- «Questo non è un posto per una donna», dice Patricia alzando la voce e volgendo lo sguardo al cielo «qui dentro inizi a scomparire dal primo giorno in cui metti piede». Patricia vive a Borgo Mezzanone, nel ghetto in provincia di Foggia dove stazionano migliaia di migranti.
- La sua è la storia di una madre sola che, pur di non far crescere il figlio di otto anni nell’inferno di Borgo Mezzanone, ha scelto il distacco, l’allontanamento.
- Le donne sono il dieci per cento della popolazione presente nel ghetto dell’ex pista aeroportuale militare. Finiscono spesso nella rete della prostituzione e riportano traumi fisici e psicologici che si trascinano addosso per tutta la vita.
«Questo non è un posto per una donna», dice Patricia alzando la voce e volgendo lo sguardo al cielo «qui dentro inizi a scomparire dal primo giorno in cui metti piede». Patricia vive a Borgo Mezzanone, nel ghetto in provincia di Foggia dove stazionano migliaia di migranti. I braccianti, il caporalato, il sistema della grande distribuzione agricola che decide il prezzo del prodotto tornano episodicamente al centro del dibattito pubblico. Ma le donne, che sono la minoranza del campo, sono come cancellate dal racconto e dall’attenzione delle istituzioni. Sono figure invisibili e ignorate.
Le donne invisibili
«Ho quarant’anni, ma è come se ne avessi il doppio», dice Patricia. Viene dalla Nigeria come gran parte delle donne presenti all’interno degli agglomerati di lamiere e mattoni. La sua è la storia di una madre sola che, pur di non far crescere il figlio di otto anni nell’inferno di Borgo Mezzanone, ha scelto il distacco, l’allontanamento. «Non potevo farlo vivere con me, non avevo scelta così l’ho portato a Napoli e affidato a una mia amica perché potesse seguirlo in mia assenza», dice.
Le donne sono il dieci per cento della popolazione presente nel ghetto dell’ex pista aeroportuale militare. Finiscono spesso nella rete della prostituzione e riportano traumi fisici e psicologici che si trascinano addosso per tutta la vita.
«La maggior parte di loro sono ragazze di vent’anni, ma ci sono anche donne adulte arrivate negli anni novanta che sono riuscite ad avviare piccole attività commerciali nel ghetto, come locande o empori», dice Daniela Zitarosa, responsabile dei progetti dell’organizzazione umanitaria Intersos. «Le donne del ghetto restano lì anche di inverno mentre quelle giovani si spostano in altre zone d’Italia in base all’offerta di lavoro agricolo, ma spesso finiscono in strada a prostituirsi». Alcune donne arrivano per lavorare come braccianti e poi vengono impiegate e sfruttate nella tratta di esseri umani. «I clienti arrivano anche da fuori Foggia, questo è un luogo diventato terra di nessuno dove una rete criminale offre braccia a poco prezzo e anche il corpo delle donne», dice Zitarosa.
Lo sfruttamento della prostituzione
Tra le donne che incontriamo c’è Fari. È senegalese, ma nonostante i soli 37 anni di età, è già considerata tra le donne adulte del ghetto. Ci sono Dori e Angela, cinquantenni nigeriane, che in quelle baracche di lamiera della capitanata ci vivono da dieci anni. «Non avere una casa è spesso il primo passo per accettare di vivere in posti come Borgo Mezzanone, una sorta di ‘rete di salvataggio’», racconta un’operatrice della cooperativa sociale anti tratta Medtraining che opera nel territorio pugliese da più di dieci anni. «Le donne straniere che lavorano nel settore agricolo spesso sono costrette a subire sfruttamento sessuale. Le cosiddette ‘connection house’ sono strutture dove da una parte ci sono le stanze con le ragazze e dall’altra l’area bar per i potenziali clienti. Nessuna di loro ti dice mai quello che fa, per loro è un tabù, una vergogna che resta», dice l’operatrice.
Il Majestic è un vero e proprio albergo costruito su diversi piani per strutturare ancora di più un fenomeno presente e radicato da anni nel ghetto. Avvicinarsi è quasi impossibile se non sei un potenziale cliente.
Le donne si sentono abbandonate. Per rivolgersi al centro anti-violenza e vedersi riconosciuta la protezione è necessario avere una residenza. Senza documenti e senza residenza registrata le donne restano invisibili. Sfruttate da donne, ma anche da madri. I loro figli non vengono seguiti e tutelati, non esiste un sistema di supporto alla loro genitorialità.
Il figlio conteso
Quando Patricia ha capito che lì dentro la vita sarebbe stata per lei più dura del previsto, ha cercato di ‘salvare’ il figlio minorenne. Ma tutto si è trasformato in un incubo. Il figlio veniva maltrattato dalla donna che lo ospitava. «La pagavo mensilmente per farlo vivere in un ambiente confortevole, ora però la colpevole sono io perché mi imputano di averlo abbandonato lasciandolo a quella che consideravo una mia amica», dice Patricia che ora attende il giudizio degli assistenti sociali.
«Alcune di loro, quelle che non si fanno vincere dalla paura, ci raccontano cosa stanno vivendo. C’è chi subisce violenze, chi non vorrebbe prostituirsi, ma è costretta a farlo. Molte chiedono aiuto per uscirne», dice Zitarosa.
Intersos offre un servizio di assistenza con due cliniche mobili. «La maggior parte di loro riporta infezioni all’apparato genitale o segni di violenza come lividi sul corpo. La possibilità di rimanere incinta è altissima, per questo si rivolgono a noi, per chiedere aiuto, per essere accompagnate in un percorso sanitario di cure o spesso anche di interruzione della gravidanza», dice Alice Silvestro, medico della clinica mobile.
Il ricatto dei documenti
In tutta l’area circostante ci sono solo tre consultori attivi, quello di Borgo Mezzanone è chiuso, a Foggia c’è un solo ecografo e una sola dottoressa disponibile per le interruzioni di gravidanza. Le donne finiscono sotto ricatto anche solo per l’ottenimento dei documenti. «Se una donna ha il permesso di soggiorno e fa richiesta di asilo, ci sono immediatamente uomini che si avvicinano a lei perché magari è anche incinta e facendosi riconoscere il figlio potrebbero richiedere i documenti per motivi familiari. Ricordo di una donna incinta che accompagnammo in ospedale per partorire e lì si presentarono tre uomini diversi che rivendicavano la loro paternità», spiega Zitarosa. In altri casi ci sono compagni che usano il permesso di soggiorno delle donne come arma di ricatto. Una situazione aggravata dall’esigenza di mandare soldi alla famiglia di origine che obbliga le donne a reperire denaro in ogni modo.
Aisha ha 63 anni e in Mauritania ha lasciato la sua famiglia. Dal 2011 si trova in Italia dopo aver vissuto in Francia e Belgio. «Prendo le cose al mercato di Foggia per poi rivenderle qui dentro», racconta, «guadagno dai 10 ai 15 euro al giorno. In inverno manca il riscaldamento, manca la luce».
Il suo negozio di alimentari è anche la sua casa. Lì vende, lì dorme, lì mangia. «Non sono bella come prima, forse è per questo che mi sono salvata dalla prostituzione. Quelle giovani invece, le vedo passare e mi viene tristezza. La loro è una situazione tragica», dice.
La tratta della prostituzione è un business sicuro per chi la gestisce e ne trae profitto, nonostante la cifra delle prestazioni si aggiri intorno ai dieci euro. Molte ragazze si prostituiscono per pagare il debito del viaggio, ma è un debito che dura tutta la vita.
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