- Ad oggi in Val di Non (e in Val di Sole, territorio limitrofo sempre legato alla Dop) si producono circa 400mila tonnellate di mele all’anno, definendola come una delle zone più fruttuose del nostro paese.
- Un uomo dai lunghi capelli brizzolati e dalle gambe secche, in contrappunto ai grossi scarponi da montagna che indossa, si arrampica su una scala di legno per raccogliere quelle più in alto.
- È un custode del tempo della Valle e della storia delle piante: tra una raccolta di funghi e una di erbe spontanee, Fero ha una grande passione per i fossili, derivata da «un entusiasmo per la storia del passato» e per «i cambiamenti nel corso del tempo».
La Val di Non è una valle del Trentino che si stende per oltre seicento chilometri. È un territorio vivo, dove foreste e laghi si alternano a quella che è riconosciuta come una delle produzioni agricole più feconde in Italia: la coltivazione di mele, riconosciute come Dop.
Come per il Chianti, dove i filari di vigneti si rincorrono tra una collina e l’altra, così per la valle gli alberi di mela sono ovunque, anche all’interno dei piccoli paesi, trasformando il paesaggio. Ad oggi in Val di Non (e in Val di Sole, territorio limitrofo sempre legato alla Dop) si producono circa 400mila tonnellate di mele all’anno, definendola come una delle zone più fruttuose del nostro paese. Ma oltre a questo primato, c’è anche il rovescio della medaglia: la valle sembra essere fortemente inquinata dall’uso di prodotti fitosanitari.
Una situazione che ha portato diverse associazioni (in prima fila Karl Bär, referente per la politica agricola e commerciale dell’Umweltinstitut München, l’Istituto per l’Ambiente di Monaco di Baviera) e medici a puntare il dito nei confronti di questa coltivazione intensiva che, come sempre, da un lato aiuta l’economia locale mentre dall’altra intacca la vita giornaliera degli abitanti.
La storia di Fero
Quello in cui ci troviamo oggi è un filare a pochi chilometri da Cles: la signora Silvana lo mantiene da diverse generazioni, azzerando l’uso di pesticidi e raccogliendo da sola le mele mature.
Un uomo dai lunghi capelli brizzolati e dalle gambe secche, in contrappunto ai grossi scarponi da montagna che indossa, si arrampica su una scala di legno per raccogliere quelle più in alto.
È il Fero, aka Ferruccio Valentini, un personaggio mitico della zona: in parte eremita, in parte paleontologo amatoriale e in parte uomo più ricercato della valle. Di sicuro un uomo dalla grande cultura naturale, conoscitore di erbe, piante e frutti della zona.
A guardarlo appare come un uomo senza tempo ma che col tempo ha un rapporto strettissimo. Fero è considerato (a torto) un eremita, lontano dal tempo e dal mondo, eppure non disdegna cene in compagnia o viaggi in motorino per le strade di Roma insieme al suo amico Riccardo Paglia, che ha fatto da tramite per questo incontro.
Custode della Valle
È un custode del tempo della Valle e della storia delle piante: tra una raccolta di funghi e una di erbe spontanee, Fero ha una grande passione per i fossili, derivata da «un entusiasmo per la storia del passato» e per «i cambiamenti nel corso del tempo» (cit. Michael Wachtler, scrittore e ricercatore che lo accompagna nelle sue ricerche).
In casa conserva diversi fossili di piante e sin troppe volte ha raccontato di come uno di quelli oggi porti il suo nome: Fèrovalentinia wachtileri, un ritrovamento considerato unico e che è stato riconosciuto dai paleobotanici come il più primitivo esempio di pini, risalente a 285 milioni di anni fa.
Le conserve
Ma Fero è anche un abile conservatore di generi alimentari: le sue conserve sono fermate nel tempo non dall’olio ma da una soluzione di sua invenzione di succo di mela, aceto di mela e vino bianco, un retaggio di certi usi antichi della valle sviluppato con prove continue.
Il tempo ricopre un ruolo importante anche nel rapporto con la fotografia: persone come il Fero non possono essere avvicinate e semplicemente scattate, c’è bisogno di un minimo di tempo di studio reciproco per attivare quel rapporto fotografo-soggetto che è poi la vera chiave della buona riuscita di una foto.
Soprattutto quando stai aspettando la blue hour, quel momento del giorno a cavallo tra il tramonto e la notte, della durata di nemmeno dieci minuti: di tempo ne hai veramente poco e, se non si arriva preparati, il rischio è di perdere l’attimo e ritrovarsi al buio e senza foto da portare a casa.
«Queste mele sono le Morgenduft (profumo del mattino, in tedesco), le uso per farci il mio succo, gli danno il profumo», ci dice mentre tiene in mano alcune radici di rafano appena raccolte tra gli alberi, nell’altra il piccone usato per scavare la terra: ingredienti che esprimono il territorio, così come il Fero stesso, viaggiatore «in un percorso del tempo», che quasi lo unisce alla montagna, portandolo a divenire una parte del tutto che lo circonda.
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