- Rispondendo alle domande dei gesuiti durante il suo recente viaggio in Africa, Bergoglio ha affermato non solo che le sue dimissioni non sono all’ordine del giorno, ma anche che la natura del ministero petrino rimane “ad vitam”
- La morte del papa emerito ha permesso una maggior chiarezza circa il proseguimento del pontificato che il prossimo 13 marzo compirà 10 anni
- Fra gli impegni già in calendario di papa Francesco ci sono i viaggi a Lisbona, Marsiglia e forse in Mongolia nel 2023, oltre al sinodo che si concluderà a Roma nel 2024 e al Giubileo dell’anno seguente
Altro che dimissioni, il papato è un incarico a vita e tale resta nonostante la rinuncia di Benedetto XVI. Il precedente del papa tedesco, insomma, resta un’importante eccezione di cui tenere conto ma non deve diventare una prassi. Francesco ha aggiunto, in questi termini, un nuovo tassello – definitivo – alla “querelle” che si trascina da qualche tempo sulle sue possibili dimissioni. In una conversazione con i gesuiti della Repubblica democratica del Congo e del Sud Sudan svoltasi durante il recente viaggio in Africa e pubblicata dalla Civiltà Cattolica, Bergoglio ha risposto anche a un paio di domande relative alla sua ipotetica rinuncia. Come pure era già accaduto nei mesi scorsi in diverse interviste, il pontefice ha ripetuto che le sue dimissioni non sono all’ordine del giorno, ma stavolta ha aggiunto un passaggio in più: ha spiegato infatti che la natura del ministero petrino non è cambiata, quello di papa resta un incarico “ad vitam”, secondo quanto dice la tradizione.
Speranze deluse
In tal modo ha levato d’un sol colpo un argomento decisivo ai suoi detrattori più accesi, l’area tradizionalista intransigente, che speravano in una sua imminente rinuncia dovuta in parte all’età e ai problemi di salute, in parte al fatto che il papa emerito fosse deceduto la qual cosa sembrava potesse aprire la strada alla rinuncia di Francesco. Va anche ricordato che uno degli oppositori più decisi del papa argentino, il cardinale tedesco Ludwig Gerhard Müller, ex prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, aveva a sua volta criticato Joseph Ratzinger per aver deciso di dimettersi da papa, una scelta che non auspicava fosse seguita da Francesco perché appunto infrangeva la tradizione, mentre un papa deve restare in carica se necessario fino al martirio.
In questo gioco delle parti, una cosa sembra certa: la morte del papa emerito ha permesso una maggior chiarezza circa il proseguimento del pontificato che il prossimo 13 marzo compirà 10 anni. Fra gli impegni già in calendario di papa Francesco, vanno considerati i viaggi a Lisbona, Marsiglia e forse in Mongolia nel 2023. Poi c’è il sinodo che si sta svolgendo in tutto il mondo e si concluderà a Roma nel 2024, l’anno successivo invece si celebrerà il Giubileo.
Le dimissioni restano l’eccezione
«È vero che io ho scritto le mie dimissioni due mesi dopo l’elezione», ha detto Francesco parlando con i suoi confratelli, «e ho consegnato questa lettera al cardinale Bertone. Non so dove si trovi questa lettera. L’ho fatto nel caso che io abbia qualche problema di salute che mi impedisca di esercitare il mio ministero e di non essere pienamente cosciente per poter rinunciare. Questo però non vuol affatto dire che i papi dimissionari debbano diventare, diciamo così, una “moda”, una cosa normale».
«Benedetto», aggiungeva Bergoglio, «ha avuto il coraggio di farlo perché non se la sentiva di andare avanti a causa della sua salute. Io per il momento non ho in agenda questo. Io credo che il ministero del papa sia ad vitam. Non vedo la ragione per cui non debba essere così. Pensate che il ministero dei grandi patriarchi è sempre a vita. E la tradizione storica è importante. Se invece stiamo a sentire il “chiacchiericcio”, beh, allora bisognerebbe cambiare papa ogni sei mesi!».
In realtà, Francesco non cancella la possibilità di lasciare il ruolo che ricopre se la salute non glielo consentisse più, ma colloca la scelta nell’ambito delle decisioni prese a livello personale, non “istituzionalizza” la rinuncia; il che spiega probabilmente perché non ha voluto regolamentare la figura del papa emerito, spiegando solo, in un’altra intervista che, semmai toccasse a lui, preferirebbe il titolo di vescovo emerito di Roma. Infine quel riferimento al “chiacchiericcio” ha il suo peso: le troppe voci e i sommovimenti da pre-conclave che come un rumore di fondo si sono susseguiti dall’estate scorsa fino alle settimane successive alla scomparsa di Benedetto XVI, non sono piaciuti al papa.
Sono un conservatore
Nella stessa occasione, poi, Francesco rispondeva ad un’analoga domanda relativa al Generale dei gesuiti, se cioè quell’incarico dovesse essere considerato a vita o meno. «Circa la Compagnia di Gesù», rispondeva Francesco, «sì, su questo io sono “conservatore”. Deve essere a vita. Ma, ovviamente, si pone la stessa questione che riguarda il papa. Padre Kolvenbach e padre Nicolás, gli ultimi due precedenti Generali, hanno lasciato per motivi di salute (rispettivamente nel 2008 e nel 2016, ndr). Mi sembra importante ricordare pure che un motivo del generalato a vita nella Compagnia nasce anche per evitare i calcoli elettorali, le fazioni, il chiacchiericcio».
Bisogna tenere presente che quanto avviene nella Compagnia di Gesù non di rado anticipa le scelte che saranno compiute dalla chiesa universale.
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