Nittoli, Barsoum e Di Matteo sono stati fermati giovedì vicino mentre stavano andando a seguire un’iniziativa di Ultima generazione, che manifestava di fronte al ministero del Lavoro. La polizia ha impedito loro di svolgere il loro mestiere: identificati, perquisiti e messi nella cella di sicurezza. Il fotoreporter Serranò: «Mai visto qualcosa del genere». Il Viminale smentisce
Dopo i casi di Messina e Padova è successo anche a Roma. Tre giornalisti sono stati fermati dalla polizia mentre seguivano la manifestazione di Ultima generazione, il gruppo che si batte contro i cambiamenti climatici con atti di disobbedienza civile non violenti. Poi sono stati identificati, portati in caserma e perquisiti. Protagonisti della vicenda sono la giornalista del Fatto quotidiano Angela Nittoli, il fotografo del Corriere della Sera Massimo Barsoum e il video maker freelance Roberto Di Matteo.
I tre sono stati fermati poco dopo le 10 di giovedì mattina vicino a via XX settembre mentre stavano andando a seguire un’iniziativa di Ultima generazione, che manifestava di fronte al ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, alla quale poi non hanno potuto assistere.
Nittoli, Barsoum e Di Matteo si sono imbattuti in un gruppo di poliziotti e di agenti in divisa che dapprima hanno chiesto loro i documenti. I colleghi si sono subito identificati come giornalisti e hanno fatto vedere i tesserini. Una vicenda in cui non c’era rischio di fraintendimento.
Trattenuti e perquisiti
Dopo un primo controllo in strada sono stati portati nel commissariato di zona dove la polizia li ha trattenuti per circa mezz’ora: Nittoli, Barsoum e Di Matteo non hanno potuto usare il proprio cellulare. «Continuavano a dirci: “Aspettate dieci minuti, poi vi lasciamo andare”» ha raccontato Nittoli. Poco dopo, è arrivata una volante su cui i giornalisti sono stati fatti salire, gli agenti hanno detto loro di mettere i telefoni e gli zaini con l’attrezzatura nel bagagliaio dell’auto. Arrivati nel commissariato di Castro Pretorio, Nittoli è stata accompagnata in bagno da una poliziotta che non le ha consentito di chiudere la porta. Gli agenti l’hanno perquisita fisicamente e poi hanno controllato zaino e marsupio.
Nittoli, Barsoum e Di Matteo sono stati portati in una cella di sicurezza molto piccola. La porta è rimasta aperta, ma i tre venivano controllati a vista dai poliziotti. Alla loro richiesta di essere spostati in sala d’attesa, visto che al commissariato iniziavano ad arrivare anche gli attivisti di Ultima generazione, la polizia ha detto loro che non stavano sporgendo denuncia, ma su di loro stavano effettuando dei “controlli di sicurezza”.
Dopo un paio d’ore la polizia ha rilasciato i giornalisti, non consentendo loro di documentare l’azione degli attivisti, che nel frattempo era avvenuta. Nittoli parla di «sorveglianza» per descrivere il tempo che ha passato in commissariato.
«Faccio questo lavoro da venti anni e non mi era mai capitato di essere trattenuta dalla polizia, sono stata identificata altre volte ma mai portata in commissariato», ha commentato Nittoli.
L’attacco alla stampa
Ultima generazione in un comunicato definisce l’episodio come «ennesimo atto intimidatorio che dipinge la caduta di un pilastro fondamentale della nostra democrazia: la libertà di stampa».
«Non può passare nel silenzio questo atto di chiara intimidazione nei confronti di operatori dell’informazione», ha commentato la rete No Bavaglio riguardo alla vicenda che ha coinvolto i giornalisti. «Un atto autoritario che vuole chiaramente comprimere e condizionare la libertà dei giornalisti di documentare e raccontare il dissenso nel nostro Paese».
Ma questo non è stato l’unico caso in cui i giornalisti sono stati fermati: a Messina a novembre 2023 e a Padova ad aprile di quest’anno si è ripetuta la stessa cosa: due giornalisti sono stati fermati dalla polizia e sono stati trattenuti per ore nei commissariati locali, senza la possibilità di utilizzare il telefono.
Mentre Pd, M5s e Avs chiedono al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi spiegazioni sull’accaduto, Alessandro Serranò, fotoreporter di Agf, ha descritto l’azione della polizia: «La polizia è stata più repressiva oggi, stavano aspettando i manifestanti per prevenire l’azione ma l’hanno fatto male: hanno buttato a terra gli attivisti e poi ne hanno ammanettati quattro. Non ho mai visto la polizia farlo, nemmeno durante gli scontri con i black bloc. In vent’anni di lavoro non ho mai visto mettere le manette a nessuno».
Dura la reazione della Federazione nazionale della stampa: «Il caso di Roma è il terzo in pochi mesi. In precedenza c’erano stati quelli di Messina e Padova, dopo i quali Fnsi e Ordine dei giornalisti avevano chiesto un incontro con il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi».
Il sindacato spiega che «dopo quello che è accaduto oggi, appare invece evidente che esista una linea di intervento per scoraggiare i cronisti dal documentare i blitz di questi attivisti». Un’ipotesi smentita però dal Viminale: se la questura di Roma ha spiegato che i tre cronisti sono stati portati in commissariato perché «non hanno dichiarato o dimostrato di essere giornalisti», a differenza di altri colleghi che «hanno continuato a fare il loro lavoro» dopo il controllo, il dipartimento di polizia ha chiarito che non esiste alcuna nuova «modalità operativa».
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