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«Ho passato tutta l’estate del 2001 a tossire, facevo dentro e fuori l’ospedale. I medici pensavano fosse Aids, invece erano i gas CS di Genova».
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Laura Corradi ha 60 anni. A luglio di 20 anni fa si trovava nel capoluogo ligure per manifestare con il Genoa social forum contro il modello di globalizzazione neoliberista promosso dai potenti del G8.
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Corradi è una delle vittime di quella che l’allora senatore Francesco Martone ha definito «la più grande operazione di guerra chimica mai effettuata dall’Italia in tempo di pace». Oggi lei e molti altri ne portano ancora le cicatrici.
«Ho passato tutta l’estate del 2001 a tossire, facevo dentro e fuori l’ospedale. I medici pensavano fosse Aids, invece erano i gas CS di Genova». Laura Corradi ha 60 anni e insegna Studi di genere e metodo intersezionale all’Università della Calabria. A luglio di 20 anni fa si trovava nel capoluogo ligure per manifestare con il Genoa social forum contro il modello di globalizzazione neoliberista promosso dai potenti del G8. Doveva tornare a casa finito l’evento, invece è rimasta altro tempo in città: stava troppo male per mettersi in viaggio. Corradi è una delle vittime di quella che l’allora senatore Francesco Martone ha definito «la più grande operazione di guerra chimica mai effettuata dall’Italia in tempo di pace». Oggi lei e molti altri ne portano ancora le cicatrici.
Un’arma da guerra
Il CS è la sigla che identifica l’orto-clorobenziliden-malononitrile, un composto chimico adoperato a fini lacrimogeni e vietato in guerra dalla Convenzione mondiale sulle armi chimiche del 1993, firmata anche dall’Italia. Una legge italiana del 1975 classifica i CS come armi da guerra di terza categoria, cioè armi chimiche. Eppure questa miscela che nell’immediato causa bruciore cutaneo e oculare, nausea, tosse e problemi respiratori, è stata usata in tempo di pace per questioni di ordine pubblico. Un decreto del 1991 autorizza la dotazione per gli agenti di «artifici contenenti una miscela di CS o similari». Servono per far disperdere la gente puntando sui suoi effetti “reversibili”, almeno secondo il testo pubblicato in Gazzetta. Numerosi studi e i fatti di Genova raccontano però un’altra storia.
Nei giorni del G8 sono stati esplosi dalle forze dell’ordine almeno 6.200 candelotti CS, secondo una relazione della Commissione parlamentare. Un bombardamento che ha avvolto i manifestanti in una nuvola perenne di agenti chimici. «Le strade erano piene di animali morti, piccioni, cani, gatti randagi», ricorda Corradi. Lei aveva già sofferto i lacrimogeni qualche mese prima a Napoli, nelle prove generali di quanto sarebbe successo a Genova. Ecco perché alle manifestazioni di luglio si era presentata con una maschera antigas. «Mi ha permesso di stare più tempo in mezzo alle nuvole, di soccorrere le persone che stavano male. A un certo punto non respiravo più, ho cominciato a soffrire anch’io», spiega. La sua maschera non aveva i filtri per quei tipi di gas, così come non li avevano quelle dei poliziotti: «Ho visto agenti cadere per terra, vomitare, togliersi il casco come stava succedendo a noi».
Nei mesi successivi il Sindacato italiano unitario lavoratori polizia (Siulp) si è fatto sentire, troppi gli agenti che ancora accusavano problemi respiratori e dermatiti. Secondo la testimonianza dell’allora vicesegretario Luigi Notari, un collega era stato operato al colon per le complicazioni legate all’inalazione continuata del CS. Ma la salute è stata compromessa anche per tante altre persone. Corradi non è mai guarita dagli effetti nefasti dei gas respirati a Genova e anno dopo anno la situazione è andata peggiorando. «Dopo vari esami mi hanno riscontrato una broncopatia cronico-ostruttiva, ho perso più del 40 per cento delle mie capacità respiratorie», spiega. Per lungo tempo si è dovuta portare dietro una bomboletta di cortisone, intanto la sua sensibilità a fumo, polvere e tutto ciò che potesse turbare la respirazione è andata aumentando. «Soffro di sensibilità chimica multipla, una malattia innescata dall’esposizione al CS. A causa di questo oggi non posso più mangiare molti alimenti, per me anche l’odore di un soffritto col peperoncino è un problema».
Corradi ha smesso di nuotare e di svolgere altre attività fisiche. Ogni mattina fa yoga, focalizzandosi sugli esercizi di respirazione. È riuscita a ricostruirsi una vita normale, dove però continuano a essere presenti ostacoli legati alle sue patologie.
Nausea, bruciore e irritazione
Come lei, in molti ancora oggi subiscono le conseguenze di quell’attacco chimico. Gianni Santori era tra i manifestanti e aveva con sé solo un fazzoletto per proteggersi. Nel complesso è stato esposto per circa un’ora ai fumi dei lacrimogeni. Di quelle fasi ricorda la nausea, il bruciore, l’irritazione alla gola. I veri problemi sono cominciati però dal settembre successivo, con difficoltà respiratorie e l’inizio di una nuova vita a base di medicinali e trattamenti sanitari. Ci sono persone che a distanza di tempo hanno continuato a soffrire di tosse con perdita di sangue, affaticamento e difficoltà respiratorie. Alla magistratura sono arrivate decine di denunce, evidentemente nei lacrimogeni c’era qualcosa che non andava.
Un articolo del Journal of the American Medical Association ha espresso preoccupazione per le possibili conseguenze mediche di lungo termine come tumori, effetti sull’apparato riproduttivo e malattie polmonari. Una ricerca delle Università di Genova e Pisa ha rilevato come «sostanze di questo tipo rappresentano un pericolo per l’uomo a causa dei loro possibili effetti mutageni», da cui possono derivare difetti genetici ereditari e cancri. Massimo Zucchetti, professore del Politecnico di Torino, in un paper del 2014 cita un’ampia letteratura che lega l’esposizione al gas con gli aborti spontanei, inoltre quando la sostanza viene metabolizzata è possibile riscontrare del cianuro (vietato dalla convenzione del 1993) all’interno dei tessuti umani. Altre ricerche mettono in guardia dai danni al fegato e al cuore. Sono tante le problematiche sollevate dalla ricerca scientifica, su cui resta ancora oggi grande incertezza. Mancano i dati epidemiologici sul lungo termine, non c’è chiarezza sugli effetti tossicologici causati dall’esposizione prolungata ai gas. Si continua a brancolare nel buio, a chiudere gli occhi sulle ferite ancora aperte e irreversibili che si portano dietro i protagonisti di quel luglio di 20 anni fa. E il CS, intanto, viene ancora utilizzato.
Non solo Genova
In Val di Susa questi lacrimogeni sono diventati una costante contro il movimento No Tav. Il picco si è avuto tra il 2011 e il 2012, in un’occasione gli agenti hanno atteso che i manifestanti si trovassero sotto una galleria per sparare un numero indefinito di bossoli chimici e amplificarne così gli effetti. Negli anni successivi la situazione non è cambiata, con gli spari spesso effettuati ad altezza uomo. Quando sale la tensione i cilindri al CS tornano a rotolare sulle strade e i campi piemontesi, ma hanno fatto la loro comparsa anche in altri contesti. Sono stati lanciati per esempio contro un corteo No Muos a Niscemi, in provincia di Caltanissetta, l’estate scorsa; a un picchetto di sindacati alla Tnt di Piacenza a febbraio; alla Ceva di Stradella contro i dipendenti in sciopero a inizio giugno.
In generale, ogni volta che le forze dell’ordine sparano lacrimogeni c’è una buona possibilità che si tratti di dispositivi al CS. Di solito sono lanci isolati, motivo per cui non si riscontrano effetti collaterali a lungo termine tra le persone colpite. A Genova e in Val di Susa la situazione è stata diversa. Il professor Zucchetti sottolinea che se al G8 le complicazioni legate al gas erano dovute all’uso massiccio in un tempo limitatissimo, in Val di Susa il problema sta nell’esposizione prolungata negli anni tanto degli attivisti quanto dei poliziotti. Di recente si sono verificate altre situazioni di rischio estremo, come lo scorso dicembre quando lacrimogeni al CS sono stati usati nell’ambiente chiuso del Centro permanente per i rimpatri (Cpr) di Ponte Galeria per bloccare un tentativo di fuga. Come sottolinea uno studio tedesco, se non si utilizzano maschere antigas e si è in un luogo non ventilato c’è la possibilità che l’esposizione al gas possa contribuire o causare effetti letali.
In questi anni il CS ha continuato a far male nel silenzio. Quello stesso governo che a luglio 2001 ordinava di gasare migliaia di manifestanti, dopo gli attentati dell’11 settembre inviava una circolare urgente per segnalare il pericolo che al Qaeda potesse compiere attacchi con armi chimiche «come il CS», con rischi di edema polmonare e soffocamento. «Sapevano che questi gas erano proibiti e producevano lesioni permanenti, ma hanno voluto usarli lo stesso per farci del male, così come hanno voluto fare del male alla Diaz e a Bolzaneto. Il movimento che metteva in discussione il vecchio mondo, che diceva che un altro mondo è possibile, doveva essere zittito a ogni costo», chiosa Corradi. «Io ho subito un danno fisico pesante, equivalente al danno sociale e politico. Per le mie patologie ho dovuto smettere di partecipare a riunioni e cortei, mi sono dovuta auto-escludere da tutta una serie di rapporti sociali, di attivismo, riducendo il mio impegno politico».
Lo stato non ha ancora dato risposte su cosa abbiano realmente respirato lei e agli altri che ancora oggi si portano dietro le ferite di quei giorni. Intanto molte delle problematiche emerse a Genova non sono ancora state sanate. L’uso reiterato del gas CS è una di queste.
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