Un disegno di legge prevede di inserire i “negazionisti” delle foibe accanto a quelli dell’olocausto. «Vogliono vietare di dire la verità e trasformare la bugia in storia di stato», dice lo storico Eric Gobetti
Fratelli d’Italia ha depositato in Senato un disegno di legge per equiparare le foibe, cioè le uccisioni compiute sul confine orientale durante e alla fine della Seconda guerra mondiale dai partigiani jusgoslavi, con il genocidio degli ebrei portato avanti dal regime nazista. La discussione sul disegno di legge comincerà la prossima settimana in commissione giustizia al Senato.
La proposta
La proposta di legge, presentata dal capogruppo di FdI al Senato Luca Ciriani, prevede di modificare l’articolo 604 bis del codice penale, che attualmente prevede pene da due a sei anni per la «propaganda», «l'istigazione e l'incitamento» alle discriminazioni fondate sulla «negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull'apologia della Shoah» o «dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra». I senatori di FdI propongono di aggiunge, dopo la parola Shoah, anche «dei massacri delle foibe».
Eric Gobetti, storico e autore di E allora le foibe?, un libro uscito l’anno scorso in cui cerca di ricostruire e separare la verità storica sui fatti del confine orientale dalla sua crescente politicizzazione, ritiene che la proposta punti a prendere di mira gli storici che, come lui, hanno cercato di riportare la vicenda alle sue proporzioni storiche.
Lui stesso è stato più volte contestato e attaccato da esponenti di estrema destra e di Fratelli d’Italia, compresa le leader del partito Giorgia Meloni. Il suo nome è stato fatto più volte quando la regione Veneto ha discusso l’approvazione di una proposta di legge regionale per proibire il finanziamento di chi si rende responsabile di «riduzionismo» o «negazionismo» nei confronti dei crimini del confine orientale. Un proposta che lo storico Daniele Susini, direttore del Museo Linea Gotica Orientale e autore di La resistenza ebraica in Europa, ha definito su Domani «un abominio storiografico e democratico».
L’invasione e le foibe
La vicenda dei massacri sul confine orientale è complessa e suscita ancora oggi passioni molto forti. Comincia nell’aprile del 1941, quando l’Italia fascista insieme alla Germania nazista invase la Jugoslavia. L’occupazione fu brutale e si calcola che circa un milione di persone, circa la metà civili, morirono nei combattimenti, nelle rappresaglie e negli scontri tra i vari gruppi di partigiani e miliziani jugoslavi, questi ultimi spesso appoggiati dai nazifascisti.
Negli ultimi anni della guerra, i partigiani jugoslavi guidati dal leader comunista Tito riconquistarono il territorio perso e arrivarono ad occupare anche i territori abitati da popolazioni miste, italiane e slave, che fino allo scoppio della guerra appartenevano all’Italia. Ci furono brutali rappresaglie e violenze. I corpi di centinaia di persone, spesso ex militari, funzionari del governo italiano o del partito fascista, ma anche civili slavi considerati collaborazionisti, furono gettati nelle miniere e nei pozzi naturali tipici di quel territorio, le foibe, appunto. Alla fine, centinaia di migliaia di italiani abbandonarono i territori occupati. I numeri delle vittime sono tutt’ora molto dibattuti, ma si tratta di cifre nell’ordine delle migliaia.
«Ciò che unisce l’olocausto e i massacri sul confine orientale è che sono ovviamente due episodi di violenza che avvengono nello stesso contesto storico – spiega Gobetti - Tutto il resto rende le due vicende totalmente dissimili. Da un lato abbiamo il tentativo di sterminio di un intero popolo, un caso unico anche per la dimensione straordinaria, non solo per quanto riguarda i numeri assoluti, ma anche come percentuale di quella popolazione oggetto del massacro».
Dall’altro, prosegue: «Abbiamo un episodio di violenza politico militare paragonabile ad altre centinaia di episodi simili. Circa 4 o 5mila persone uccise perché identificate come nemici politici o militari di chi ha assunto il controllo di un territorio. Sostanzialmente si tratta di violenza che non hanno nulla a che fare con la volontà di sterminare un popolo e colpiscono in stragrande maggioranza uomini adulti».
Nel suo libro, Gobetti ricorda che i numeri della violenza politica sul confine orientale sono paragonabili, e addirittura più bassi, del numero di uccisioni e rappresaglie avvenute in Italia negli ultimi mesi e dopo la fine della guerra.
Opposte narrazioni
Per Fratelli d’Italia e per l’estrema destra italiana, le cose stanno diversamente. Il mito di un genocidio di italiani di vaste proporzioni compiuto dagli slavi e dai comunisti e volontariamente dimenticato dagli storici è divenuto negli ultimi anni un elemento centrale della normalizzazione di questa parte politica, alimentata da una cospicua produzione di libri, film e articoli di giornale.
Questa narrazione è stata assunta, almeno in parte, dalla storia ufficiale italiana. Nel 2004, ad esempio, l’allora governo Berlusconi decide di istituire una Giornata del ricordo delle vittime delle foibe, fissata il 10 febbraio, pochi giorni dopo la Giornata della memoria delle vittime dell’Olocausto, introdotta per legge nel 2000. Da allora, il ricordo e di quegli eventi è diventato parte integrante della memoria ufficiale italiana, celebrata da capi di stato e di governo, da partiti di destra e di sinistra.
Il risultato è che la storia ufficiale di quegli anni «ha tanti punti oscuri ed è molto imprecisa, soprattutto per quanto riguarda le cifre delle vittime», dice Gobetti. Così «quelli che vengono accusati di negazionismo o riduzionismo sono gli storici che si rifanno ai fatti, che collocano la vicenda nel suo contesto e cercano di spiegarla. Si vorrebbe vietare la verità e far diventare la bugia narrazione di stato. È una situazione orwelliana».
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