- La legge sul fine vita è prigioniera delle divisioni interne alla maggioranza e del parlamento. Le norme dovrebbero essere discusse dall’aula della Camera questa settimana ma Lega e Fratelli d’Italia annunciano un’opposizione durissima.
- Il ministro della Salute ha provato a smuovere le acque presentando un decreto sui comitati etici, «un piccolo passo avanti ma non risolutivo», dice Marco Cappato dell’associazione Luca Coscioni.
- La norma prende spunto dalla sentenza della Corte costituzionale del 2019, che ha depenalizzato l’aiuto al suicidio medicalmente assistito, ma che finora è rimasta del tutto inattesa. L’iniziativa di Speranza è stata contestata da 70 associazioni cattoliche.
La legge sul fine vita, ovvero le norme sull’aiuto medico fornito ai pazienti con malattie irreversibili che decidono di morire tramite suicidio, è bloccata dalle divisioni interne alla maggioranza e al parlamento. Le norme dovrebbero essere discusse dall’aula della Camera questa settimana, per poi passare al Senato, ma il governo non ha inserito il tema tra le sue priorità. Inoltre Lega e Fratelli d’Italia annunciano un’opposizione durissima e i tempi per avere una legge si prospettano molto lunghi. Senza dimenticare che il 15 febbraio la Corte costituzionale dovrà esprimersi sulla richiesta di un referendum sull’eutanasia legale.
Il ministro della Salute Roberto Speranza ha provato a velocizzare l’iter presentando un decreto ministeriale che prevede che i pareri sulle procedure di suicidio volontario dovranno essere rilasciati dai comitati etici regionali, organismi istituiti dalla legge Lorenzin che solitamente si occupano delle sperimentazioni in ambito sanitario.
La decisione è arrivata dopo il caso di “Mario”. Il paziente di 43 anni tetraplegico che si è visto rifiutare dall’Asl delle Marche, nell’agosto 2020, l’accesso alle procedure di suicidio assistito, prima che un tribunale imponesse all’azienda sanitaria di procedere con l’iter facendo riferimento alla sentenza della Corte costituzionale del 2019 che ha depenalizzato l’aiuto al suicidio.
Il decreto di Speranza cerca di risolvere la discrasia tra ciò che ha previsto la sentenza della Corte e il vuoto normativo attuale. Ma in mancanza di una legge fatta dal parlamento rappresenta solo un lieve progresso nella regolamentazione della materia. Il decreto potrebbe comunque accelerare l’iter delle richiesta di suicidio assistito, evitando ai malati parte delle trafile burocratiche e i ricorsi di fronte ai tribunali.
Pro e contro
È di questo parere Marco Cappato, ex europarlamentare dei Radicali e attivista dell’associazione Luca Coscioni che si è occupata del caso di “Mario” e che sostiene che si tratti solo di «un piccolo passo avanti» perché contribuirà «a superare quei pretesti burocratici che vengono utilizzati per impedire ai malati l’esercizio dei loro diritti». Ma più in generale l’impostazione delle azioni del governo e del parlamento rimane sbagliata, dice, perché «la sentenza della Corte è già legge, immediatamente applicabile, e dunque quello che Speranza avrebbero dovuto chiarire che c’è un dovere del sistema sanitario di adempiere e rispettare la richiesta dei malati».
L’iniziativa del ministro è sbagliatissima, ma per i motivi opposti, anche secondo 70 associazioni cattoliche (tra le quali Alleanza cattolica, Amci, Pro Vita e famiglia, Centro studi Livatino, Cism e Movimento per la vita) che, come riportato dall’agenzia Sir, l’organo d'informazione della Cei, hanno firmato un documento accusando Speranza di scavalcare il parlamento e di «stravolgere la funzione dei comitati etici».
La sentenza Cappato
Il decreto Speranza prende spunto proprio dalla cosiddetta “sentenza Cappato”, con cui la Consulta si è pronunciata sul caso dell’ex europarlamentare, accusato del reato di aiuto al suicidio per aver accompagnato Fabiano Antoniani, più noto come dj Fabo, a morire in Svizzera. La sentenza ha escluso la punibilità per chi aiuta un paziente a suicidarsi a patto che siano rispettate alcune condizioni.
Quattro i criteri fissati dai giudici. Non è punibile colui che agevola «l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale» (il primo) e affetta da una patologia irreversibile, «fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili» (il secondo), ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli (il terzo). I primi tre criteri, insieme alle modalità di esecuzione, devono essere «verificati da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente» (il quarto).
Il precedente
La norma arriva dopo alcuni mesi dal caso di “Mario” (nome di fantasia ndr). Nel 2020 il paziente ha chiesto all’Asl delle Marche di valutare la sussistenza delle condizioni enunciate dalla Corte ed evitare di doversi recare in Svizzera dove il suicidio medico è legale.
Inizialmente la Asl ha risposto con un diniego e così “Mario” ha deciso di rivolgersi a un tribunale. Dopo una prima sentenza negativa, e un successivo ricorso, il tribunale di Ancona ha ribaltato la decisione del giudice precedente imponendo all’Asl di procedere con la relazione dei medici per attestare la presenza delle quattro condizioni previste dalla Corte. La relazione dell’azienda sanitaria è stata esaminata dal comitato etico regionale che ha sospeso il parere precisando che mancava la definizione del processo di somministrazione del farmaco eutanasico. Una decisione definitiva deve ancora essere presa.
Il decreto di di Speranza non eviterà tutte le lungaggini del processo, né obbligherà medici e comitato a dare il via libera alle richieste, ma assegnando i parerei ai comitati, e quindi sgombrando il campo da possibili ambiguità, eviterà probabilmente ai pazienti come “Mario” di doversi rivolgere ai giudici per sollecitare le Asl. Rappresenta un segnale anche nei confronti del parlamento che sul tema promette una legge dal 2018 ma ancora non ha fatto nulla.
Cosa manca
Tenendo conto di quello che hanno già deciso i giudici costituzionali, mancano delle norme per imporre tempi certi e sanzioni alle Asl inadempienti. «Se un malato scrive alla Asl di competenza per chiedere l’aiuto medico per la morte volontaria, quanto tempo ha la Asl per fare le visite? E il comitato etico quanto tempo ha per potersi esprimere?», si chiede Cappato. La legge in discussione in parlamento non fissa queste regole eppure sarebbero necessarie.
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