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Nell’inchiesta c’è un gruppo di indagati, sui nomi però non trapela nulla. Sappiamo che di questo elenco non fa parte Toti: il motivo è che non ha mai avuto ruoli ufficiali nei board dei comitati e delle fondazioni che a lui fanno riferimento. Intanto la finanza ha acquisito mesi fa documenti nelle sedi delle società di alcuni finanziatori.
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C’è però una traccia che potrebbe spostare l’orizzonte investigativo oltre il semplice finanziamento. Perché dalle delibere regionali ottenute da Domani emergono possibili conflitti di interessi di chi ha dato soldi a Toti e negli stessi anni otteneva pareri favorevoli dalla giunta regionale.
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Nella migliore delle ipotesi sono coincidenze che potrebbero configurare “solo” plurimi conflitti di interessi, condannabili secondo i principi dell’etica e della trasparenza, ma non punibili secondo il codice penale.
Tira una brutta aria nel palazzo della regione Liguria governata da Giovanni Toti. E non è colpa della tramontana che soffia forte da queste parti. È piuttosto la previsione di un burrascoso futuro che porta con sé i sospetti di finanziamenti illeciti.
Almeno questa è l’ipotesi di reato scritta nel fascicolo della procura di Genova che indaga sui soldi versati da imprenditori e società a comitati e fondazioni che hanno sostenuto, a suon di donazioni, il percorso politico di Toti, il presidente che a settembre 2020 è stato confermato per un secondo mandato con il 56,13 per cento dei voti.
Da quanto risulta a Domani nei mesi scorsi la Guardia di finanza genovese si è recata nelle sedi delle società di tre finanziatori del presidente. Gli investigatori hanno raccolto molti documenti sui soldi donati al politico. Si è trattato di una perquisizione soft, che in gergo giudiziario è chiamata “richiesta di esibizione e acquisizione documenti”.
Gli imprenditori sono Pietro Colucci, a capo di un’importante holding dei rifiuti, Vincenzo Onorato, armatore del marchio Moby, e i petrolieri Costantino di Europam e Black Oil.
Donazioni e delibere
Nell’inchiesta c’è un gruppo di indagati, sui nomi però non trapela nulla. Sappiamo che di questo elenco non fa parte Toti: il motivo è che non ha mai avuto ruoli ufficiali nei board dei comitati e delle fondazioni che a lui fanno riferimento, chiamate con il suo nome e cognome o con gli slogan delle sue campagne elettorali.
C’è però una traccia che potrebbe spostare l’orizzonte investigativo oltre il semplice finanziamento. Perché dalle delibere regionali ottenute da Domani emerge come imprenditori che hanno dato soldi a Toti negli stessi anni ottenevano pareri favorevoli sui loro progetti dalla giunta regionale. Nella migliore delle ipotesi sono coincidenze che potrebbero configurare “solo” plurimi conflitti di interesse, condannabili secondo i principi dell’etica e della trasparenza, ma non punibili secondo il codice penale.
Di certo la Guardia di finanza e della procura genovese guidata da Francesco Pinto sono partiti dai flussi di denaro, segnalati come sospettti dall’autorità antiriciclaggio, che in questi ultimi cinque anni hanno fatto del presidente della Liguria uno dei politici più finanziati del paese.
Il paragone con Open
L’ipotesi su cui indaga la procura di Genova è la stessa dei magistrati di Firenze che hanno esaminato i conti della fondazione Open di Matteo Renzi. Da lì, però, sono andati avanti scoprendo scambi tra chi gestiva la fondazione renziana e gli imprenditori che si erano dimostrati molto generosi. Anche per questo le carte di Firenze sono una traccia seguita dagli investigatori del capoluogo ligure.
Il paragone trova conferme nelle cifre: i milioni finiti sotto osservazione nell’inchiesta sui renziani sono 3,5, mentre quelli incassati da Toti, in meno tempo rispetto a Open, sono oltre due.
Nel nome di Giovanni
L’inchiesta rischia di frenare l’ascesa politica di Toti. Al secondo mandato da presidente della regione Liguria, prima giornalista Mediaset, poi delfino di Silvio Berlusconi, ha fondato il movimento “Cambiamo” dopo aver lasciato il suo primo amore: Forza Italia e l’ex Cavaliere di Arcore.
Ora, insieme al sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, ha fondato “Coraggio Italia”, promettendo fedeltà al governo Draghi e aspettandosi in cambio, in futuro, un posto di sottogoverno o, perché no, in Consiglio dei ministri.
L’ambizione di Toti nel brevissimo periodo è però anche un’altra: seppure Coraggio Italia valga nei sondaggi quanto Italia viva, o poco più, con i suoi ventiquattro parlamentari il presidente vuole pesare nell’elezione del nuovo capo dello stato. Una prova di forza nelle votazioni sul presidente della Repubblica mostrerebbe ad alleati presenti e futuri il valore della sua leadership.
La sproporzione tra consenso reale e attuale rappresentanza parlamentare è una delle analogie con Renzi. Non l’unica.
La separazione di Toti dal partito di Berlusconi era già scritta nella genesi della sua carriera politica. La strategia del presidente, infatti, ricalca il piano del leader di Italia viva: entrambi sono abili nel creare strutture parallele ai partiti di appartenenza con lo scopo di avvicinare potenziali sostenitori che condividono le idee del leader, ma non del gruppo politico. E dunque sono ben disposti a foraggiare a suon di bonifici le associazioni, i comitati, le fondazioni di riferimento.
Il presidente della Liguria è stato un campione in questo, ancor più di Renzi, dato che non aveva a disposizione una squadra numericamente forte a differenza dell’ex premier.
Dal 2016 a oggi tra comitato Giovanni Toti e comitato Change, Cambiamo!, i milioni raccolti sui conti correnti sono stati più di due. La gran parte di questi sono arrivati ai comitati, che in 5 anni hanno incassato donazioni per una media annuale di poco inferiore al mezzo milione di euro.
Un ritmo da piccola azienda, una sorta di Toti srl, brand della politica a gestione personale.
Soldi e sospetti
Nel 2018 sono nati i primi dubbi sulle strutture schierate a sostegno dell’attività politica di Toti. In particolare sul comitato Change fondato nel 2016, un anno dopo l’elezione a presidente della regione.
Doveva servire a raccogliere «fondi per la costituzione di una fondazione denominata Change», si legge negli atti dell’autorità antiriciclaggio ottenuti da Domani «o comunque per il sostegno di attività ovunque svolte da partiti politici, movimenti, liste e dal già esistente comitato Giovanni Toti-Liguria promuovendo il medesimo comitato a sostenendone le iniziative».
Change, scrivono gli esperti dell’antiriciclaggio, è in realtà una fondazione non riconosciuta, non è registrata negli albi della prefettura o della regione. Questo sebbene esista sul sito della fondazione Change un atto di costituzione in cui si prospettava un riconoscimento prefettizio.
Il board della fondazione ha cambiato componenti subito dopo la sua creazione. Tutti i responsabili di Change hanno rapporti strettissimi con Toti. Primo presidente è stato un fedelissimo: Pietro Paolo Giampellegrini. Fino al 2020 capo di gabinetto del presidente, dopo la rielezione è stato nominato segretario della giunta regionale con uno stipendio da oltre 100mila euro che rischiava di arrivare a 291mila euro (più del presidente della Repubblica) se fosse passato un emendamento in sede di assestamento di bilancio che prevedeva l’incredibile aumento.
Nel comitato-fondazione, insieme a Giampellegrini, c’erano il notaio Francesco Felis e il commercialista Enrico Zappa, poi nominato in una società partecipata dalla regione. Al loro posto sono subentrati Cristiano Lavaggi, consulente del lavoro di La Spezia con un passato in Forza Italia, dal 2019 membro del cda di Iren per la provincia di La Spezia. E l’avvocato Nicola Boni, che ha chiuso a giugno 2021, il comitato. Al fianco di Change c’è anche il comitato Giovanni Toti. Gli atti dell’antiriciclaggio certificano che il conto corrente era gestito dall’avvocato Alberto Pozzo, nominato di recente vicepresidente del teatro nazionale di Genova in quota regione, cioè Toti.
Chi ha finanziato Change e il comitato Giovanni Toti è l’élite dell’imprenditoria e della finanza che ha enormi interessi sul territorio ligure. Petrolieri, ras delle discariche, armatori, leader della ristorazione collettiva. A legarli sono gli affari gestiti nel feudo governato dal presidente, con la cui amministrazione regionale si sono spesso confrontati.
Rifiuti, amici e politica
Tra gli industriali finanziatori di Toti il cui profitto dipende anche da concessioni pubbliche da rinnovare o autorizzazioni regionali da ricevere, c’è il gruppo industriale di Pietro Colucci.
Sulla sua pagina web si definisce «imprenditore della green economy». Tramite le società del gruppo o con aziende riconducibili alla sua galassia societaria, Colucci ha versato nelle casse dei comitati oltre 100mila euro. La somma è stata divisa in diverse tranche dal 2016 al 2020 utilizzando diverse aziende.
In un caso, risulta a Domani, nel gennaio 2020 ha donato 9mila euro dal proprio conto personale in occasione di una cena elettorale, serate sempre più in voga tra i leader, utili a far sedere al tavolo ambiziosi e munifici esponenti dell’economia italiana. Per accomodarsi e trascorrere la serata con il politico di turno c’è una fiche da versare: con Toti 9mila, per altri le cifre cambiano ma la storia degli ultimi anni è piena di serate e pranzi a pagamento per sostenere le carriere dei leader, sempre alla ricerca di una “pezza” finanziaria per coprire il buco (o meglio voragine) lasciato dall’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti.
Agli oltre 100mila euro regalati da Colucci a Toti va però aggiunto un altro finanziamento del gruppo industriale. Si tratta di 15mila euro dati da Green Up, che gestisce una delle due discariche in regione, alla Lega Salvini Liguria, che pesava parecchio nella prima giunta Toti e continua a pesare.
Edoardo Rixi, deputato che conta moltissimo negli equilibri politici regionali, è stato assessore allo Sviluppo economico nel primo esecutivo regionale guidato da Toti. Il suo successore è sempre un leghista doc.
I finanziamenti sono tutti dichiarati. «Colucci non è assolutamente leghista», assicurano persone che lo conoscono bene, «ma conosce Rixi e gli aveva chiesto una mano per la campagna elettorale».
Il problema per Colucci, Toti e la sua giunta è però un altro e ha un nome: conflitto di interesse, plurimo. I bonifici al comitato Change si collocano infatti tra il 2016 e il 2019, un periodo cruciale per gli interessi del gruppo industriale in Liguria, precedono richieste di autorizzazioni regionali e seguono pareri positivi.
Nel 2017 Green Up, controllata del gruppo Colucci, presenta domanda di Via (Valutazione di impatto ambientale) regionale «per il progetto di ampliamento della discarica di Vado Ligure località Bossarino». La giunta vota compatta a favore, inclusi Toti e Rixi: nel 2018 Green Up ha così ottenuto il via libera per aumentare la capacità del sito di stoccaggio dei rifiuti. Sarà certamente un caso, che però si ripete nel tempo.
Lo scorso 8 settembre per Green Up è stato avviato un nuovo procedimento, dopo un’ulteriore richiesta di allargamento del sito di rifiuti, questa volta dal lato ovest. L’iter è solo all’inizio, l’esito sarà noto non prima di un anno.
Un’altra società collegata al gruppo di Colucci gestisce una seconda discarica sempre a Vado Ligure, in località diversa denominata Boscaccio. È Ecosavona, che tra il 2019 e il 2020, aveva fatto domanda alla regione per ottenere il «provvedimento unico autorizzativo regionale» per aumentare i volumi della discarica di proprietà.
L’azionista di maggioranza di Ecosavona, con il 70 per cento, è una società lussemburghese (Green Luxco) sempre della galassia Colucci, i soci di minoranza sono pubblici, incluso il comune di Savona con un 5 per cento. La richiesta è stata depositata in regione Liguria, dopo un’integrazione di documenti inviata il 15 ottobre 2019, gli esperti degli uffici dell’Ambiente hanno richiesto ulteriori integrazioni. «Ecosavona ha preferito ritirare la domanda per ripresentarne una in futuro», spiegano fonti dell’azienda.
Nel frattempo Colucci è stato molto generoso con chi dovrà dire l’ultima parola sulla procedura. Tra dicembre 2019 e i primi mesi del 2020 Toti e i suoi comitati hanno ricevuto quasi 40mila euro da Sostenya Green Spa, Innovatec Spa e direttamente da Colucci (9mila euro in occasione della cena, al comitato Giovanni Toti-Liguria). Entrambe le discariche del gruppo sono state interessate da un’indagine ancora in corso per disastro ambientale, «siamo fiduciosi perché un perito terzo ha dimostrato il contrario», fanno sapere dall’azienda. Per la procura di Savona tuttavia il caso non è ancora chiuso.
Toti e Colucci si incontrano e si sentono spesso. Incontri personali e istituzionali in regione. E pure pranzi informali per discutere di politica. All’imprenditore non sarebbe dispiaciuto un ruolo in Cambiamo!, il movimento fondato da Toti. «Non c’è nessun mistero, Colucci e Toti si conoscono, sono amici e l’imprenditore è affascinato dal progetto politico del presidente della regione oltre a essere un vero appassionato di politica», lo difendono i suoi sostenitori, che aggiungono: «Ma quale favoritismi, per così pochi soldi? Oltretutto due progetti su quattro al momento sono stati bloccati». Certamente non quello di Green Up passato con i voti favorevoli di Toti e Rixi, entrambi beneficiari tramite comitati o partito delle donazioni di Colucci.
Ha votato a favore anche l’assessore all’Ambiente Raul Giampedrone, fedelissimo di Toti e riconfermato nello stesso ruolo. Il 25 agosto 2020 il comitato Giovanni Toti ordina un bonifico di 35mila euro destinati alla campagna elettorale di Giampedrone, l’ufficio che ha in mano le sorti dei business di Colucci, tra i più munifici finanziatori dei comitati del presidente della Liguria.
«Ho sostenuto Toti perché è un amico e perché credo nel suo percorso politico», dice Colucci a Domani. Sorprendente è la risposta sui possibili conflitti di interesse. Un politico che accetta finanziamenti, seppure dichiarati, da imprenditori che hanno interessi nei territori da lui amministrati, al di là della rilevanza penale, può far pensare a un conflitto? «Riflettendoci, sono d’accordo con lei. Ma il tutto è stato fatto in buona fede, in un momento in cui nel centrodestra c’era un vuoto di leadership e Toti rappresentava il nuovo, se ci avessimo riflettuto forse avremmo evitato il finanziamento».
E se anche il grande finanziatore di Toti si è persuaso dell’esistenza di un conflitto di interesse la questione si fa seria. Chissà cosa ne pensa il presidente della regione.
Purtroppo non ha risposto né alle chiamate né ai messaggi con cui chiedevamo un replica. Sappiamo cosa aveva detto quando erano emersi i primi nomi dei finanziatori, «tutto regolare e dichiarato secondo la legge». Questo non basta, però, a sbrogliare la matassa di interessi privati le cui sorti sono spesso appese al filo sottile di scelte della giunta Toti.
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