- La condanna dei commercialisti del partito non è certo la fine della stagione dell’opaca gestione delle finanze della Lega di Salvini.
- A partire dalle uscite di denaro registrate sul conto corrente, cinque volte maggiori nel 2019 rispetto all’anno precedente. Lo schema è rodato e ricalca i periodi precedenti: soldi versati a società fornitrici o controllate, che a loro volta dispongono bonifici ad altre aziende riconducibili a fornitori amici del trio di professionisti del partito.
- Era il periodo però in cui la Lega aveva chiuso l'accordo con i giudici di Genova per restituire il debito da 49 milioni in 76 rate annuali, rateizzazione ottenuta in virtù della professata scarsa liquidità disponibile. I documenti investigativi ottenuti da Domani offrono una narrazione diversa.
La condanna dei commercialisti del partito non è certo la fine della stagione dell’opaca gestione delle finanze della Lega di Matteo Salvini. Sono ancora troppi, infatti, gli interrogativi senza risposta. A partire dalle uscite di denaro registrate sul conto corrente del partito nel 2019, un anno da ricordare per la Lega. E non solo per lo strabiliante risultato alle elezioni europee. Ebbene, nel 2019 le uscite sono state cinque volte superiori all’anno precedente. Eppure era il periodo in cui il partito aveva chiuso un accordo con i giudici di Genova per restituire i 49 milioni che deve allo stato in 76 rate annuali. Una rateizzazione ottenuta in virtù della professata scarsa liquidità disponibile. Ma i documenti investigativi ottenuti da Domani offrono una narrazione diversa: 5,1 milioni spesi in soli 9 mesi, alla fine del 2019, 8,8 milioni durante l’intero anno, secondo quanto emerge dal bilancio. Non esattamente uno stato di indigenza con la maggior parte delle spese che viene giustificata come “pagamento servizi”.
Il fascicolo
Decine di documenti, in tutto un centinaio di pagine. È la mole di relazioni dell’Antiriciclaggio sulle finanze della Lega di Salvini. È il fascicolo che imbarazza di più i vertici del partito, i fedelissimi scelti dal “capitano” da quando nel dicembre 2013 è diventato segretario e ha cambiato radicalmente l’ideologia del movimento abbandonando la vecchia linea nordista, anche nel nome, per diventare un partito nazionalista, o sovranista se preferite. Imbarazza perché chiama in causa non solo Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, i commercialisti del partito condannati ieri dal tribunale di Milano, ma evidenzia anomalie nella gestione complessiva dei fondi della Lega.
I commercialisti, arrivati con Salvini, avrebbero dovuto sistemare i conti e far dimenticare gli scandali del 2012 segnati soprattutto dalla truffa da 49 milioni sui rimborsi elettorali. Una vicenda destinata a pesare sul destino politico della Lega nord che dopo essere passata nelle mani di Roberto Maroni arriva a Salvini. Nasce tutto da lì però, da quella truffa dell’allora tesoriere Francesco Belsito, contabile prediletto di Umberto Bossi. Maturano in quella parentesi giudiziaria e di crollo politico i guai futuri ereditati da Salvini. Il motivo è semplice: l’attuale leader leghista rinuncia a chiedere i danni a Bossi e quindi a Belsito nel processo di Genova, il cui esito sarà devastante e imporrà la restituzione del tesoretto pubblico dei rimborsi accumulati tra il 2008 e il 2012. Una pena accessoria prevista dal reato di truffa ai danni dello stato.
In realtà si sarebbe potuta evitare se Salvini non avesse firmato la scrittura privata nel 2014 in cui rinunciava a chiedere i danni a Bossi per tutti i procedimenti penali e se si fosse costituito parte civile con il partito contro il fondatore e Belsito. Pur sapendo questo dettaglio non di poco conto, la decisione ha scatenato la propaganda di Salvini: la narrazione prevalente mirava a descrivere un partito in crescita di consensi che le toghe volevano distruggere.
Un partito povero, ripeteva in ogni piazza Salvini, con in cassa qualche migliaia di euro, come avrebbe potuto restituire tutti quei milioni? Una Lega stracciona, secondo il segretario, che quel verdetto “politico” mostruoso rischiava di cancellare dalle istituzioni, una sentenza, dunque, paragonata a un attentato alla Costituzione. Questa versione però si è sempre scontrata con un fatto: nello stesso periodo in cui Salvini piangeva miseria per il partito e i magistrati cercavano di recuperare il denaro della truffa di Belsito dai conti correnti della Lega fuoriuscivano milioni di euro, a dimostrazione che in fondo il già movimento padano non era così straccione.
I contabili
Le pedine centrali di questa storia di bonifici, bilanci e sospetti dell’antiriciclaggio sono due commercialisti e il tesoriere dell’attuale del partito: Di Rubba, Manzoni e Giulio Centemero. I primi due revisori contabili dei gruppi parlamentari della Lega fino al loro arresto, il terzo, commercialista deputato, chiamato ad amministrare i conti del partito da Salvini. Centemero con l’avallo di Salvini ha scelto Di Rubba e Manzoni per curare la contabilità della Lega e delle società collegate o controllate dal partito. Il giudice Salvini, di nome Guido, del tribunale di Milano ha condannato il primo a 5 anni e il secondo a 4 anni e 4 mesi, disponendo per loro l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Il processo è nato dall’inchiesta sulla Lombardia Film Commission, la fondazione finanziata da regione Lombardia e di cui Di Rubba era stato nominato presidente dalla giunta leghista dell’allora presidente Roberto Maroni: tra il 2017 e il 2018 la fondazione aveva acquistato un immobile a Cormano, provincia di Milano, al prezzo di 800mila euro, il doppio del valore reale, dall’immobiliare Andromeda, legata a un altro commercialista, Michele Scillieri, a sua volta consulente di Lombardia Film Commission e amico dei contabili leghisti.
Il denaro incassato dall’immobiliare in realtà sosta poco sui conti perché prende sentieri vari, molti dei quali conducono a società riconducibili a Di Rubba e Manzoni. Scillieri ha patteggiato una pena di 3 anni e 4 mesi, ammettendo le proprie responsabilità e riempiendo pagine di verbali con accuse molto pesanti sul sistema usato da Di Rubba e Manzoni, lasciando intendere che il meccanismo in realtà riguardava anche il partito. Scillieri e la Lega sono legati da più di qualche elemento. È un fatto che nel suo studio sia stata domiciliata la Lega Salvini premier, il nuovo partito fondato a fine 2017 per volere del leader futuro ministro dell’Interno, ed è un altro fatto che Scillieri tra il 2016 e il 2018 (a cavallo quindi della fondazione del partito e dell’operazione Film Commission) abbia incassato dalla Lega nord poco meno di 100mila euro. Per cosa non si sa visto che alle domande su questo preciso aspetto non hanno mai risposto né lui né il partito.
Le dichiarazioni di Scillieri hanno pesato sul giudizio contro i commercialisti e hanno dato impulso a ulteriori approfondimenti investigativi da parte della guardia di finanza di Milano e della procura con i pm Eugenio Fusco e Stefano Civardi che continuano a indagare su altri filoni top secret.
Ad ammettere le proprie responsabilità, ottenendo il patteggiamento, è stato anche Luca Sostegni, controfigura in questo intrigo, piazzato dai tre professionisti nel ruolo di prestanome del gruppo.
Fiumi di denaro
Nei documenti dell’Unità informazione finanziaria, l’autorità antiriciclaggio di Banca d’Italia, in cui si delinea il flusso finanziario opaco dietro l’operazione immobiliare con cui la fondazione Film Commission ha acquistato l’immobile di Cormanno, c’è anche molto altro. Troviamo per esempio la conferma del sistema descritto da Scillieri, che ai magistrati ha spiegato la procedura usata per retrocedere parte dei guadagni ottenuti da una nomina pubblica a Di Rubba e Manzoni e quindi al partito: i due commercialisti presentavano le fatture allo studio di Scillieri per consulenze svolte nel corso dell’anno. In pratica si tratterebbe di fatture fasulle, che non corrispondono a reali scambi commerciali, dunque fittizie. Accuse, queste, ancora da dimostrare, ma che sembrano rispecchiare i dubbi sollevati nelle decine di relazioni dell’antiriciclaggio ottenute da Domani.
Fatture a raffica
In questa storia le fatture hanno un ruolo decisivo e uniscono i sospetti maturati nell’inchiesta sulla Film commission e quelli ipotizzati dalla procura di Genova che indaga da tempo sul possibile riciclaggio di parte dei famosi 49 milioni di euro di rimborsi elettorali ottenuti con la truffa. Sia la procura di Milano che quella di Genova collaborano con l’autorità antiriciclaggio, che ha inviato numerose relazioni evidenziando i sospetti sui flussi finanziari in entrata e soprattutto in uscita dalle casse dei partiti e dalle società collegate: Lega nord, Lega Salvini premier, Pontida Fin (l’immobiliare del movimento politico), Radio Padania (la cooperativa dell’emittente storica radiofonica), Mc Srl (società editrice della testata Il Populista). Il primo rapporto degli inquirenti finanziari risale a fine 2018 e vi si legge: «L’operatività dei conti monitorata è riferibile a società direttamente o indirettamente collegate ai medesimi professionisti (Di Rubba, Manzoni e il tesoriere Giulio Centemero, ndr), titolari di incarichi ufficiali nel partito della Lega nord, e di altre società terze, finalizzata a veicolare, sotto forma di pagamento di prestazioni professionali fondi provenienti dal predetto partito o da altri soggetti collegati allo stesso». Tradotto: l’antiriciclaggio ha individuato più di un’anomalia nel pagamento di consulenze e forniture da parte della Lega a società fornitrici di servizi e professionisti della galassia leghista.
Fornitori e amici
Tra i fornitori fortunati c’è Barachetti, sotto processo per l’operazione Film commission in attesa di giudizio. Negli ultimi anni ha fatturato alla Lega più di 2 milioni di euro. In quel periodo la Lega sapeva di dover restituire allo stato i 49 milioni, pubblicamente ostentava miseria, e allo stesso tempo c’era chi si arricchiva grazie ai fondi del partito come l’imprenditore originario di Casnigo, provincia di Bergamo, e molto amico della coppia Di Rubba e Manzoni. Nello stesso periodo l’antiriciclaggio segnala come dalla società di Barachetti siano partiti bonifici per i commercialisti. Un sospetto che riporta al sistema illustrato da Scillieri, resta da capire, lo faranno i magistrati, se i soldi dati da Barachetti ai commercialisti siano poi finiti in qualche modo nella disponibilità della Lega.
Non è coinvolto nell’inchiesta invece un’altra ditta fornitrice, sempre della provincia di Bergamo, terra dei commercialisti leghisti. L’azienda si chiama Cpz, ha stampato i volantini e i manifesti del partito. La sigla ritorna ripetutamente nei rapporti dell’autorità antiriciclaggio e in quelli della guardia di finanza: in meno di un anno, tra agosto 2018 e luglio 2019, la nuova Lega Salvini premier ha pagato fatture per 1,2 milioni di euro all’impresa Cpz di Marzio Carrara, in passato socio d’affari del commercialisti della Lega Di Rubba.
Sospetti su 8 milioni
L’avvocato di Carrara aveva precisato qualche tempo fa che «dopo molteplici accertamenti da parte della Guardia di finanza, svolti in maniera minuziosa e attenta, non è stato trovato nulla di irregolare. Marzio Carrara non ha ricevuto alcun avviso di garanzia e non è stato neppure chiamato a deporre come persona informata dei fatti, a riprova dell’assoluta estraneità personale e delle aziende che dirige». Al milione e passa arrivato a Cpz da Lega Salvini premier vanno sommati altri 837mila euro versati dalla vecchia Lega nord, tra gennaio 2017 e settembre 2018. In totale dunque quasi 2 milioni, che sommati agli oltre 2 pagati all’altro fornitore, Barachetti, fa 4 milioni abbondanti. Diventano 8 milioni a partire dal 2016 se consideriamo i soldi che Lega e società connesse hanno versato sui conti degli studi e delle aziende riconducibili ai commercialisti Di Rubba e Manzoni. Può un partito in sofferenza spendere così tanto in forniture e servizi? Un dubbio sollevato anche in un’informativa della guardia di finanza finora inedita: «Nel 2019 le uscite della Lega Salvini premier sono state pari a 5,1 milioni, nel 2018 si erano fermate a 1,1 milioni». Buona parte di queste uscite, si legge nell’atto, sono finite alle aziende legate al giro dei commercialisti e dei fornitori bergamaschi. Neppure il milione e mezzo di spese elettorali di quell’anno spiega la crescita esponenziale delle uscite.
Da qui il sospetto certificato nei report degli investigatori finanziari di Banca d’Italia: le aziende e gli studi professionali si «pongono come mero tramite, rendendo, conseguentemente, dubbia l’effettività, oggettiva e soggettiva, delle prestazioni rese da o nei confronti delle stesse e delle giustificazioni causali sottese ai relativi pagamenti». Chi partecipa a questo giro di bonifici e fatture lo scrivono sempre gli esperti dell’antiriciclaggio: «Per quanto riguarda i beneficiari finali dei sopra descritti flussi finanziari, dall’analisi tecnica emergono, in particolare, i nominativi dei commercialisti Alberto Di Rubba, Andrea Manzoni e Giulio Centemero». Tutti uomini di partito, con Centemero parlamentare e tesoriere fedelissimo di Salvini.
Il ruolo del tesoriere
Centemero non è stato coinvolto nell’inchiesta su Lombardia Film Commission. Non lo è neppure nell’indagine di Genova sul riciclaggio dei 49 milioni. È solo sotto processo a Roma e Milano per finanziamento illecito. Il suo nome ricorre spesso nelle relazioni dell’antiriciclaggio. A partire dal giro di denaro che dal partito finisce ad aziende fornitrici, che a loro volta pagano i commercialisti e in alcuni casi il tesoriere stesso. In questi anni su questo punto nessuno ha voluto fornire una spiegazione neppure il leader della Lega, che sui soldi del partito ha adottato la strategia del silenzio. Sempre pronto a coinvolgere i suoi fan per le questioni rientranti nella comfort zone della lotta all’immigrazione, è più riservato quando si tratta di replicare alle anomalie emerse sulla gestione delle finanze leghiste.
Il tesoriere che gode della massima fiducia di Salvini è socio da qualche tempo del nuovo studio dei commercialisti condannati. Le quote di questa azienda, Mdr Stp, sono suddivise tra Di Rubba, Manzoni, Centemero e un altro parlamentare leghista, Stefano Borghesi. Gli investigatori della guardia di finanza hanno segnalato la modalità con cui sono state versate le quote societarie: per i due parlamentari hanno anticipato Di Rubba e Manzoni. Lo studio è stato costituito a ottobre 2018, un mese prima gli avvocati del partito avevano concluso l’accordo con la procura di Genova per rateizzare il debito milionario con lo stato. L’accordo si fondava sul principio che la Lega non aveva tutto quel denaro da poter restituire. Eppure in soli undici mesi, da giugno 2019 a settembre 2020, il nuovo studio di cui è socio il tesoriere incassa dai partiti di Salvini e da Radio Padania oltre mezzo milione di euro, 506mila euro. Quanto una rata annuale del debito da 49 milioni che invece di finire allo stato è stata versata alla società di uomini del partito. Possibile che il partito versi così tanto denaro all’azienda di cui sono soci il tesoriere e un altro deputato del partito? Non c’è conflitto di interessi? Centemero, anche questa volta, non ha riposto.
Nello stesso periodo in cui riceve dalla Lega, lo studio Mdr Stp versa più di 70mila euro a un’azienda di noleggio auto di proprietà anch’essa di uno dei commercialisti. Pure questa è un’operazione che per l’antiriciclaggio è sospetta. Soprattutto perché la ditta di noleggio è di Di Rubba e negli anni ha beneficiato di cospicui bonifici per quasi un milione di euro da parte dei partiti di Salvini: in 4 anni più di 800mila euro, in pratica 200mila euro l’anno per noleggio auto.
Indagini incrociate
La Guardia di finanza e le procure di Genova e Milano sono in possesso di queste segnalazioni di operazioni sospette, inclusa quella sullo studio di cui è azionista Centemero, che non risulta indagato.
Le inchieste sui soldi del partito, a partire dai 49 milioni, seguono molte piste che dalla Liguria conducono in Lombardia.
A Milano, infatti, la partita giudiziaria non si è chiusa con le condanne dei commercialisti. Il filone Film commission è solo un tassello di un più ampio mosaico investigativo che vede indagate almeno dieci persone legate alla galassia dei professionisti del partito. Inchiesta che prosegue rafforzata anche dalle dichiarazioni di Scillieri, uno dei tre commercialisti in affari con la Lega, che è stato perno centrale nell’affare Film commission.
Bad company
Quando poche righe sopra abbiamo scritto partiti, al plurale, avete letto bene, nessun refuso. Nel 2017, infatti, Salvini ha sdoppiato la Lega: Lega nord, il vecchio Carroccio gravato dal debito di 49 milioni di euro con lo stato per la truffa sui rimborsi elettorali; Lega Salvini premier, la nuova formazione sovranista che si è espansa fino in Sicilia e gode di ottima salute finanziaria. Per un periodo Salvini era segretario di entrambe, così come Centemero era tesoriere sia dell’una che dell’altra. Lega Salvini premier era stata domiciliata in uno studio di Milano di proprietà di Scillieri, il commercialista “pentito” finito nei guai con Di Rubba e Manzoni per la compravendita dell’immobile da parte di Lombardia film commission.
L’operazione Lega Salvini premier, presentata come la grande svolta nazionalista del partito del nord per raccogliere consenso al centro sud, è avvenuta nell’anno cruciale della storia giudiziaria della Lega. L’anno in cui i giudici hanno stabilito che i 49 milioni andavano restituiti dalla Lega nord, che è diventata così la bad company. Per capirlo è sufficiente raccontare cosa è accaduto con il 2 per mille. Il contributo volontario dei contribuenti viene devoluto indicando nella dichiarazione dei redditi un codice diverso per ogni partito.
Da quando è nata la nuova Lega Salvini premier persino a Pontida, nel regno sacro della Padania, il codice promosso in ogni dove era quello non della Lega nord ma della Salvini premier. Era il periodo in cui sempre più elettori votavano Lega e il 2 per mille diventava sempre più ricco. Così la vecchia Lega si impoveriva, quei conti nel radar dei tribunali era meglio restassero all’asciutto. Anche perché la Cassazione sui 49 milioni si era espressa chiaramente: «Vanno sequestrati ovunque siano». Nello stesso periodo, a partire dal 2016, dai conti della Lega nord, povera e bastonata dai giudici, partivano bonifici a raffica verso fornitori molto vicini al partito.
Milioni di euro pagati per fatture alle società dei commercialisti leghisti, dell’imprenditore Barachetti e di altri sempre della medesima cerchia. Tutti coinvolti nell’operazione Film commission, il cui esito giudiziario, la condanna dei commercialisti, è solo la punta più visibile di responsabilità politiche che investono la dirigenza del partito.
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