Dopo dieci anni di paraplegia, un anno di iter burocratico, due decisioni definitive del tribunale di Ancona, due diffide legali all’Asur Marche e il diniego dell’Azienda sanitaria a concedergli il farmaco letale che avrebbe posto fine alle sue sofferenze, “Mario”, nome di fantasia a tutela della privacy, ha ottenuto oggi il diritto a poter morire.

Il Comitato etico ha infatti espresso parere positivo alla richiesta di “Mario” dopo aver verificato le sue condizioni di salute tramite un gruppo di medici specialisti nominati dall’Asur (l’azienda sanitaria marchigiana), i quali hanno confermato che l’uomo possiede i requisiti per l’accesso legale al suicidio assistito.

Requisiti indicati dalla storica sentenza della Corte Costituzionale n. 242 del 2019, arrivata dopo anni di battaglie legali di Marco Cappato, ex parlamentare dei Radicali, per il caso di dj Fabo, morto in Svizzera con il suicidio assistito il 27 febbraio del 2017.

La sentenza elenca infatti le condizioni di non punibilità dell’aiuto al suicidio assistito: la persona che lo richiede deve essere tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, deve essere affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili, non volersi avvalere di altri trattamenti sanitari per il dolore o la sedazione profonda, ed essere infine pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.

Una decisione della Corte Costituzionale che ha legalizzato il suicidio assistito, ma di cui nessun malato aveva finora potuto beneficiare. “Mario” ne è venuto a conoscenza un anno fa, e ha deciso di scrivere alla sua Asl per ottenere quanto previsto dalla Consulta, ed evitare così di doversi recare in Svizzera per ottenere l’accesso alla morte assistita. 

La storia di “Mario”

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Marchigiano, 43 anni, “Mario” è stato vittima di un grave incidente stradale che gli ha provocato la frattura della colonna vertebrale con la conseguente lesione del midollo spinale, è tetraplegico e ha altre gravi patologie. «Le sue condizioni sono irreversibili – si legge sul sito dell’Associazione Coscioni che lo ha assistito – Ha provato tutte le strade possibili per recuperare parte della sua salute, ma nulla è servito».

L’Asl di riferimento aveva però risposto con un diniego alla richiesta, senza nemmeno attivare le procedure di verifica della sua condizione, come invece previsto dalla sentenza della Corte Costituzionale.

Inizia così un lungo iter giuridico tra le maglie del procedimento civile. Un percorso che ha infine portato a un’ordinanza del tribunale di Ancona, che ha imposto all’Asur di verificare se ci fossero o meno le condizioni per il suicidio assistito.

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«Il Servizio sanitario nazionale si nasconde dietro l’assenza di una legge che definisca le procedure – ha commentato Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni – ma Mario sta comunque andando avanti grazie ai tribunali, rendendo così evidente lo scaricabarile in atto. Manca ora la definizione del processo di somministrazione del farmaco eutanasico». Non è ancora, cioè, stato deciso chi, come, in che modo e cosa somministrare a una persona che richieda di porre fine alla propria vita. 

Il Comitato etico ha infatti sollevato una serie di dubbi procedurali sulla metodica del suicidio assistito, sostenendo che la quantità del farmaco che “Marco” avrebbe chiesto, 20 grammi di tiopentone sodico, non è supportata dalla letteratura scientifica, e resta ignoto se e con quali modalità si debba procedere tecnicamente alla somministrazione.

Non è chiaro inoltre se possano essere somministrati ansiolitici al paziente prima dell’operazione, e se debba essere utilizzato solo il farmaco da lui indicato, o se – nell’ipotesi in cui non si riesca a portare a compimento la procedura con quello – ne possa essere usato un altro.

Il referendum per l’eutanasia legale

«Tale tortuoso percorso – continua Cappato – è anche dovuto alla paralisi del parlamento, che ancora dopo tre anni dalla richiesta della Corte costituzionale non riesce a votare nemmeno una legge che definisca le procedure di applicazione della sentenza della Corte stessa».

Cappato ha ribadito la necessità di avere delle regole che «vadano oltre la questione dell’aiuto al suicidio e regolino l’eutanasia in senso più ampio», un risultato che si augura di ottenere con «l’intervento del popolo italiano, attraverso il referendum che depenalizza parzialmente il reato di omicidio del consenziente». 

La campagna per il referendum, promossa proprio dall’Associazione Luca Coscioni, si è conclusa con oltre 1,2 milioni di firme, anche grazie all’uso della firma digitale, e intende abrogare parzialmente la norma del codice penale che impedisce l’introduzione dell’eutanasia legale in Italia.

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