Nemmeno un’ora dopo l’annuncio delle dimissioni di Mancini, il primo a commentare è stato il ministro Abodi. Un messaggio gelido verso la Figc, legato alla candidatura a Euro ’32. E pure quello dei sauditi pare un dispetto
Cose turche. A 48 ore dalle dimissioni del commissario tecnico azzurro Roberto Mancini, che hanno scatenato uno psicodramma di Ferragosto nel calcio italiano, esistono poche certezze ma in compenso proliferano le interpretazioni dietrologiche. Una fra queste porta dritto ai complicati rapporti che esistono tra la federcalcio e il governo di destra-destra. Questioni sparse, piccoli malintesi sedimentati in nemmeno un anno dacché l'esecutivo guidato da Giorgia Meloni è in carica, ma soprattutto un passaggio che negli ambienti di Palazzo Chigi non avrebbero gradito affatto: la scelta di presentare insieme con la Turchia la candidatura per ospitare gli Europei del 2032.
Una mossa da larghe intese che ha consentito alle due federazioni calcistiche di scongiurare l'insuccesso, ricavando una forza dalla somma di due debolezze, ma che al governo in carica avrebbe procurato fastidio. Per motivi che possono ben essere immaginati, da rubricare oltre il perimetro calcistico, sempre che il perimetro calcistico possa essere considerato estraneo alla politica.
Il tempismo
Un dettaglio illuminante c’è. Nel momento in cui lo psicodramma di Ferragosto si è acceso, il governo non è rimasto alla finestra. Nelle ore in cui domenica pomeriggio l'eco della notizia si dilatava, il web impazziva, raccogliendo ipotesi e interpretazioni anche parecchio ardite, si è registrato un passaggio comunicativo piuttosto significativo, presto stratificato sotto le successive ondate di flusso mediale. Era passata meno di un’ora dalla nota delle federcalcio, quando l'agenzia Ansa ha diffuso una dichiarazione del ministro dello sport e dei giovani, Andrea Abodi. La prima voce a commentare, immediatamente dopo l'uscita della notizia, non solo con parole di maniera, ma per dirsi molto perplesso di una decisione giunta così bruscamente. Abodi ha aggiunto pure una postilla, irrituale per il ruolo che ricopre.
Ha posto l'accento sulle nomine già effettuate o ancora da effettuare per la composizione dello staff della nazionale. Si è chiesto se il commissario tecnico dimissionario le avesse concordate. Un'esternazione specifica, con tanto di dubbio seminato lì, stridente nelle ore in cui tutti cercavano di capire le ragioni di una scelta.
Se ne deve dedurre qualcosa? Troppo poco per dire che c’è qualche insofferenza governativa verso la leadership Figc? Il ministro Abodi ha affermato di essere venuto a conoscenza delle dimissioni dai media, non da Mancini. Ciò non esclude che possa avere raccolto un disagio dell'ex Ct prima che quelle dimissioni fossero presentate tramite una Pec spedita da Mykonos. I due hanno molti e diversi legami.
Oltre che amici, sono politicamente affini, dentro la stessa area di pensiero, soprattutto frequentano entrambi il Circolo Canottieri Aniene. Assieme al presidente onorario e presidente del Coni, Giovanni Malagò, sono pure compagni nella squadra di calcetto che a metà luglio ha spezzato le reni al Circolo Canottieri Lazio conquistando la Coppa Over 60.
Quel giorno Abodi non era in campo e Malagò ne è uscito rapidamente a causa di problemi muscolari. Invece l’ex Ct è andato a segno, e quel gol rimarrà per un pezzo la sua ultima gloria calcistica italiana.
Tornando alle parole del ministro va anche ricordato che, nell'immediato della divulgazione della notizia sulle dimissioni, la questione dello staff era stata indicata come il motivo principale dell'addio da parte di Mancini, con l'eventuale ruolo del difensore juventino Leonardo Bonucci a costituire motivo di particolare frizione.
Col passare delle ore questa lettura dei fatti si è svelata in tutta la sua inconsistenza, lasciando spazio all'ipotesi dell'offerta saudita che invece dovrà essere verificata o confutata nel breve periodo. Basta rimanere in attesa degli eventi, che sono il giudice più obiettivo.
I 40 milioni
Proprio l'offerta della federcalcio saudita è la questione impossibile da eludere. Si parla di 40 milioni di euro annui per un triennio, con accordo da firmare a giorni e il programma degli impegni agonistici già stilato. Nonostante l'esorbitante quantità di denaro investito per la crescita del proprio movimento calcistico, i sauditi non hanno ancora trovato un commissario tecnico di profilo internazionale cui affidare la propria rappresentativa.
Il tentativo di affidare l'interim al portoghese Jorge Jesus, tecnico dell'Al Hilal di Milinkovic Savic, è andato a vuoto nei mesi scorsi perché l’interpellato non se l'è sentita di far fronte al doppio incarico. In siffatta situazione, la prospettiva di affidare la nazionale al commissario tecnico campione d’Europa in carica sarebbe un rilancio importante e l'ennesima conferma che il calcio saudita prova a rastrellare il meglio sul mercato, lasciandosi alle spalle l'etichetta da cimitero degli elefanti che fino a un anno fa gli veniva associata.
Ma fatta la tara di ogni considerazione sull'irrinunciabilità della proposta economica, rimarrebbe da vedere come il Ct dimissionario giustificherebbe di fronte all’opinione pubblica italiana la scelta di andare ad allenare i sauditi, dopo avere bruscamente mollato la panchina della nazionale azzurra, per di più a così stretto giro. Serviranno ben altri argomenti che la composizione dello staff della nazionale per spiegare. E anche spin doctor di tutt’altra levatura.
Una questione politica
Il momento è delicato nei rapporti fra calcio e politica, a qualsiasi livello. La lettura che chiama in causa il dispetto governativo verso la Figc per la candidatura condivisa con la Turchia di Erdogan è plausibile ma non dimostrata. Così come indimostrata ma altrettanto plausibile sarebbe la voglia di fare uno sgarbo alla Figc da parte dei sauditi. Come raccontato il mese scorso da Domani, nel 2020 il governo saudita e la sua federazione (con l’appoggio del presidente Fifa, Gianni Infantino) provarono a fare pressione sulla Figc per costruire una candidatura in associazione per l’edizione 2030 dei Mondiali.
Venne tirato dentro alla partita anche l’allora premier Giuseppe Conte, ma infine non se ne fece nulla per indisponibilità della federazione italiana che puntava a organizzare gli Europei 2032. I sauditi (e Infantino) non la presero bene. E adesso che possono restituire ciò che hanno preso come uno sgarbo, non si lasciano scappare l’occasione.
Sia sul piano interno che su quello internazionale, lo scenario politico per la Figc pare alquanto periglioso. Una volta risolta la questione della panchina (Luciano Spalletti è il candidato), sarà indispensabile dedicarsi a questo dossier.
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