le pizzerie rappresentano il 50 per cento della ristorazione classica. Non capisco come sia possibile che ci siano corsi di ogni tipo ma ne manchi uno così. Il pizzaiolo deve essere formato a tutto tondo e sapere anche di cucina perché deve conoscere gli ingredienti».

Dello stesso avviso anche Giaccoli. «La professione di pizzaiolo è spesso bistrattata: sarebbe perciò giusto avere una formazione base già prima e per noi ciò sarebbe solo un bene. Un’eventuale sinergia tra pubblico e privato, con quest’ultimo che agirebbe da scuola di specializzazione, rappresenterebbe un valore aggiunto», racconta il presidente dell’Accademia Pizza Doc.

Una speranza di riscatto

Diventare pizzaioli può rappresentare per tanti anche un segno di riscatto: è il caso dei ragazzi del carcere minorile di Nisida, a Napoli, dove dal 2010 i Fratelli La Bufala hanno avviato un progetto di formazione e reinserimento nel mondo del lavoro insieme all’associazione no profit Scugnizzi. «Il merito è del fondatore del gruppo, cioè mio padre Geppy Marotta, che voleva fornire un’occasione di riscatto ai ragazzi di Napoli: per questo abbiamo dato vita a un corso base da pizzaioli, con forno e laboratorio dedicati, che si svolge due volte a settimana e può durare dai tre ai sei mesi.

Nel 2011 il progetto si è allargato e aiutiamo anche coloro che provengono dai contesti più difficili: sono loro la ragione per la quale abbiamo preso in gestione un locale nella zona storica della città che abbiamo chiamato La Pizzeria dell’Impossibile, che apre anche come mensa per i poveri: qui i ragazzi frequentano un corso di formazione due volte l’anno e vengono messi alla prova anche nel servizio con il pubblico.

Le classi sono composte da circa una decina di ragazzi», racconta Francesca Marotta, marketing executive di Fratelli La Bufala e responsabile del progetto, che rimarca il grande senso di partecipazione di tutti coloro che vi prendono parte.

«Il corso piace molto sia in carcere che fuori. Una volta concluso, i partecipanti si formano presso uno dei nostri punti vendita e vengono poi inseriti nei locali del gruppo: tanti di loro oggi sono in giro per l’Italia e nel mondo. Sapere di avere una seconda possibilità e un futuro lavorativo li motiva».


© Riproduzione riservata