I femminicidi «si radicano probabilmente nell’assoluta mancanza non solo di educazione civica ma anche di rispetto verso le persone, soprattutto per quanto riguarda giovani e adulti di etnie che magari non hanno la nostra sensibilità verso le donne». Lo ha affermato il ministro della Giustizia Carlo Nordio, a margine del convegno “Giustizia, tra riforme e prospettive”, organizzato dalla Camera penale di Salerno.

Di fronte a due femminicidi scoperti in 24 ore la risposta delle istituzioni è sempre la stessa: è una cultura che non ci appartiene. Nordio, così come aveva fatto il suo collega ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, vede la violenza maschile contro le donne e la violenza di genere come altro dalla cultura italiana, che al contrario avrebbe «sensibilità verso le donne».

Se il ministro non vuole ascoltare i movimenti femministi che da anni ripetono che il femminicida «ha le chiavi di casa» e che «non è malato, ma è figlio sano del patriarcato e della cultura dello stupro», può consultare i pochi dati in circolazione e leggere le storie dietro ai femminicidi che dimostrano in modo chiaro la trasversalità del fenomeno: non c’è classe sociale, non c’è provenienza, non c’è contesto che si salva da questa cultura. E questo emerge dai femminicidi di Ilaria Sula e di Sara Campanella, due studentesse universitarie di 22 anni. 

«È illusorio che l’intervento penale, che già esiste e deve essere mantenuto per affermare l’autorità dello stato, possa risolvere la situazione. Purtroppo il legislatore e la magistratura possono arrivare entro certi limiti a reprimere questi fatti», prosegue Nordio, sostenendo che è necessaria «un’attività a 360 gradi, educativa soprattutto nell’ambito delle famiglie dove si forma il software del bambino».

I dati danno ragione a Nordio quando afferma che le misure repressive non riducono il numero di femminicidi, l’unico dato sugli omicidi che non accenna a calare. Perché sono appunto repressive, operano a fatto già accaduto. È però l’unico piano su cui interviene la politica degli ultimi anni, che parla di prevenzione ma non stanzia fondi per i centri antiviolenza, per le case rifugio e per l’educazione sessuo-affettiva. E la radice culturale può essere eradicata con educazione e formazione.

È, ad esempio, la politica che può e ha il compito di occuparsi dei programmi scolastici e di raccogliere e restituire la consapevolezza che senza consenso c’è violenza.

Le reazioni

La capogruppo del Partito democratico alla Camera, Chiara Braga, ha definito le parole di Nordio «inaccettabili». Braga sottolinea, in una nota, «come la maggior parte dei femminicidi viene commesso in casa da uomini che odiano le donne dicendo di amarle».

E, aggiunge, «quello di Nordio è un razzismo strisciante che emerge in tutto il suo fulgore, fuori luogo e fuori tempo: a quando il manifesto della razza? Sarebbe gravissimo se la premier Meloni non prendesse le distanze da tali affermazioni». Il razzismo non è lo strumento con cui fermare i femminicidi, ribadiscono le parlamentari del Pd della commissione bicamerale femminicidio: «Non si fermano agitando odio etnico, come ci pare faccia irresponsabilmente il ministro Nordio. Celando la questione del maschile tossico dietro a quella etnica».

Anche chi opera nel contrasto alla violenza di genere contesta le parole del ministro: «Siamo davvero stanche di dichiarazioni inutili a femminicidio avvenuto: quello che serve è un vero e attuabile piano di prevenzione che lavori sulla società tutta, la scuola, rinforzando i centri antiviolenza», dice all’Ansa Antonella Veltri, presidente della rete di centri antiviolenza Dire, Donne in rete contro la violenza.

Non sono le affermazioni sulla famiglia di origine del bambino a essere utili al cambiamento, sottolinea Veltri. «Nordio vuole spiegare l’utilità» del ddl femminicidio, che prevede il reato specifico, «per le donne che sono state uccise dopo l’entrata in vigore?», chiede Veltri, evidenziando che per lavorare insieme al cambiamento «serve altro» e «i centri antiviolenza si sono da sempre messi a disposizione».

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