Una persona su sei oggi incontra, nel corso della sua vita, un qualche problema di infertilità; ma la scienza ha fatto passi da gigante. Nel campo della procreazione medicalmente assistita operano in Italia oltre 300 centri pubblici e privati, con decine di migliaia di pazienti, e più di 11mila bambini sono nati nel 2020 grazie a queste tecniche. Ma le disparità di accesso sono ancora troppe: tempi di attesa e costi in primis, ma anche i limiti di età e l’esclusione delle donne single e lesbiche.
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Nel 1978 venne al mondo in Inghilterra la prima bambina concepita con la fecondazione in vitro. Una tecnica pionieristica che anni dopo valse a uno dei suoi ideatori, il biologo Robert Edwards, il premio Nobel per la medicina. Secondo gli ultimi dati dell'Organizzazione mondiale della sanità oggi l' infertilità colpisce una persona su sei. In Italia il ricorso alla pma, la procreazione medicalmente assistita, è quasi triplicato in vent'anni, con un'accelerazione negli ultimi dieci: secondo l'ultimo rapporto "Analisi dell'evento nascita” del ministero della Salute, se nel 2002 i bimbi nati grazie a queste procedure erano solo 1,3 ogni cento, nel 2014 l'incidenza era già salita a 1,71; e nel 2022 è arrivata a 3,7 ogni cento.
La fecondazione assistita in Italia è stata a lungo limitata dalla legge 40 – tuttora in vigore, ma in forma “ridotta” – che vietava molte pratiche, come il congelamento degli embrioni, la diagnosi preimpianto e la fecondazione eterologa. Ma la Corte costituzionale ha fatto cadere questi divieti, e sempre più persone hanno potuto utilizzare la pma.
Le condizioni che possono rendere difficile o impossibile il concepimento sono molte. «La cosa importante non è tanto l'origine del problema, ma la possibilità di bypassarlo» dice il ginecologo Andrea Borini, direttore del network 9.baby ed ex presidente della Società italiana di fertilità e sterilità e medicina della riproduzione: «Da questo punto di vista la scienza ha fatto passi da gigante».
Le opzioni
La pma ha due grandi segmenti, a seconda «del luogo di incontro tra i gameti maschili, gli spermatozoi, e quelli femminili, gli ovociti» spiega Borini: «Nelle tecniche di primo livello si incontrano in utero; nel secondo e terzo l'incontro avviene al di fuori del corpo della donna, l'embrione si forma e attraversa le primissime fasi di sviluppo in laboratorio, e poi avviene il trasferimento in utero». Si parla di “omologa” quando ovulo e spermatozoo sono della coppia, e di “eterologa” quando uno o entrambi i gameti sono di donatori.
L'inseminazione è una tecnica di primo livello; i trattamenti di secondo livello più diffusi sono Fivet e Icsi. L'Istituto superiore di sanità censisce 332 centri che hanno seguito nel 2020 quasi 66mila coppie: ma se i trattamenti avviati sono di poco superiori a 80mila, le gravidanze ottenute sono invece sotto le 16mila, e i bambini nati vivi ancor meno: 11.305.
Niente più ovuli a trent'anni
Giulia ha avuto un'esperienza di pma di secondo livello. A trent'anni ha cominciato a soffrire di caldane e svenimenti, e la diagnosi è arrivata inaspettata: menopausa precoce. Col suo compagno ancora non pensavano a eventuali figli: «Abbiamo dovuto in primis affrontare il problema della nostra sessualità: io mi sono ritrovata di punto in bianco con gli ormoni di una persona di ottant'anni!».
Quando poi viene loro voglia di allargare la famiglia, gli esami confermano che Giulia ha esaurito la sua riserva ovarica. L'unico modo è usare l'ovulo di una donatrice. La ginecologa consiglia un centro privato a Bergamo, che però alla prima visita spara un preventivo di 15mila euro. Una cifra che Giulia e il suo compagno non hanno e che comunque non spenderebbero così. Lei ricorda il senso di solitudine di quel periodo: persa la fiducia nella sua ginecologa, rimbalzata dal consultorio, delusa dal centro pma dell'ospedale della sua città che al primo appuntamento nemmeno permette al suo compagno di entrare. Era scoraggiata.
Secondo il rapporto sulla Pma dell'Istituto superiore di sanità, gli 11.305 bimbi nati nel 2020 da fecondazione assistita sono stati concepiti per un 88 per cento con gameti della coppia, e per il restante 12 per cento con gameti donati. In oltre tre quarti dei casi, per l'eterologa è proprio dell'ovocita che si ha bisogno, e non del seme: ma in Italia ci sono pochissimi ovociti a disposizione – infatti ben il 98 per cento di quelli utilizzati proviene dall'estero.
La percentuale di successo
L'ultima relazione del ministro della Salute al Parlamento sulla pma riporta una “stima ottimistica delle parti per cicli iniziati” con tecniche di primo livello pari al 9 per cento. Per quanto riguarda le tecniche di secondo e terzo livello con gameti della coppia, se nel 2014 i risultati di successo variavano dal 16 per cento (8.848 nati su 55.705 cicli “a fresco”, cioè prelevando e usando subito in laboratorio i gameti “freschi”, appunto) al 19 per cento (2.128 nati su 11.140 trattamenti effettuati scongelando embrioni o ovociti precedentemente congelati), nel 2020 la percentuale era scesa a 9,5 per cento nei cicli a fresco (3.660 nati su 38.728 trattamenti) ma salita al 22,5 per cento nei cicli con scongelamento (4.535 su 20.413). Con l'eterologa gli ultimi numeri parlano di un 23,5 per cento di successo, con poco più di 2mila bebè nati da 8.787 cicli – in questo caso, per forza di cose tutti con tecniche di scongelamento – avviati nel 2020.
Considerando che la maggior parte delle coppie fa più tentativi, i medici sono concordi nell'indicare un 30-35 per cento come probabilità media realistica di successo della procreazione assistita, con grandi differenze però a seconda delle fasce di età e del numero di tentativi. A Giulia è andata bene: ha trovato a Firenze un ospedale che faceva al caso suo, il primo tentativo è andato subito a buon fine, i due embrioni trasferiti in utero si sono impiantati entrambi, e oggi sono due gemelle sgambettanti. Per un conto totale di soli 500 euro di ticket.
Le differenze tra pubblico e privato
I centri di pma possono essere privati, pubblici o strutture convenzionate «Purtroppo la fecondazione assistita ha dei costi elevati: la possibilità di accedervi anche tramite il sistema sanitario nazionale è importante» dice Borini, altrimenti «rischierebbe di essere appannaggio solo di coppie abbienti». Ma nel pubblico spesso si va per le lunghe, mentre «i tempi di attesa nel privato sono praticamente nulli».
«Al poliambulatorio pma dell’ospedale della mia città mi dissero no, sei troppo giovane: abbiamo una lista d'attesa lunga, ti passerebbero davanti tutte le quarantenni, prova a richiamarci tra un anno» ricorda Silvia, che all'epoca aveva già trentatré anni: «Io capisco che diano la precedenza a quelle che hanno meno chance, ma nel frattempo si riduce il tempo anche per le altre!». Oggi Silvia ha una figlia di cinque anni, avuta grazie alla pma, e un rimpianto: non essere riuscita a farne altri.
Chi si rivolge al pubblico ha peraltro un numero massimo di tentativi consentiti, da tre a sei a seconda delle Regioni; e un limite di età per le donne, dai 43 ai 46 anni (arriva a 50 solo in Veneto). Nel privato, oltre alla disponibilità economica degli aspiranti genitori, «l'unico limite al numero di trattamenti è l'opportunità clinica di continuare» dice Borini, fermo restando il limite dei 50 anni.
La carica dei gemelli
Nel 2022 sono nati in Italia 6.096 gemelli. «L'incidenza di parti plurimi» è ancor oggi «considerevolmente maggiore nelle gravidanze con pma, con un valore pari all'8,9 per cento», si legge nell' “ Analisi dell'evento nascita anno 2022 ”, mentre i parti plurimi senza pma sono solo l'1,28 per cento.
I gemelli «sono più frequenti fra le madri con più di 40 anni»: la pma viene utilizzata più spesso man mano che si va avanti con l'età, tanto da aver riguardato nel 2022 il 18 per cento delle partorienti ultraquarantenni. Ma mentre dieci anni fa, anche per l'obbligo di impiantare tutti e tre gli embrioni alla volta imposto dalla legge 40 (oggi decaduto), oltre una gravidanza su cinque ottenuta attraverso pma era gemellare, ora siamo sotto l'una su dieci.
La pma è però accessibile in Italia solo alle coppie eterosessuali: le donne single e lesbiche restano escluse. «Il solo punto di riferimento per noi medici dovrebbe essere la salute della donna e del nascituro» dice Andrea Borini: «Nel nostro mondo globale, l'unico risultato che si ottiene con i divieti all'accesso ad alcune tipologie di pazienti è il fatto di farne una questione economica». Con buona pace del diritto alla salute.
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