In un quaderno azzurro depositato alla procura di Roma, il ricercatore ucciso annotava in italiano, inglese e arabo incontri e racconti di vita quotidiana. Dagli appunti si ricostruisce anche com’è entrato in contatto con Mohammed Abdallah, il capo del sindacato degli ambulanti che secondo gli inquirenti lo ha indirizzato verso i suoi presunti aguzzini
- I rapporti con il capo degli ambulanti, Mohammed Abdallah, le interviste e i dati sui venditori di strada del Cairo. Sono i dettagli che emergono dal quaderno di Giulio Regeni, il ricercatore trovato senza vita e con evidenti segni di tortura al Cairo nel febbraio del 2016.
- Una copia del quaderno, assieme ad altri appunti, è stato consegnato dalla madre di Regeni alla procura di Roma nel 2016 con la speranza che potesse essere d'aiuto per l'inchiesta. I fogli raccontano gli ultimi mesi di vita del ricercatore di Fiumicello.
- Dalla lettura di queste carte, scritte in italiano, inglese e arabo, emerge il profilo di uno studente appassionato, meticoloso e attento che conosce bene quali siano le insidie e i pericoli del mondo degli ambulanti su cui stava svolgendo la sua ricerca.
«Nove settembre 2015. Arrivo all’aeroporto del Cairo alle 2am. I bagagli sono ancora a Istanbul, l’autista di Noura passa a prendermi. Incontro con Ben e chiacchierata sul balcone».
Sono le prime parole che Giulio Regeni scrive al suo arrivo in Egitto per svolgere il suo incarico di ricerca partecipata per l’Università di Cambridge. A ospitarle è un quaderno azzurro che, insieme ad alcuni fogli di appunti, rimarrà nel suo appartamento del quartiere di Doqqi il giorno della scomparsa, il 25 gennaio 2016. Dopo la morte del ricercatore italiano, la madre Paola lo ha riportato in Italia assieme ai suoi effetti personali e ne ha consegnato una copia alla procura di Roma con la speranza che potesse essere d’aiuto per l’inchiesta.
Più che della sua fine, tuttavia, quei fogli vergati a mano alternando italiano, inglese e arabo (allegati agli atti dell’inchiesta) ci raccontano qualcosa dei mesi trascorsi da Giulio nel paese dal quale non è più tornato. Tracciano il ritratto di uno studente appassionato, meticoloso e acuto, tutt'altro che sprovveduto.
Il 10 settembre Regeni inizia a cercare casa: va a visitare tre appartamenti a Mohandessen, quartiere del Cairo, poi scrive di un seminario all’Ahram Center del Cairo e di una scena che ben rappresenta le divergenti ideologie dell’élite egiziana. Descrive una giornalista di al Ahram e aggiunge una nota di colore da buon amante degli animali: «C’è un gatto in corridoio».
La ricerca sui sindacati
Il giorno dopo pranza in un ristorante libanese, appunta sul quaderno di essersi svegliato presto e nella pagina a fianco, per la prima volta, cita - preparando alcune interviste - l’obiettivo della sua ricerca: l’attività dei sindacati indipendenti egiziani e in particolare quello degli ambulanti.
Nei giorni seguenti incontrerà molte persone che lo aiuteranno a focalizzare meglio il lavoro e a mappare le informazioni utili. Intanto trova casa vicino alla stazione della metropolitana di Bohooth e raggiunge l’American University del Cairo, dove ha qualche problema burocratico con le pratiche di affiliazione. Un altro grande classico di chi sbarca in questo paese caotico.
Dagli appunti emerge uno studente motivatissimo e severo con se stesso: «Oggi giornata improduttiva», scrive qualche tempo dopo. «Ho letto solo un articolo». A parte annota film da vedere, articoli accademici da leggere, si entusiasma perché un professore gli propone di scrivere un articolo con lui.
Ma il focus di Giulio resta la ricerca sui sindacati. Da quelle pagine, non a caso, fa capolino quasi subito il nome dell’Ecesr, l’Egyptian Center for Economic e Social Rights. «È l’organizzazione giusta», rileva, «per il sindacato degli ambulanti». E poi si legge il nome «Madame Hoda».
Si tratta di Hoda Kamel, è la donna che all'interno di Ecesr si occupa dei dossier sul lavoro. Si incontrerà numerose volte con Giulio, l’ultima il 19 gennaio, pochi giorni prima della scomparsa del ricercatore di Fiumicello. È Hoda Kamel a metterlo in contatto con Mohammed Abdallah, il capo del sindacato degli ambulanti, l’uomo che secondo le carte della procura di Roma avrebbe indirizzato Giulio verso i suoi presunti aguzzini, gli agenti della National Security Agency egiziana per i quali è stato chiesto il rinvio a giudizio.
Kamel, in diverse interviste, ha ribadito i suoi sensi di colpa ma nessuno, in primis lei stessa, avrebbe mai potuto immaginare quello che sarebbe accaduto nei mesi seguenti: l’attività di Giulio, nonostante il clima politico, non era ritenuta così pericolosa, come hanno ribadito anche i testimoni ascoltati dagli investigatori italiani.
I servizi segreti infiltrati
Una cosa è certa: l’attività degli ambulanti al Cairo è un’attività informale e per questo la categoria è da sempre infiltrata da polizia e servizi segreti. Lo si evince, di nuovo, dal quaderno azzurro dove appaiono diversi nomi: Attaba, Ramses, West el Balad. Sono i quartieri della capitale, accanto ci sono le cifre che indicherebbero il numero degli ambulanti che hanno le loro bancarelle in quelle aree della città. A seguire, ci sono vari riferimenti alla condizione dei lavoratori, l’informalità e i rapporti di corruzione che, per sopravvivere, gli ambulanti hanno con la polizia.
Regeni è consapevole, sa con chi ha a che fare e tra le pagine del suo quaderno non solo prepara la metodologia e le interviste ma affina anche l’arabo egiziano per relazionarsi meglio con i suoi interlocutori. Maneggia già molto bene l’arabo classico, ma l’egiziano colloquiale è un’altra storia. Tra le pagine si trovano le giuste frasi da usare in taxi e al ristorante, le declinazioni di alcuni verbi e le espressioni di uso comune. Il tutto scritto direttamente in arabo con una calligrafia impeccabile.
È bravo, Giulio, e lo confermano altre testimonianze acquisite dagli investigatori: «Parla un ottimo arabo», ricorda Yamani Musa, presidente dell'unione del sindacato dei lavoratori dipendenti a tempo determinato in un interrogatorio reso alla Procura del Cairo. «Aveva ottimi rapporti con noi, si era conquistato la nostra fiducia».
La fondazione Antipode
Nel plico c’è anche una cartina: è la planimetria di un mercato all’aperto, consegnata da Mohammed Abdallah a Giulio, che lo considerava la dimostrazione della voglia da parte dei sindacati indipendenti di regolarizzare la loro posizione.
Durante un altro incontro con il capo degli ambulanti il ricercatore italiano annoterà numeri, percentuali, grado di istruzione, città di provenienza e merci trattate dalla categoria. Poi appunta un’altra parola: Antipode.
Si tratta di una fondazione che sostiene la collaborazione tra il mondo accademico e quello dell’attivismo, dalle ong ai sindacati. Nel settembre del 2015 pubblica un bando di 10mila sterline, a Giulio sembra perfetto per svolgere attività di training con i sindacati. È proprio su questa somma, di cui Regeni parla con Abdallah nel famoso video girato di nascosto e reso pubblico solo nel 2017, che si concentrano le attenzioni del sindacalista: voleva quei soldi per sé e insisteva per averli, ma il finanziamento doveva essere gestito da una organizzazione e non da una persona fisica.
© Riproduzione riservata