Edoardo Franco, vincitore di Masterchef Italia 12, si racconta tracscuola arberghiera, esperienze all’estero e tv: «Gli insegnanti di sala e cucina venivano dal mondo del lavoro, ci trattavano come adulti». È tornato nel suo istituto come ospite: «Oggi è ancora più al passo con le tendenze contemporanee»
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani e in edicola
«Quant’è bella giovinezza, che si fugge tutta via», scriveva Lorenzo de’ Medici alla fine del 1400. Ancora oggi, più di cinquecento anni dopo, la frase esprime lo stesso senso di nostalgia. Quello che inizia a farsi sentire quando, sulla soglia dei trent’anni, si comincia a guardarsi indietro.
Se oggi Edoardo Franco, classe 1996, vincitore di Masterchef Italia 12, potesse riavvolgere il nastro della propria adolescenza, sceglierebbe probabilmente la stessa scuola alberghiera che ha frequentato da ragazzino, l’istituto superiore Giovanni Falcone di Gallarate, in provincia di Varese. Dapprima con il sogno di fare il cuoco, un piano che, nel tempo, come un’onda, è andato e venuto, facendolo poi propendere per la specializzazione in sala bar.
Un’adolescenza come tante
«Da ragazzino ero un tipo un po’ sfigato», esordisce Edoardo, con l’autoironia che lo caratterizza. «In seconda superiore sembravo un bambino delle medie, mi sono sviluppato tardi», dice, «all’occorrenza ero anche polemico, facevo il rappresentate di classe, andavo d’accordo con tutti». Un giovanotto come tanti: scuola, casa, videogiochi, amici. «A lezione mi applicavo, non perché volessi, ma perché ero obbligato dalla famiglia, studiavo tutto a memoria, infatti non mi è rimasto più niente, se non le cose pratiche», continua. I corsi di sala e cucina, appunto, sono quelli che Edoardo ricorda ancora. L’ordine, la pulizia, ma anche qualche “lezione di vita” che lo ha preparato al mondo della ristorazione.
«A 14 anni andavamo a scuola in giacca, cravatta e mocassini», dice Franco, «gli insegnanti di sala e cucina venivano dal mondo del lavoro, ci trattavano come adulti». Uno dei suoi ricordi più vividi è legato a uno di questi docenti. «Per allenarci a portare più piatti insieme in perfetto equilibrio li riempivamo d’acqua, così si vedeva se qualcuno ne versava anche solo un po’», racconta, «un giorno a me è caduta qualche goccia, il professore mi ha ripreso e ha afferrato i piatti per darmi una dimostrazione pratica. Quando ho visto che anche a lui era caduta un po’ di acqua gliel’ho fatto notare. Mi ha messo due».
Le avventure all’estero
Dopo la scuola Edoardo ha deciso di partire, collezionando esperienze tra ambienti di alto livello e locali meno formali, che gli hanno dato modo di conoscere persone da tutto il mondo. «Sono stato in Svezia, a Visby, sull’Isola di Gotland, dove lavoravo in un bistrot come cameriere. Era un posto tranquillo, molti dipendenti avevano appena finito la scuola», racconta. «Poi ad Amburgo ho lavorato come barman in un boutique hotel, un impiego dinamico, ma con orari pesantissimi, dalle 18 alle 6 del mattino, ma da contratto avremmo dovuto staccare alle 2.
Dopo un paio di settimane mi hanno licenziato perché mi vedevano leggermente demotivato». Tra la Svezia e la Germania, poi, il vincitore di Masterchef 12 è stato barman in un 5 stelle lusso di Milano. «Lì il personale era tutto altamente qualificato». A seguire, qualche mese da rider per Just Eat. Esperienze diverse, in cui ha potuto sfruttare a più riprese la formazione alberghiera. «La cosa più utile che mi ha trasmesso la scuola è sapere già come sarebbe stato il mondo del lavoro». Sulla tecnica della cocktelerie, una materia in continua evoluzione, Franco ha fatto un corso specifico: un mese e mezzo all’Accademia della European Bartender School.
La formazione sotto le telecamere
Tornato in Italia, a Masterchef è approdato per caso. «Un mio amico si è iscritto ai provini, mi ha detto “vieni anche tu”», racconta, «io non avevo niente da perdere ed ero un po’ stanco della vita da rider». Inizia così un’esperienza totalizzante, di cui gli spettatori a casa vedono una minima parte. «Con la produzione ho firmato un contratto di riservatezza, quindi non posso raccontare cosa succedeva lontano dalle telecamere, ma quello che posso dire è che una volta usciti da Masterchef non si è davvero pronti per lavorare in un ristorante: noi lì facevamo un piatto in 45 minuti, in un locale nello stesso tempo te ne fanno trenta».
Imparare a vincere la soggezione di fronte ai giudici è uno degli insegnamenti che Edoardo ha portato con sé. «La gestione dello stress e del tempo le ho sperimentate per la prima volta proprio durante il programma», spiega, «così come la creatività». Gli ingredienti che fanno il successo del format, i ritmi serrati, le continue sfide legate all’inventiva dei concorrenti, che includo alimenti anche bizzarri, coincidono proprio con ciò che Edoardo ha appreso all’interno delle cucine di Masterchef. Dopo aver vinto, ha ricevuto un premio per continuare la propria formazione: un corso (senza scadenza) alla scuola internazionale di cucina italiana Alma. «Non so ancora se lo frequenterò quest’anno o l’anno prossimo, mi servirebbe per avere una formazione completa, quello che so oggi l’ho appreso dagli altri, o dai video online, per ora penso di essere a un 20-30 per cento».
Il ritorno tra i banchi
Dopo Masterchef, Edoardo è tornato tra i banchi della sua scuola alberghiera, dall’altra parte della cattedra. «Era già un’ottima scuola quando la frequentavo io e nel tempo molte cose sono rimaste invariate, come la produzione di colombe e panettoni che vengono venduti a esterni, il ristorante in cui i ragazzi degli ultimi anni cucinano e servono in occasione di cene mensili aperte al pubblico».
Oltre ad aver parlato con gli alunni, ha potuto assaggiare le loro creazioni: «ricordo degli gnocchi zafferano e cacao e un parmigiana di melanzane rivisitata», dice, «da questi piatti ho capito che la scuola oggi è ancora più al passo con le tendenze della cucina contemporanea, si fanno abbinamenti più azzardati e si sperimentano tecniche diverse».
Il mondo del lavoro oggi
«È giusto che le scuole garantiscano una preparazione pratica, ma in un mondo ideale anche i datori di lavoro dovrebbero fare la propria parte, per esempio fornendo corsi di formazione», dice Edoardo. «Spesso viene dato per scontato che la vita sia rose e fiori per tutti, quindi se non sei andato a scuola è solo colpa tua», continua, «in realtà possono esserci motivi economici o personali». Offrire diverse opportunità di formazione anche nel mondo del lavoro, secondo Edoardo, servirebbe a evitare di costringere le persone a fare lo stesso mestiere tutta la vita, garantendo loro la possibilità di cambiare settore, nel caso lo volessero. «Tolti alcuni impieghi molto settoriali, come il medico, dovrebbe esserci più flessibilità nei confronti di chi non ha esperienza».
Un settore, quello della ristorazione, che oggi, a tutti i livelli, soffre la mancanza di personale e a cui andrebbero forse apportati cambiamenti strutturali. «Ci vorrebbero contratti regolari, un aumento degli stipendi e una diminuzione del monte ore. Spesso si gioca sul discorso della “passione”, ma io la passione ce l’ho per la vita, non per il lavoro». Sorride e ammette: «tutt’ora non ho la certezza che tra un anno mi vedrete nelle cucine di un ristorante o con un mio locale».
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