Gli “imperi” criminali spesso cadono nello stesso modo in cui nascono: con la “guerra”. Ma le spaccature, almeno nelle famiglie mafiose più longeve, arrivano quasi sempre da scosse interne. Le famiglie Schiavone e Bidognetti hanno formato insieme una vera e propria dinastia criminale per oltre 30 anni. Francesco Schiavone detto “Sandokan” e Francesco Bidognetti “cicciotto ‘e mezzanotte” sono da sempre considerati i capi assoluti del clan dei Casalesi e da sempre sono stati un’unica cosa nella gestione del potere. Un potere conquistato con il sangue prima, uccidendo Antonio Bardellino (fondatore del gruppo) e i suoi parenti, e vincendo la faida interna con la fazione dei De Falco poi.

Ma come ogni dinastia criminale basata sui legami di sangue, prima o poi il potere passa ai figli. Quello che oggi troviamo sullo sfondo è qualcosa di impensabile fino ad alcuni anni fa: il pericolo di una faida interna per il controllo del territorio alimentata dagli eredi dei due capi storici.

Della famiglia di Francesco Schiavone resta ben poco: due figli pentiti, Nicola e Walter, più la moglie Giuseppina Nappa, insieme alle due figlie, nel programma di protezione. Francesco Bidognetti avrebbe invece passato il testimone al figlio Gianluca. Un figlio pentito anche per cicciotto ‘e mezzanotte, Raffaele.

Pentito non pentito

Venerdì 29 marzo 2024, il quotidiano locale Cronache di Caserta rivela: «Si è pentito Sandokan». Ma perché il capo dei capi del casertano ha scelto di pentirsi dopo 26 anni di 41 bis? Martedì 16 aprile 2024, due settimane dopo, viene scarcerato il figlio Emanuele Libero, una coincidenza che non passa assolutamente inosservata. Padre e figlio hanno un rapporto particolare, che si evidenzia nel 2019, proprio come raccontato da questo giornale: Francesco Schiavone all’epoca chiedeva di lavorare all’interno del carcere come addetto alla pulizia e alla consegna dei pacchi, segnale di un intento di collaborazione con lo Stato.

Arriva però il veto del figlio e Sandokan fa marcia indietro. Emanuele ha un solo obiettivo: ricostruire il clan. Si comporta come capo già in carcere, tesse alleanze ed emette sentenze. Siamo nel 2021, dal carcere Emanuele fa sapere a Gianluca Bidognetti che una volta fuori non potrà fare ritorno a Casal di Principe ma dovrà recarsi in “esilio” a Castel Volturno insieme alla sorella e al marito di quest’ultima, che un anno dopo si pente. Se l’ordine d’esilio e il pentimento siano strettamente collegati è difficile da dire, ma la spaccatura tra i Bidognetti e gli Schiavone comincia a diventare seria.

Intanto la collaborazione di Sandokan è giunta al capolinea dopo 90 giorni. Sandokan non è stato ritenuto attendibile, il doppio gioco gli è costato il ritorno al carcere duro che ben conosce. Non era quasi più un mistero che avesse scelto di pentirsi per minare la credibilità criminale del figlio (per salvarlo?) e svuotarlo di ogni autorità.

Domani ha infatti raccontato non solo i dubbi che da settimane cominciavano ad aleggiare intorno alla collaborazione di Sandokan, ma anche del colloquio che entrambi avevano avuto in carcere, dove Schiavone padre rivela l’intenzione di collaborare e invita il figlio a fare altrettanto, ottenendo un secco rifiuto.

L’erede scalpita

Montesquieu diceva: «Un impero fondato sulla guerra deve conservare sé stesso con la guerra», ma di quell’impero oggi non è rimasto quasi nulla. Emanuele Schiavone ha però in testa una cosa sola. Il 16 aprile torna a Casal di Principe, in via Bologna.

Prima di uscire di galera si sarebbe assicurato l’appoggio di pochi fedelissimi ancora presenti sul territorio, e in particolare quello dei Reccia di San Cipriano d’Aversa. Oreste Reccia, storico luogotenente di Sandokan, avrebbe garantito la sua alleanza tramite il figlio Francesco, 21 anni. Da aprile a oggi, non appena Emanuele Libero ha rimesso piede a Casale, sul territorio la tensione è arrivata alle stelle.

Appena scarcerato si sarebbe reso responsabile di un paio di aggressioni ad alcuni esponenti dei Bidognetti per questioni riguardanti lo spaccio. L’8 e il 9 giugno nel casertano ci sono state le elezioni amministrative. Nella notte tra il 7 e l’8 una sventagliata di mitra rimbomba a pochi passi dal Comune, episodio isolato? Per niente, perché proprio fuori casa degli Schiavone qualcuno esplode numerosi colpi d’arma da fuoco.

Ma se due indizi non fanno una prova, tre probabilmente sì. Martedì 11 giugno in via Ovidio a San Cipriano d’Aversa sparano anche fuori casa di Francesco Reccia. Il 15 giugno vengono arrestati Emanuele Schiavone, aveva diverse ferite dovute a un incidente in moto avuto alcuni giorni prima, e Francesco Reccia, con l’accusa di di detenzione e porto illegale di armi da sparo in luogo pubblico con l'aggravante mafiosa. Probabilmente i due stavano per rispondere al fuoco. Gli avvocati intanto hanno già fatto istanza di scarcerazione.

Lo zoccolo duro delle vecchie famiglie è quasi del tutto inesistente, gli stessi Bidognetti si servirebbero di alcune paranze sul territorio nel contrasto a Emanuele, a cui è rimasto veramente poco per riaffermarsi, ma il rischio di episodi di sangue resta molto altro. Se ne sono accorti anche gli abitanti del territorio che dal giorno degli spari hanno organizzato diversi cortei per strada per dire no alla camorra.

Gli spari il giorno delle elezioni sanciscono un messaggio chiaro, probabilmente mandato proprio dai Bidognetti all’indirizzo di quel che resta degli Schiavone: «Siete fuori da ogni dinamica di potere». E il fatto che Francesco Schiavone sia tornato al 41bis probabilmente alimenterà ulteriori tensioni, padre e figlio adesso sono accomunati da una cosa: non hanno più nulla da perdere.

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